Per sbeffeggiare l’eterno Tartuffe italiota, Montanelli raccontava la
storiella di quel “gentiluomo austriaco che, roso dal sospetto che la
moglie lo tradisse, la seguì di nascosto in albergo, la vide dal buco
della serratura spogliarsi e coricarsi insieme a un giovanotto. Ma,
rimasto al buio perché i due a questo punto spensero la luce, gemette a
bassa voce: ‘Non riuscirò dunque mai a liberarmi da questa tormentosa
incertezza?’”.
L’apologo è perfetto per descrivere le reazioni del Pd
alla lista dei 16 impresentabili divulgata ieri dall’Antimafia. Che ha
fatto di male Rosy Bindi per beccarsi le manganellate del Partito della
Fazione, anzi della Dazione? Ha detto ciò che tutti sanno da mesi: una
serie di ovvietà men che banali. E cioè che le liste di tutti i partiti
(esclusi i 5Stelle, Sel, la Lega e i civatiani in Liguria) sono piene di
impresentabili. A cominciare da Vincenzo De Luca, condannato in primo
grado per abuso d’ufficio e dunque decaduto e ineleggibile, ma anche
imputato in vari processi. E in base al Codice etico che l’Antimafia si è
data nel settembre 2014, peraltro ricalcato su quello del 2007, spetta
all’Antimafia indicare a ogni elezione (europee, nazionali, regionali,
provinciali, comunali, circoscrizionali) i candidati incompatibili con i
minimi standard di legalità. Non solo i condannati, ma anche i membri
di giunte sciolte per mafia, i soggetti sottoposti a misure di
prevenzione e i rinviati a giudizio per una serie di reati gravi: mafie,
traffico di droga, delitti contro la PA (tipo la concussione e la
truffa contestate a De Luca al processo Ideal Standard), estorsione,
usura e riciclaggio. E questo è proprio il minimo sindacale, visto che
esistono altri profili di invotabilità: tipo i reati di abuso d’ufficio
(per cui De Luca è condannato in primo grado) o quelli a sfondo
sessuale, come le molestie su minori (per cui è condannato in primo
grado un candidato pro De Luca, che però esula dalla competenza
dell’Antimafia); ma anche le contiguità con boss o altri soggetti
pericolosi. De Luca, ormai è oltre Crozza, nega persino il suo pedigree
penale, che poi è il suo curriculum politico, e vuol denunciare la
Bindi per diffamazione e la sfida “a un pubblico dibattito per
sbugiardarla”. Forse, non potendo negare di essere imputato per
concussione e truffa, è così affezionato ai tribunali che vuole passarci
anche le notti, visto che lunedì decadrà appena eletto e avrà molto
tempo libero. In realtà l’Antimafia ha applicato una norma approvata
quasi all’unanimità dal Parlamento (anche il Pd di Renzi, che era già
segretario e premier): se no avrebbe mancato ai suoi doveri.
Gli unici errori sono quelli di aver atteso così a lungo, consentendo
ai partiti di bloccare la diffusione della lista già pronta da una
settimana e di far filtrare i nomi a rate. L’altroieri Renzi diceva: “Il
Pd non ha impresentabili, la lista Antimafia non ci riguarda”, così
riconoscendo la legittimità della categoria degli impresentabili e del
Codice Antimafia. Ora che invece ha scoperto (buon ultimo) che il Pd di
impresentabili ne ha eccome, a cominciare dal candidato alla Regione
Campania, si rimangia tutto: “Mi fa molto male che si utilizzi
l’Antimafia per regolare dei conti nel Pd”. Nessuno degli
‘impresentabili’ verrà eletto perché tutti sanno che rappresentano
piccole liste civiche”. Triplo salto mortale carpiato con avvitamento:
prima il Pd recluta liste e personaggi inguardabili per raccattare voti
sporchi, poi invita a non votarli, poi finge di non conoscerli, infine
dice che non prendono voti. Ma allora perché li ha imbarcati?
Il resto Renzi – ultimo iscritto al partito di chi, se il termometro
segna la febbre, spacca col termometro – lo fa dire dai suoi dobermann,
dopo avere spalancato il canile. Tal Carbone trova che “la Bindi sta
violando la Costituzione: allucinante che si pieghi la commissione
antimafia a vendette interne di corrente partitica”. Tal Ermini,
nientemeno che “responsabile Giustizia”, farfuglia di “un lavoro fatto
male e gestito peggio che entra a piedi uniti nella competizione
elettorale”: figurarsi se fosse il responsabile Ingiustizia. Tal
Marcucci accusa la Bindi di “uno show inutile e imbarazzante”. Ed ecco
il sottosegretario Faraone (ovviamente indagato): “De Luca è
presentabile, tanto che lo abbiamo candidato. E i campani l’hanno votato
alle primarie. Le sentenze le fanno i giudici” (infatti l’hanno
condannato). Quel gran genio di Orfini, presidente Pd, si supera: “In
uno stato di diritto le sentenze le emette la magistratura, la
candidabilità o meno di qualcuno la decide la legge e si è innocenti
fino al terzo grado di giudizio. L’iniziativa della presidente
dell’Antimafia è incredibile istituzionalmente, giuridicamente, ma anche
culturalmente, perché ci riporta indietro di secoli, quando i processi
si facevano nelle piazze aizzando la folla”. Chissà dov’erano questi
poveracci nove mesi fa, mentre approvavano in Parlamento il Codice etico
che ora contestano solo perché smutanda le loro vergogne, con le stesse
parole di B.: i voti cancellano i reati, un delinquente eletto diventa
unto del Signore e chi applica la legge è un avversario politico. De
Luca invece parla come Dell’Utri e Previti, che a ogni indagine su di
loro dicevano: “Il bersaglio è Silvio, non noi”. “È evidente – sostiene
don Vincenzo – che c’è un uso strumentale della mia persona,
l’aggressione vera è al segretario Renzi per mettere in difficoltà il
governo nazionale”. Nel 2012 De Luca diceva ben altro: “Il massimo di
rinnovamento politico è affidato a Renzi, che comunque fa politica da 20
anni ed è quindi anche lui dentro la ‘casta’. La sua è un’operazione
mediatica costruita a tavolino: è tutto uno sceneggiato, tutta plastica.
Le istituzioni sono solo un palcoscenico per avere visibilità e poi
puntare a Roma”. Il guaio è che aveva pure ragione.
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