Perché
bisogna sostenere Varoufakis contro la Troika? Perché bisogna attaccare
il modello antisindacale di Marchionne e appoggiare Landini? Quali sono
gli scenari della economia oggi? Per rispondere a queste domande si può
raccontare la storia dello scontro tra l’intelligenza di Keynes,
Adriano Olivetti e la FLM contro l’opacità del neoliberismo e provo a
fare questo racconto utilizzando esperienze personali [1] tra gli anni ’50 e gli anni ‘70 nello stile delle 150 ore che mi piacerebbe tanto contribuire a rilanciare
John
Maynard Keynes (1883-1946) è l’economista che ha rappresentato e ancora
oggi rappresenta un’alternativa politica e teorica al neoliberismo. Due
interrogativi: Che tipo di economista è stato Keynes e quale era il suo
metodo di analisi? Le sue proposte sono ancora attuali?
1. La definizione di economia per Keynes
Keynes precisa nel 1924 che cosa intende per economia e per economista:
L’economia è una materia facile in cui
però pochissimi eccellono. Il paradosso trova una spiegazione forse nel
fatto che il grande economista deve possedere una rara combinazione
di qualità. Deve raggiungere una certa perizia in svariati ambiti e
coniugare doti che raramente si trovano nella stessa persona. Deve
essere, in una certa misura, un matematico e uno storico, uno statista e
un filosofo. Deve sapersi esprimere, ed essere in grado di comprendere i
simboli. Deve saper cogliere il generale nel particolare, e abbracciare
l’astratto e il concreto nello stesso moto del pensiero.
Deve studiare il presente alla luce del passato in vista di obiettivi
futuri. Non deve trascurare alcun aspetto della natura o delle
istituzioni dell’uomo. Deve essere ad un tempo risoluto e
disinteressato, distaccato e incorruttibile come un artista, ma a volte
anche pragmatico come un politico.[2]
Questa definizione di economia, che
richiede una combinazione non facile di competenze necessarie per
poterne parlare, viene ulteriormente precisata in due lettere scritte
nel 1938 all’amico Roy Harrod[3]
in cui l’economia è definita la scienza “che pensa per mezzo di modelli
unita all’arte di scegliere i modelli pertinenti” ed è anche “una scienza morale” che si basa “sull’ introspezione e su giudizi di valori”
L’economia è una branca della logica, un
modo di pensare. … L’economia è la scienza di pensare per mezzo di
modelli, unita all’arte di scegliere i modelli pertinenti per il mondo
moderno. È necessario che sia così perché, a differenza delle scienze
naturali, il materiale a cui si applica è per molti versi non omogeneo
nel tempo. Lo scopo del modello è di separare i fattori quasi permanenti
o relativamente costanti da quelli che sono solamente transitori o
fluttuanti, in modo da sviluppare un modo logico di pensare a proposito
di questi ultimi, e di comprendere le sequenze temporali a cui essi
danno luogo in certe circostanze particolari (..). In secondo luogo, a
differenza di quanto pensi Robbins, l’economia è essenzialmente una
scienza morale e non una scienza naturale, in quanto si basa
sull’introspezione e su giudizi di valore.
Desidero sottolineare enfaticamente il
fatto che l’economia è una scienza morale. Ho già accennato all’uso che
essa fa di introspezione e valori. Avrei potuto aggiungere che ha a che
vedere con motivazioni, aspettative, incertezze psicologiche. Si deve
essere costantemente attenti a non trattare questo materiale come se
fosse costante ed omogeneo. È come se la caduta della mela al suolo
dipendesse dalle aspirazioni della mela, se per lei sia conveniente o
meno cadere a terra, se il suolo vuole che essa cada, e se vi sono stati
errori di calcolo da parte della mela sulla sua reale distanza dal
centro del pianeta
In quanto scienza morale diventa allora
importante la conoscenza dei valori che hanno orientato la sua vita
politica e intellettuale. Keynes, come scrive Lunghini, faceva parte
“della educated burgeoisie, la borghesia colta e illuminata. A
Keynes il marxismo era culturalmente estraneo; del comunismo comprendeva
alcune ragioni ma non la filosofia sociale”[4].
