Segnaliamo interessante intervista di Paolo Baroni a Michele Tiraboschi dal quotidiano la Stampa.
«Sui nuovi occupati i dati veri sono
quelli delle rilevazioni ufficiali Istat», avvisa Michele Tiraboschi,
giuslavorista e direttore del centro studi sul lavoro Adapt-Marco Biagi.
«Queste dell’Inps sono dati amministrativi – spiega – elaborazioni
ricavate dalle comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro al
ministero: è un susseguirsi di dati e stime a fini politici nel momento
in cui si discute se il Jobs act funziona o meno».
I dati veri, quelli dell’Istat, allora cosa ci dicono ?
«Che ogni anno stipuliamo tanti nuovi
contratti, ma che l’occupazione è stagnante. In un anno di riforme del
lavoro, da marzo 2014 quando è partita la liberalizzazione, cui poi ha
fatto seguito il contratto a tutele crescenti e tutto il resto, a marzo i
posti in più sono 30 mila».
Ma perchè tra Inps e Istat i dati sono così distanti tra loro ?
«Perchè i dati sulle comunicazioni
obbligatorie tengono conto solo del numero dei nuovi contratti stipulati
che possono essere a termine di apprendistato, tirocini e può capitare
che in un anno una stessa persona venga computata anche dieci volte.
L’Istat invece ci fornisce dati reali, elaborati in base ad una
specifica campionatura, e calcola i posti di lavoro effettivi».
Ma se ormai da mesi i contratti a tempo indeterminato stanno aumentando i due dati non dovrebbero ad avvicinarsi ?
«No. Perché un conto sono le assunzioni
aggiuntive e un altro le stabilizzazioni e le trasformazioni di
contratti già in essere, di una persona che già lavorava, magari con un
contratto a termine o di apprendistato».
Il ministro del Lavoro Poletti
sostiene che anche riuscire ad aumentare la qualità del lavoro,
riducendo la precarietà, è un risultato importante.
«Io sono un tecnico, non faccio valutazioni politiche. Partiamo dal piano tecnico: facile dire che aumentano i contratti stabili, ma non dimentichiamoci che sono contratti senza articolo 18. Dopo
uno, due o tre anni di esonero contributivo io posso lasciare a casa il
lavoratore pagando da 4 a 6 mensilità di indennizzo. Trovo
contraddittorio fare la propaganda contro la precarietà e poi
festeggiare perché ci sono più contratti stabili, ma di questo tipo».
E quale valutazione economica da invece ?
«Lo sgravio contributivo costa 15
miliardi di minori entrate. Rinunciare a questa fetta di soldi avrebbe
senso se si obbligasse le imprese ad assumere persone in più. E secondo i
consulenti mancano almeno 3 miliardi di coperture, io dico 5 miliardi.
Per cui questa operazione costerebbe 20 miliardi».
Per produrre cosa ?
«Non certo stabilità senza articolo 18. Bastano
seimila euro di indennizzo ed un lavoratore con contratti a tempo
indeterminato a tutele crescenti può essere lasciato a casa. Adesso è
più stabile un contratto a tempo determinato di tre anni rispetto ad un
contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti».
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