Il video con cui Matteo Renzi ha spiegato (pubblicizzato) per
l’ennesima volta la Buona scuola, in nome del fatto che “ci sono ancora
quelli che non l’hanno capita”, è uno dei documenti più mediocri che
questo governo molto comunicativo abbia prodotto.
In diciassette minuti e mezzo, il presidente del consiglio riesce a
inanellare luoghi comuni e fumosità, senza mai entrare nel merito di
nessuna delle ragioni della protesta degli insegnanti.
La prima parte è tutta dedicata a una retorica stucchevole: per
poter essere una “superpotenza culturale”, l’Italia – sostiene Renzi –
deve ripartire dalla cultura e dall’educazione. “Anche se la buona
scuola c’è già in Italia: è la professoressa che, nonostante il
controsoffitto, o le difficoltà della banda larga, insegna a allargare
il cuore con una poesia; è l’insegnante di musica che fa un’orchestra in
una scuola di periferia”.
“Ma non chiamiamola riforma”, minimizza Renzi, “sono alcuni punti”,
liquidando di fatto l’opposizione di quelli che vedono in questo disegno
di legge una alterazione degli equilibri fondamentali della scuola. E
insiste che “se la chiariamo, vediamo in cosa non siamo d’accordo e in
cosa siamo d’accordo”.
Renzi riesce a inanellare luoghi comuni e fumosità, senza mai entrare nel merito della protesta degli insegnanti
Ma non è stata proprio la presentazione con le slide
di un mese fa ad amplificare il contrasto del mondo della scuola? Che
idea di dialogo tra le parti è quella in cui una delle due insiste a
dire che non è stata capita e deve rispiegare tutto da capo?
Comunque, lavagna e gessetto in mano, Renzi va dritto per la sua strada.
Sostiene che il primo punto – il più urgente – è l’alternanza
scuola-lavoro, “perché la disoccupazione giovanile è al 44 per cento”.
È davvero questo il punto più urgente? Non è forse più urgente che la
scuola sia veramente formativa? Non è prioritario combattere la
dispersione scolastica?
Comunque sia, anche in questo video non si spiega cosa vuol dire
l’alternanza scuola-lavoro. Se proviamo a capirlo non dal fumoso disegno
di legge, ma dalle dichiarazioni governative degli ultimi mesi, sembra
invalsa l’idea che istituti tecnici e professionali possano fornire
manodopera di bassa età e basso costo.
Un paio di esempi: di fronte alle proposte che vengono da più parti
d’innalzare l’obbligo a 18 anni (in Belgio, per esempio, e in Germania è
così per legge, e in molti paesi europei lo è di fatto), il governo
nemmeno affronta il tema.
Oppure, appena qualche settimana fa il ministro del lavoro Giuliano
Poletti dichiarava: “Un mese di vacanze va bene. Ma non c’è obbligo di
farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione… I miei
figli d’estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare
le casse. Sono venuti su normali, non sono speciali”. Nessuno del
governo ha provato a correggerlo.
Il secondo punto, scrive Renzi alla lavagna, è “Cultura umanista”.
Andando avanti ad ascoltare quello che dice dopo (“Chiediamo agli
studenti di studiare di più la storia dell’arte, la musica, le lingue”)
si potrebbe far notare che
a) nel disegno di legge la storia dell’arte
non è resa obbligatoria e il suo potenziamento non risulta
ordinamentale, bensì discrezionale;
b) fatto molto grave, viene data la
possibilità ai docenti di essere impiegati su di una determinata
disciplina in virtù del solo titolo di studio e non di competenze
maturate in seguito ad abilitazioni specifiche – al posto di storici
dell’arte pronti per l’immissione in ruolo esclusi dal reclutamento,
potrebbero insegnare storia dell’arte insegnanti assunti per essere
utilizzati al loro posto come organico funzionale.
Le banalità messe in fila una dopo l’altra fanno massa dal minuto
cinque al minuto sette: “Sono importanti anche le materie scientifiche e
quelle tecnologiche”, “c’è bisogno di restituire ossigeno alla scuola
italiana”, “ho incontrato Fabiola Gianotti del Cern, ha fatto il
classico”, ogni tanto qualche “entusiasmo” buttato qua e là.
Al video di Renzi su YouTube in questo momento ci sono circa 400 like e 3.000 dislike e i commenti sono disabilitati.
Tutto per arrivare al terzo punto che è: “Più soldi agli insegnanti”.
Gli insegnanti – che in Italia guadagnano una media di meno di
trentamila euro l’anno, che vedono congelati i loro stipendi da anni
(mentre in quasi tutta Europa la tendenza è opposta) e che non hanno
beneficiato in quasi nessun caso degli ottanta euro – non sono più
rispettati e autorevoli come una volta, dice Renzi. Ma non è strano che
succeda se, quando scioperano, il governo afferma che lo sciopero è
politico, o che sono burattini dei sindacati.