Keynes è stato un raffinato intellettuale capace di dissertare
sull’arte e la bellezza come sulla matematica e la logica (Bertrand
Russel scrisse che “Keynes aveva la mente più acuta e limpida che mai
abbia incontrato”[5])
e si è mosso tra circoli accademici esclusivi come quelli del King’s
College di Cambridge al gruppo di Bloomsbury a Londra che aveva al
centro Virginia Woolf. Questo econonomista illuminato ha dimostrato che
il capitalismo non possa autoregolarsi anche perché si tratta di un
capitalismo “decadente” che “non è intelligente, né bello, né giusto, né
virtuoso, né si comporta come dovrebbe”[6]. Prense le distanze dal comunismo[7]
ma credette con Marx che il capitalismo era finalizzato non al
benessere di tutti ma al profitto di pochi sulla base di un processo
Denaro-Merce-Denaro[8]. Non vide alternative al capitalismo ma pensò che era possibile “organizzalo meglio”.
2. Il metodo di analisi di Keynes
In un suo intervento del 1925 dal titolo “Sono un liberale?”[9]
affronta cinque problemi (i problemi della pace, i problemi di
governo, i problemi sessuali, i problemi dell’alcolismo e della droga, i
problemi economici) e si dichiara pacifista, a favore della creazione
di enti semiautonomi senza pregiudicare i principio democratico o la
sovranità ultima del parlamento, contro la visione “medievale” dello
Stato in materia di reati sessuali e di anticoncezionali, indica la
possibilità di far fare esperienze diverse a tossicomani e persone
vittime del gioco d’azzardo, disegna una scenario dell’economia in cui
abbandonando il laissez faire del liberismo storico si arrivi a
un regime “che tenda coscientemente al controllo e alla direzione delle
forze economiche nell’interesse della giustizia e della stabilità
sociale”. Nel saggio “Le prospettive economiche per i nostri nipoti” del
1924 scrive che “l’amore per il denaro, per il possesso del denaro”
sarà un giorno definita “un attitudine morbosa e repellente, una di
quelle inclinazioni a metà criminali e metà patologiche da affidare con
un brivido agli specialisti di malattie mentali”[10].
Come scrive Skidelsky queste sue capacità
di muoversi lungo crinali diversi orientato dai valori prima
ricordati si i sono inseriti, nella vita di Keynes, in cicli e fasi di
pensiero e azione:
Keynes fu una di quelle rare persone
capaci di coniugare pensiero e azione ai massimi livelli. La sua vita
si compose di cicli o fasi, in cui l’accento si spostava ora sul
pensiero ora sull’azione. Non vi è alcun dubbio che queste oscillazioni
fossero legate a ciò che avveniva nel mondo. In alcuni periodi, in
particolare durante le due guerre mondiali, fu sollecitato soprattutto
il genio pratico di Keynes, ed egli ottenne non poche soddisfazioni nel
metterlo a diposizione del mondo.[11]
Si può parlare di un “metodo keynesiano”? Sono ricordate due proposte interpretative.
La prima è quella di Anna Maria Carabelli che inizia a occuparsi del metodo di Keynes nel 1988[12] e che recentemente, con Mario Cedrini ha pubblicato un testo in cui sintetizza le sue riflessioni su questa tematica[13]. Il punto di partenza è il libro di Keynes A Treatise on Probability (scritto nel 1907-08 e pubblicato nel 1921) che è la sua “guida pe la vita” che permette di capire la stesura della General Theory.
Keynes, come sottolinea Robert Skidelsky,
“fu il primo economista a porre l’incertezza al centro della
problematica economica e a sollevare la questione della portata e del
significato della razionalità nella teoria economica. La razionalità è
possibile in un mondo incerto, e come va definita?”[14]. E perché Keynes parla degli “strani rapporti tra il probabile e il dover essere”[15]? Skidelsky risponde a questo interrogativo analizzando il Keynes del A Treatise of Probability
L’argomentazione di Moore mostra, secondo
Keynes, che egli deve aver utilizzato una teoria empirica o
frequentistica della probabilità secondo la quale un‘affermazione
probabilistica dipende dalla conoscenza certa che “A accadrà
più spesso di B”. E’ molto facile che una simile certezza sulla
conoscibilità di eventi che si riferiscono a un lontano futuro non sia
ottenibile: Ciò però non significa che dobbiamo arrenderci alla morale
convenzionale. Keynes asserisce che con la l’affermazione” A è più
probabile di B” si intendeva qualcosa di diverso. Egli continua “Io
intendo dire qualcosa come “la mia evidenza in favore di A è maggiore
di quella in favore di b; sto facendo una affermazione che si riferisce
all’evidenza in mio possesso, non sto affermando che nel lungo periodo
