Sulle pensioni, una cosa è chiara. Che di osservare la sentenza
della Corte costituzionale (70/2015) e trarne le conseguenze Renzi
proprio non ha intenzione. E come fa abitualmente si nasconde
dietro un ingannevole gioco di specchi. Recupero, certo: ma non
tutti, non tutto, non subito. Intanto, un obolo di 500 euro per
4 milioni di italiani.
Non vogliamo elargizioni graziose e caritatevoli. Vogliamo il dovuto.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della norma che bloccava l’adeguamento (d.l.
201/2011). Dobbiamo allora ragionare distintamente per il passato
e per il futuro. Fulminata quella norma, i pensionati – tutti —
hanno titolo all’adeguamento secondo le regole preesistenti
illegittimamente modificate. Da domani, tutti avranno diritto
secondo le regole nuove che verranno stabilite. Che a loro volta
dovranno essere conformi a Costituzione. Solo su questo può
esercitarsi la ricerca di spiragli nella sentenza della Corte.
Mentre per il futuro sarà possibile
al legislatore un ambito discrezionale nel definire un
adeguamento diversificato per tutti, per alcuni, per fasce
o quant’altro, nessuno spazio sussiste per il passato. È dovuto
a ognuno l’adeguamento che avrebbe dovuto essere effettuato e che
invece non è stato corrisposto in base alla norma dichiarata
illegittima. Stabilire riduttivamente il recupero in base
a norme nuove ora per allora è come rifiutarlo, in tutto o in parte.
Uno Stato che rifiuta il recupero è come il debitore che rifiuta di
onorare il suo debito.
Questo ci dicono il buon senso,
l’onestà politica, il diritto, i diritti, la Costituzione. Ma con
questi valori la frequentazione del governo in carica è saltuaria
e occasionale.
Il metodo l’abbiamo già visto in opera. Una
comunicazione abile, qualche menzogna in senso stretto, promesse
fatte sapendo che non saranno mantenute, soprattutto un bastone
parlamentare usato senza esitazioni contro ogni dissenso. Ora,
con le elezioni regionali alle porte, qualche cautela in più. Ma
alla fine i nodi rimangono. Il recupero o c’è, o non c’è. Il preside
sceriffo o c’è o non c’è. I diritti sono rispettati o calpestati.
Ascoltiamo tutti, dice Renzi, ma poi si
decide. Quel che conta, come ripete ossessivamente, è andare avanti.
Ma dove, e come? Sulle riforme istituzionali la sensibilità del
paese è stata torpida e marginale. Ma su pensioni e scuola abbiamo
un terreno di confronto di massa. Non stupisce che i sindacati
abbiano alzato la testa, e perfino la sinistra Pd abbia smosso il
sepolcro e mostrato segni di vita.
Il punto è che abbiamo davanti una
concezione del governare che punta su un ascolto meramente virtuale
da un lato, e sulla decisione nel circolo ristretto del premier
dall’altro. Non c’è ora, né potrà esserci in futuro, spazio per una
effettiva partecipazione democratica. Che non è solo avere il
diritto di parlare, ma anche – e soprattutto — avere il diritto di
incidere sulle decisioni.
Si può mai riformare la scuola contro
il mondo della scuola? Si può non capire che l’indipendenza
e l’autonomia di ogni docente sono il cardine di una scuola conforme
alla Costituzione? E che non sopravvivono se qualsiasi soggetto –
monocratico o collegiale che sia — può discrezionalmente disporre
del posto di lavoro? È qui che cogliamo il nesso tra il governare e le
riforme istituzionali che sono state messe in campo. La riduzione
degli spazi di rappresentanza politica e di partecipazione
democratica, la dominanza dell’esecutivo e del premier, la
investitura maggioritaria drogata nei numeri parlamentari di
un solo partito forniscono la strumentazione istituzionale
necessaria per politiche regressive. Il partito della nazione
offre il fondamento politico.
La fase in atto dimostra che
dall’interazione tra riforme e indirizzi di governo viene un esito in
ultima analisi conservatore o persino per taluni versi
reazionario, chiunque sia al potere. Quel che rimane dei corpi
intermedi – sindacati, partiti, associazionismi di ogni tipo –
dovrebbe cogliere il nesso tra i propri obiettivi e la lotta contro
le riforme in atto, dal sistema elettorale alla Costituzione, dalla
scuola alla Rai. Diversamente, calerà sul paese una cappa di forzato
conformismo governativo.
Dov’è l’Italia di Renzi, quella delle
magnifiche sorti e progressive? A quanto pare, gli italiani
credono a Crozza e non al premier, e pensano che non esista. L’Ocse
in un Better Life Index certifica l’opinione degli italiani sulla
propria qualità di vita. Tra 36 paesi ci collochiamo in coda.
Dietro di noi solo Giappone, Corea, Polonia, Slovenia, Turchia,
Estonia, Ungheria, Portogallo, Grecia. Ai primi posti paesi come
Danimarca, Islanda, Svizzera, Norvegia. Fa impressione vedere che
siamo in basso soprattutto per il reddito, la casa, il lavoro,
l’istruzione, l’ambiente, l’impegno civile. Sembra di leggere la Parte
I della Costituzione, che su questi temi è in specie colpita da
politiche regressive e conservatrici perché richiede risorse
e politiche attive per la propria realizzazione. La classifica
Ocse ci dice che il rispetto pieno della Costituzione farebbe bene ai
governanti oltre che ai governati.
L’architettura istituzionale
è decisiva non solo per l’organizzazione dei poteri, ma anche per la
tutela dei diritti che a quei poteri si chiede di realizzare. Il punto
è che i costituenti del 1948 avevano un progetto e guardavano
lontano. Mentre l’Ocse non segue le comparsate televisive e i
twitter di Renzi. Evidentemente, gufi formato esportazione.
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