Dio è morto Marx è morto e anch’io, dopo aver letto i giornali, non sto molto bene. Diomio, non bastava Renzi, è tornato in pista anche Casini, proprio lui, il Pierferdy, meglio noto come il Pierfurby. È tornato in pista, a tutto spiano su giornali e tv: con la faccia (si fa per dire) sua di sempre, il look di lungo corso suo di sempre, la rotonda, perentoria voce sua di sempre ci fa sapere che è tornato per “il bene dell’Italia”. E, per non lasciare equivoci, lancia subito la Domanda del secolo: «Se con Berlusconi ci può parlare Renzi, perché non ci posso parlare io?». Giusto.
Il “bene dell’Italia”, cioè il richiamo della poltrona sua, è per Pierfurby irresistibile come quello della foresta per Zanna Bianca. È pronto, sono qua, eccomi Silvio, tutto come prima.
Va bene. Dicono che il Pierferdy ha dato il meglio di sé in una famosa estate del 1995, quando si è fatto vedere tutto nudo in Costa Smeralda. Dicono che Forlani, suo “padre” politico, si vantasse di avere due figli, Follini e Casini, «uno bello e uno intelligente»: e Casini è quello bello. Dicono che ne ha combinate tante.
Giorni di lavoro, zero, non uno che uno, essendo lui nato già “politico di mestiere”. Più che una vita, la sua, una giostra a cavallo (di un seggio). My destiny.
Si è appena laureato (giurisprudenza) nell’anno di grazia 1979 e nel 1980 è già in carriera, ranghi Dc, dirigente giovanile e consigliere comunale a Bologna. Tre anni, 1983, è già deputato; e via, chi lo ferma più.
Dopo essere stato il protetto di Antonio Bisaglia, passa nella scuderia assai più potente di Arnaldo Forlani e, ipso facto, entra nella direzione nazionale della Balena Bianca. Appunto, chi lo ferma più, in quella sua specialità che è l’inseguimento della poltrona.
Prima con Martinazzoli, poi con Mastella, nel 1994 lascia la Dc e fonda il Centro cristiano democratico (Ccd), grazie al quale diventa deputato europeo. Poi si affaccia Berlusconi e Pier, il figlio bello di Forlani, è da subito con lui, socio e sodale pure con la Lega, e via in corsa. Poi si allea con i Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione, poi è il tempo della partecipazione al governo targato Ulivo, poi il momento che lo vede presidente della Camera. Poi con Buttiglione fonda l’Udc, scorrono gli anni felici della sua alleanza col Polo della libertà, boia chi molla (la poltrona). Puntando appunto a quella di premier, è l’ora dell’alleanza con Fini, nel 2009 rompe la sin qui assai redditizia società con Berlusconi; è l’ora della “Rosa Bianca”, dei Circoli liberal, dell’Unione di Centro (della quale è prontamente capogruppo alla Camera); poi arriva il governo Monti, e lui sempre prontamente entra nella “strana maggioranza”, non senza aver formato con destrezza la coalizione “Scelta civica di Monti per l’Italia”. Ciò che gli porta in dono la poltrona di cui non può fare a meno: nella fattispecie, un seggio al Senato (addirittura eletto come capolista sia in Basilicata che in Campania). A Monti caduto succede il governo Letta, ma a lui non fa in baffo, lui è ancora e sempre lì, in veste di presidente della Commissione Esteri del Senato; e in più si porta a casa due bei posticini nell’esecutivo per la sua Udc (non è mica Pierfurby per niente, e pazienza se nelle elezioni del 2013 il suo partito è uscito pressoché dimezzato).
È arrivato intanto il 2014, tira aria di union sacreé Renzi-Berlusconi, il governo Letta in bilico; prontamente il suo occhio addestrato corre alla poltrona (prossima ventura) ed eccolo, con mossa fulminea già ha provveduto a ricucire con Berlusconi, meglio andare sul sicuro…, eccomi, sono sempre io, Pierferdy, sono qui…
Macché Attila, Casini for ever.
MARIA R. CALDERONI
da Liberazione.it
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