Accadrà più spesso di B” ,(..) Più in generale Keynes collega la
razionalità con l’opportunità. (..) La teoria della probabilità
delineata da Keynes fornisce una logica dell’azione che permette di
scegliere, fra i possibili oggetti verso cui indirizzare l’azione, il
più appropriato in circostanze determinate.[16]
Carabelli e Cedrini[17]
proseguono questo tipo di analisi e scrivono che per Keynes “la
probabilità varia con l’ammontare di conoscenza disponibile in un dato
periodo e sottospecifiche condizioni cognitive”. Keynes “non ricerca una
assoluta razionalità o la verità ma la ragionevolezza che è
contingente al variare delle circostanze cognitive e che non sempre
dipende dal successo o dal fallimento delle aspettative”. Occorre avere
consapevolezza che “la natura del materiale che serve all’economia è
caratterizzata da vaghezza, eterogeneità, non divisibilità,
interdipendenza organica. La formalizzazione matematica può esprimere
relazioni funzionali tra variabili ed aiutare a individuare gaps e
imperfezioni nel modo di pensare ma non può sostituire la logica”. In
altre parole le relazioni per Keynes sono “sostanzialmente
indeterminate” e The General Theory può essere vista come “un
vademecum della scienza economica” basata su due stadi di analisi: dal
capitolo 1 al 17 l’analisi è condotta sulla base dell’assunto che le
variabili sono indipendenti essendoci poi, nella parte finale della The General Theory un secondo stadio in cui si fa un uso diretto intuitivo di giudizi di rilevanza e “si può parlare di causa conoscendi la causa che dipende dalla nostra conoscenza degli eventi e non di causa essendi, la causa per la quale una cosa è ciò che è”. I due autori concludono affermando che “The General Theory è
un metodo” e non un trattato di macroeconomia in cui si piegano le
relazioni tra variabili. E’ quindi un modo di vedere l’economia come una
scienza che vede la complessità al centro della sua analisi e affronta
gli “strani rapporti tra il probabile e il dover essere”
Un seconda interpretazione del metodo di
Keynes è stata fatta da un matematico dell’Università di Cambridge, John
Coates che ha scritto un libro[18]
che ha in copertina un quadro di Mark Tansey dal titolo “Innocent Eye
Test” in cui a una mucca viene mostrato un quadro in cui sono ritratte
due mucche per verificarne il realismo. Perché questa relazione tra la
realtà e le sue rappresentazioni è utile per capire Keynes?
Coates documenta come sia avvenuto in Keynes “un cambiamento sia nello stile che nella sostanza dell’analisi economica”[19] e identifica questo periodo di transizione negli anni 1932-35 (gli anni che precedono la stesura di The General Theory
che esce nel 1936) Keynes viene visto da Coates come un esperto di
logica e matematica che di fronte ai drammi del mondo come la prima
guerra mondiale, la disoccupazione e la crisi del ’29, l’emergere del
nazismo in Europa accetta la sfida di formulare una teoria che esca
dalle astrazioni e assuma un ruolo strumentale rispetto alla pratica. La
teoria che Keynes elabora alla fine della The General Theory “Note conclusive sulla filosofia sociale alla quale la teoria generale potrebbe condurre” si impadronisce di un linguaggio ordinario in cui è accettata la vagueness, l’elaborazione di un ragionamento basato sul senso comune (common sense)
e viene abbandonata la ricerca di precisione perché questa ricerca ha
portato la disciplina a conclusioni non ragionevoli. Come scrive Coates:
Keynes arriva ad esaminare la “scissione
tra le conclusioni alle quali arriva la teoria economica e il senso
comune” cosi come egli ha commentato la divergenza sistematica tra
teoria logica e ogni forma di ragionamento espresso nella vita
quotidiana. In entrambi casi la ricerca di precisione ha portato le
discipline a conclusioni non ragionevoli. In quell’epoca e con
riferimento alla teoria della occupazione Keynes dichiarò che “egli
stava ritornando alla antica tradizione del senso comune”.[20]
Coates vede l’utilizzazione del common sense e del linguaggio ordinario come una via intermedia tra la filosofia analitica e il post-strutturalismo[21] in linea con la definizione data da Keynes dell’economia come scienza morale.
3. L’attualità del pensiero di Keynes
Passiamo brevemente al secondo
interrogativo sull’attualità delle proposte keynesiane e sono presentati
alcuni esempi di “attualità” iniziando con le politiche regionali per
poi passare alle proposte che Keynes faceva in relazione agli organismi
internazionali.