Comunque, con la Buona scuola gli insegnanti riceveranno 500 euro come voucher
per i consumi culturali: invece di un adeguamento dello stipendio,
avranno una paghetta. A meno che, chiosa Renzi, non continuino a
comportarsi in modo capriccioso, “a boicottare l’Invalsi o a minacciare
il blocco degli scrutini”.
Altri duecento milioni sono stanziati per la valutazione. E qui si
apre un mondo, la cui entrata infernale Renzi evoca soltanto: “Ci sono
professori arrabbiati con i colleghi fannulloni”. E quindi? S’immagina
una corsa a punti?
Sembra che chi ha progettato questa Buona scuola non abbia mai
sentito parlare della grande tradizione italiana di movimenti di
cooperazione educativa nella scuola, di Mario Lodi, di Gianni Rodari, di
Don Milani, delle scuole ispirate da Celestin Freinet, di Aldo
Visalberghi, del lavoro che altri ministri (criticati, ma giganti di
fronte all’attuale: da Franca Falcucci a Luigi Berlinguer) fecero per
riattualizzarne i principi e i metodi.
Possibile che non si riesca a proporre di valorizzare e finanziare
progetti collettivi che hanno semplicemente bisogno di risorse? Che
magari lavorano non per quell’idolo che è “il merito”, ma per
l’inclusione sociale e l’uguaglianza?
In questo video del 2012,
quando era ancora candidato alle primarie, Matteo Renzi lo sosteneva
ancora più esplicitamente: “Se introduco il merito nella scuola, frego
l’insegnante meno bravo”. Che idea di comunità docente è?
Ma questo è proprio il concetto che Matteo Renzi ha di uguaglianza:
“La scuola è un posto dove le disuguaglianze sono cancellate in partenza,
poi per carità di Dio, chi è più bravo andrà più veloce, chi è meno
bravo sarà aiutato, ma il punto di partenza dev’essere uguale per
tutti”. Anche nel video del 2012 sosteneva la stessa cosa: “Il merito è
un valore di sinistra. Perché devo affermare che l’uguaglianza non
significa che tutti devono arrivare allo stesso punto. Significa che
tutti devono partire dallo stesso punto”.
La scuola quindi non deve cercare di perseguire un’uguaglianza anche in itinere?
Eliminare la dispersione scolastica per esempio, cercare di ridurre il
più possibile le bocciature, curare un’educazione individualizzata in
modo da non lasciare indietro nessuno? Oppure deve stimolare la
competizione? Per battere non solo l’insegnante meno bravo, ma anche il
compagno meno capace?
A parte le banalità e le vaghezze – aprirsi al territorio, togliere
potere alle circolari ministeriali… – non viene detto nulla su due dei
punti più contestati della Buona scuola: il preside con troppo potere, e
il 5 per mille. Le critiche sono eluse: “È chiaro che il preside ha
delle responsabilità in più, ma non farà mai lo sceriffo”. E l’ombra dei
finanziamenti e dei condizionamenti dei privati per la programmazione
del consiglio d’istituto viene affrontata con un sorriso sprezzante.
Questa mancanza di confronto nel merito (“Mi sono promesso di non
parlare di aspetti tecnici”), soprattutto dopo lo sciopero del 5 maggio,
è forse la manifestazione più evidente dell’intolleranza alla critica.
Se venissero cancellate queste due note dolenti (preside manager e 5 per
mille) probabilmente la discussione del disegno di legge potrebbe
procedere con una minima serenità. Evidentemente se non lo si fa è
perché queste due micro-riforme sono centrali nel progetto.
Ed è un vero peccato di presunzione politica.
L’altro errore è quello sul lavoro. L’atto che il governo dovrebbe
compiere se volesse davvero instaurare il dialogo è quello a cui Renzi
accenna subito dopo quando parla dell’assunzione di centomila
insegnanti. Se venisse stralciato questo unico provvedimento in un
decreto legge ad hoc, è indubbio che i toni della protesta si
attenuerebbero. È ormai ovvio che non lo si fa perché non lo si vuole, e
che la questione della stabilizzazione è stata usata come un cavallo di
Troia per poter rivedere, senza un’ampia discussione col mondo della
scuola, alcuni dei suoi cardini fondanti.
Al video di Renzi su YouTube in questo momento ci sono circa 400 like
e 3.000 dislike e i commenti sono disabilitati. Chissà se è stata una
sua scelta arrotolarsi le maniche e mettersi davanti a una lavagna con i
gessetti colorati, o chi abbia consigliato a Renzi di fare questo nuovo
spot per la Buona scuola, ma – dopo la faticosa visione di questi
diciassette minuti – non si può davvero affermare che le linee della
riforma siano trasparenti. Quello che forse non è ancora chiaro a
qualcuno è che continuano proprio a non piacere.
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