Il quadro dell'economia globale in questi mesi sembra
disegnato da un ubriaco. Per alcuni versi, specie in Europa, molti
straparlano di “crescita” pur prevedendo al massimo un “rimbalzino” di
un punto percentuale dopo tre anni di recessione tecnica (quantomeno per
l'Italia), che hanno abbattuto il Pil di parecchi punti e fatto
esplodere la disoccupazione un po' dovunque.
Fonti istituzionali continentali e mondiali, invece, hanno preso a
emettere preoccupati allarmi per la possibile, praticamente certa,
esplosione di “bolle finanziarie” create dalla stessa dinamica che è
stata invocata dalle stesse istituzioni! Ovvero dai quantitative easing
di lungo periodo decisi prima dalla Federal Reserve, poi dalla Banca
del Giappone e infine anche dalla Bce (ma sta facendo lo stesso, in
altre forme anche la banca centrale cinese, che continua per ora solo ad
abbassare i tassi di interesse).
Un complottista ignorante direbbe che ci stanno prendendo in giro. Un
marxista preferisce sottolineare che in realtà non ci stanno capendo
più un tubo, bloccati come sono dentro teorie macroeconomiche che
continuano tristemente a “prevedere il passato”.
Mettiamo in fila le notizie principali dei quotidiani economici,
graziosamente offerte come parti separate invece che – come dovrebbe
essere concepito in una economia globalizzata – come tessere dello
stesso mosaico.
Due giorni fa il presidente della Consob italiana – l'autorità di
controllo (teorico) sulla Borsa – è intervenuto dicendo che «L'enorme
liquidità affluita sui mercati borsistici ha contribuito a innalzare in
maniera repentina il valore dei corsi azionari. In particolare la
crescita del rapporto prezzo/utili potrebbe rappresentare un segnale di
rischio circa la possibilità che si formino bolle speculative». Non c'è
bisogno di una laurea in economia per capire che lo sforzo delle banche
centrali – stampare moneta da dare alle banche – invece di prendere,
come sperato, la via del finanziamento delle attività produttive reali,
si è invece indirizzata verso i titoli azionari (oltre che i titoli di
stato). In teoria, anche questo avebbe potuto provocare effetti
positivi, se le imprese quotate nelle varie borse del pianeta avessero
utilizzato parte del surplus finanziario così ottenuto in investimenti
produttivi, senza i quali non ci può essere alcuna crescita in ambiente
capitalistico.
Così non è stato, notoriamente (a parte in Cina, dove il capitalismo è
pesantemente “orientato” dalla politica governativa). Anzi, molte delle
multinazionali più importanti – Apple, per esempio, autentico recordman
in questo giochetto - hanno spinto anche loro il rialzo delle quotazioni
di borsa mediante un onerosissimo esborso destinato al riacquisto di
azioni proprie. Il perché è di una banalità sconcertante: in questo modo
gli amministratori delegati possono attribuirsi dei bonus molto più
consistenti, visto che la redditività finanziaria dell'azienda (al
contrario di quella legata alla vendita dei prodotti) è altissima.
Fuffa finanziaria invece che produzione reale. Sembra una cosa per
americani matti. Invece il Fondo Monetario Internazionale, nel report di
oggi, ha pesantemente bacchettato la Germania perché prevede investimenti pubblici inadeguati
rispetto al surplus delle entrate fiscali che Berlino può vantare.
Sarebbe esilarante, se non fosse un segnale tragico di schizofrenia.
Mentre si “prescrive” a ogni paese con grandi problemi di debito e di
crescita di tagliare gli investimenti pubblici (tutta la spesa statale è
di fatto un “contributo” alla crescita economica, una creazione di
domanda solvibile), a quello che sta meglio di tutti grazie agli
squilibri creati dai trattati dell'Unione Europea si chiede di fare il
contrario, rispolverando argomentazioni keynesiane condannate un attimo
prima.
C'è un senso, in questa richiesta. La Germania, senza fare
praticamente nulla – né una nuova sanguinosa “riforma del mercato del
lavoro”, né un taglio delle pensioni o del welfare, ecc – ha goduto alla
grande della possibilità di rifinanziare il proprio debito pubblico a
gratis, per anni. Mentre i partner continentali sborsavano quote
crescenti di entrate fiscali soltanto per onorare il “servizio del
debito” (le cedole garantite ai prestatori). Al punto di sforare
ripetutamente verso l'alto – senza subire alcuna sanzione né “procedura
di infrazione” - i limiti previsti da Maastricht. Logica vorrebbe che
ora Berlino contribuisse con il suo surplus alla crescita collettiva del
continente, investendo quanto serve a “stimolare” economie indebolite,
deindustrializzate, immiserite.
Naturalmente il duo Merkel-Schaeuble non ci pensa nemmeno, drogati
come sono di ordoliberalismo sul piano intellettuale e di egemonismo
industriale tedesco su quello pratico. La "solidarietà europea" è ottima
per la retorica da cerimonia, non per le pratiche reali (basta guardare
la vicenda delle migrazioni, no?).
Anche questo si muove in assoluta sintonia, insomma, con quella
predilezione per le attività puramente speculative che domina sui
mercati globali. Perché immobilizzare capitale in attività produttive
che garantiscono profitti incerti, o comunque bassi, su tempi lunghi (le
merci devono essere prodotte, distribuite, vendute, ecc), quando invece
si può incassare di più in nanosecondi soltanto con un clic sui tasti
“compra” e “vendi”?
L'unico elemento di perturbazione proveniente dal mondo reale resta
al momento solo la spina greca. L'unione Europea sta aumentando la
pressione sul governo Syriza, tra una intimazione (“il tempo sta per
scadere”) e un ricatto concreto (la tranche di prestito da 7,2 miliardi è
bloccata da due mesi e mezzo). Atene resiste retrocedendo, per non
essere costretta a rinunciare a tutte le promesse elettorali, sperando
di poterne conservare almeno qualcuna.
Ma non sembra esserci molto spazio di manovra. Il sistema di trattati
non prevede eccezioni serie alle politiche “consigliate” a tutti i
paesi. Una eventuale “diversità” concessa alla Grecia (sulle mercato del
lavoro, sulle pensioni, sulla sanità, le assunzioni pubbliche, ecc)
potrebbe essere immediatamente invocata da paesi con problemi simili,
ancorché al momento meno gravi. Il Fmi sta preparando un suo “piano B”
nel caso di default ellenico, perché le banche greche hanno un ruolo
importante nel sistema finanziario dei paesi limitrofi (Cipro,
Macedonia, Bulgaria, ecc), anche se proprio ieri ha ricevuto da Atene
760 milioni di rimborso che sembravano a rischio (e avrebbero aperto il
default sul piano tecnico).
Comprensibile che il governo Tsipras non voglia trovarsi
nell'epicentro di un terremoto incalcolabile, per di più incolpato di
averlo "provocato". Meno, molto meno, che Berlino e Bruxelles giochino
col fuoco - o con lo spillo che può bucare la "bolla" - soltanto per
ottenere una dimostrazione-conferma del proprio potere sui singoli paesi
Piigs.
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