Sull’intervento dello Stato nei diversi
territori viene segnalata l’antologia curata da Pierluigi Sabbatini che
analizza e presenta saggi di Keynes che precisano le sue proposte nel
periodo 1925-31 e 1932-39. Keynes presenta in un suo testo del 1932[22] una serie di esempi che lui considera di corretto intervento dello Stato nell’economia:
La pianificazione consiste nel fare
quelle cose che sono, per loro natura, al difuori della portata
dell’individuo (..). Vi offrirò alcuni esempi (..): (a)La distribuzione
del carico fiscale con un occhio ai suoi effetti sull’industria e uno
alla distribuzione dei redditi e della ricchezza è un esempio di
pianificazione statale (..); (b) Se vogliamo, invece, degli esempi di
settori nei quali ancora non pianifichiamo o lo facciamo in modo
inadeguato, una buona esemplificazione può essere fornita dalla
programmazione urbanistica e dalla conservazione dell’ambiente naturale
(..); (c) Un accorta pianificazione volta ad influenzare la
localizzazione delle industrie (..) per evitare un trasferimento
dell’industria assai devastante da un punto di vista sociale (..); (d)
Influenzare consapevolmente le condizioni e l’ambiente che determinano
il tasso di crescita della popolazione, dell’emigrazione e
dell’immigrazione (..); (e) evitare o mitigare la crisi industriale
(..) la pianificazione statale diretta al mantenimento del livello
ottimale della produzione industriale e dell’attività economica e
dell’abolizione della disoccupazione , è il più importante e al tempo
stesso, il più difficile compito che abbiamo davanti a noi (..); (f)
Rinnovare l’amministrazione e ampliarla con nuovi organismi dovrebbe
dimostrarsi compatibile con un governo democratico e parlamentare.[23]
Sono questi esempi di interventi a favore
della occupazione e dello sviluppo sociale ed economico di un
territorio che fanno scrivere nel 1949 il Piano del Lavoro della Cgil,
presentato da Giuseppe Di Vittorio al congresso nazionale di Genova,
all’interno del pensiero di Keynes[24] ed è tutto a favore di Keynes il libro scritto da Giorgio La Pira nel 1951 L’attesa della povera gente[25] che per una “lotta organica alla disoccupazione e alla miseria” vede solo due vie sicure: Keynes e il Vangelo[26] .
I compiti dello Stato indicati da Keynes sono al centro di due saggi di Giorgio Lunghini[27]
che vede soprattutto attuale “non il Keynes del breve periodo e della
spesa pubblica bensì il Keynes dell’ultimo capitolo della General TheoryT[28]
che inizia con l’affermazione che “i difetti più evidenti della società
economica in cui viviamo sono l’incapacità di assicurare la piena
occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei
redditi”[29]. Come ha scritto Robert Skidelski a proposito della General Theory:
Marx aveva accusato gli economisti suoi
contemporanei di non tener conto della lotta di classe; Keynes li accusò
di aver ignorato l’esistenza dell’incertezza. (..) La Teoria generale
è un dramma i cui protagonisti sono le cose, oltre agli esseri umani.
Se Marx fu il poeta dei beni materiali, Keynes è il poeta della moneta
(..) ”La moneta è la radice di ogni male” potrebbe essere il sottotitolo
della Teoria generale.(..) Il panorama sociale della Teoria generale mette in mostra una classe di rentiers
negatrice della vita, dedita alla pratica del non consumo per
allontanare il giorno del godimento una classe imprenditoriale guidata
da aspettative di trionfi e disastri; una classe lavoratrice vittima non
tanto di una oppressione deliberata, ma dal comportamento instabile dei
datori di lavoro; e, oltre lo spartiacque, la visione radiosa di città
abbellite e di paludi prosciugate, e di un’esistenza beata a portata di
tutti grazie alla guida benigna di uno Stato platonico.[30]
Skidelski intitola questo capitolo
“Mirare alla luna” e Lunghini, che esplora i nuovi compiti di uno Stato
capace di rappresentare una “guida benigna” per i giorni di oggi, è
consapevole di proporre una sfida difficile. Egli scrive:
Keynes sapeva bene che il suo manifesto
era, se non rivoluzionario, oltraggiosamente radicale: “Suggerire
un’azione sociale per il bene pubblico alla City di Londra è come
discutere L’origine della specie con un vescovo del 1865”.
Perciò spiegava che l’allargamento delle funzioni del governo da lui
predicato, mentre sarebbe sembrato a un pubblicista dell’Ottocento o a
un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni
dell’individualismo, era da lui difeso “sia come l’unico mezzo
attuabile per evitare la distruzione completa delle forme economiche
esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente
dell’iniziativa individuale”[31]
Lunghini vede le possibilità di uno Stato
“intelligente, ecocompatibile e inclusivo” se le indicazioni di Keynes
fossero accolte da una Unione Europea capace di esprimere “una propria
sovranità, intesa a liberarsi della signoria del denaro e ad affermare
invece la signoria sul denaro”[32]
Il disegno di Keynes era ancora più
coraggioso, troppo per quei tempi (per non parlare dei nostri). Keynes
proponeva un fondo con accesso a risorse pari alla metà delle
importazioni mondiali, mentre il Fondo Monetario internazionale
attualmente, controlla una liquidità pari a meno del 3 per cento delle
importazioni mondiali. Keynes inoltre concepiva il FMI come una banca
centrale mondiale, che emetteva una propria valuta (il bancor) (..)
L’International Trade Organization immaginata da Keynes aveva funzioni
molto più ampie di quelle dell’attuale Organizzazione mondiale per il
commercio (WTO). L’ITO di Keynes non doveva soltanto mantenere la
libertà degli scambi, ma anche favorire la stabilizzazione dei prezzi
mondiali dei beni di consumo attraverso una adeguata politica delle
scorte. I prezzi internazionali di lungo periodo dei beni di consumo,
d’altra parte, per Keynes dovevano essere fissati in relazione sia alle
condizioni economiche necessarie per una produzione efficiente, sia ai
requisiti nutrizionali e4 di altra natura necessari per garantire
standard di vita decenti per i produttori di beni primari.[33]
Robert Skidelski che scrive su Project Syndacate[34] ricorda il Keynes delle Prospettive economiche per i nostri nipoti
del 1930 già ricordato e analizza la situazione durante la crisi
attuale in cui non sono state fatte politiche keynesiane con il
risultato di avere una disoccupazione crescente formata da disoccupati,
sottooccupati e persone espulse forzatamente dal mercato del lavoro con i
ricchi e i molto ricchi che sono diventati ancora più ricchi. I
risultati del progresso tecnologico sono stati essenzialmente
appropriati dal capitale e quel che è peggio, sottolinea Skidelsky,
tutto questo avviene in una sorta di “coazione a consumare”, mentre la
quota di reddito che va al lavoro tende a sempre più a restringersi, e
tendono ad aumentare le disuguaglianze tra i redditi. Un meccanismo
perverso molto lontano dai reali bisogni dell’uomo. Risulta allora
quanto mai necessario riflettere sul messaggio che Keynes ci ha lascia
con il pamphlet del 1930, perché è evidente che non sarà possibile
uscire stabilmente dalla crisi e riavviare il processo di sviluppo se la
legge del profitto di mercato rimarrà arbitro incontrastato del
contesto economico.
Ultimo esempio quello di Anna Carabelli e Mario Cedrini[35]
che affrontano il tema del disordine del neoliberismo e di un nuova
Bretton Woods. In questo libro viene ricordato il saggio di Keynes su Le conseguenze economiche della pace[36]scritto
nel 1919 in cui si opponeva, ritenendole ingiustificate, alla
riparazioni dei danni di guerra da parte della Germania decise dal
Trattato di Versailles. Keynes si rivolgeva al Presidente Wilson degli
Stati Uniti per l’abolizione del debito tedesco, una proposta che
combinava “sollecitudine e generosità” perché “L’Europa se deve
sopravvivere alle presenti difficoltà, avrà bisogno di tanta magnanimità
da parte dell’America quanta ne deve esercitare essa medesima” .
All’abolizione del debito della Germania, Keynes aggiungeva la proposta
di “un piano di prestito internazionale di responsabilità condivisa per
gli squilibri, al quale avrebbero partecipato tutti i Paesi coinvolti
(persino il nemico e le nazioni neutrali) e che avrebbe permesso,
eliminato il peso dei debiti e ridotte le rIparazioni tedesche, il
rilancio del continente”[37].
Gli insegnamenti di Keynes agli Stati Uniti per tutelare la Germania
dovrebbero oggi essere rivolti oggi alla Germania per tutelare la
Grecia.
Questi esempi di testi keynesiani
“attuali” mostrano l’importanza attribuita da Keynes a una visione di
“economia come scienza morale” che rende necessario innovare nelle
politiche regionali e nell’intervento dello Stato insieme a “una
adeguata rivoluzione nelle relazioni internazionali”. Contro le
“certezze della globalizzazione” il metodo di Keynes che parla di
valori per affrontare “l’incertezza e la complessità” è ancora ricco di
insegnamenti da raccogliere. Ma, come scrive Lunghini “”il capitalismo
non può, siccome non vuole, essere migliorato”[38]
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