La locomotiva tedesca proprio non ne vuole sapere di rallentare. L’enorme surplus tedesco, che già aveva allertato Stati Uniti e Commissione Europea lo scorso autunno, ha raggiunto nel 2013 la cifra record di €198,9 miliardi (superando anche i €195,3 pre-crisi del 2007). Anche il Segretario del Tesoro statunitense Jacob Lew
ha ribadito che “politiche per promuovere la domanda interna sarebbero
un bene per l’economia tedesca e quella mondiale”. Ma soprattutto,
aiuterebbero a uscire dalla crisi il maggior partner commerciale della
Germania: l’Europa.
Il problema è semplice: in un’ottica
keynesiana, la crisi economica, erodendo i risparmi dei cittadini, ha
abbattuto la domanda interna dei paesi europei. I governi, che
dovrebbero sostituirsi agli investimenti privati per rilanciare la
domanda, hanno le mani legate dal Patto di Stabilità e
dalle politiche di austerity imposte dai paesi creditori. L’unica
componente della domanda aggregata che potrebbe rilanciare la crescita
sono le esportazioni.
Ma chi dovrebbe comprare?
Chi cresce, ovvio. Cioè la Germania. Che, invece di comprare (cioè
importare), vende (esporta). Il suo modello però funziona: il grande
surplus commerciale è ciò che le permette di crescere nonostante
un’Europa ancora in recessione. I motivi strutturali che la rendono
tanto competitiva sono tre:
1) Salari tenuti bassi: dal 1995 a oggi sono cresciuti nominalmente di 21 punti percentuali in meno rispetto alla media dell’Eurozona.
2) Il tasso di cambio debole: un paese esportatore come la Germania dovrebbe vedere la propria valuta rafforzarsi sui mercati, ma l’euro rappresenta anche le economie più deboli dell’Europa meridionale. Risultato: un tasso di cambio abbastanza debole per i tedeschi e troppo forte per tutti gli altri.
3) Bassa inflazione: fra i paesi che per primi adottarono l’euro nel 1999, la Germania è quella che ha registrato fra i più bassi tassi d’inflazione. In un regime di cambi fissi come quello dell’Eurozona, significa che oggi i prezzi dei suoi prodotti sono aumentati meno e sono quindi più competitivi.
2) Il tasso di cambio debole: un paese esportatore come la Germania dovrebbe vedere la propria valuta rafforzarsi sui mercati, ma l’euro rappresenta anche le economie più deboli dell’Europa meridionale. Risultato: un tasso di cambio abbastanza debole per i tedeschi e troppo forte per tutti gli altri.
3) Bassa inflazione: fra i paesi che per primi adottarono l’euro nel 1999, la Germania è quella che ha registrato fra i più bassi tassi d’inflazione. In un regime di cambi fissi come quello dell’Eurozona, significa che oggi i prezzi dei suoi prodotti sono aumentati meno e sono quindi più competitivi.
Il modello tedesco, cioè crescita trainata dalla
domanda estera, è sostenibile solo in presenza di paesi che comprano: il
suo grande surplus è stato possibile anche grazie all‘indebitamento degli stati dell’Europa meridionale.
Ora che la crisi ha depresso la loro domanda interna, questi paesi
hanno bisogno di aggrapparsi alla domanda estera di chi riesce ancora a
crescere. Un ruolo che dovrebbe essere della Germania, ma che continua a
rifiutare mantenendo bassa la domanda interna e limitati gli
investimenti. Questa situazione finirà per danneggiare anche la Germania
stessa.
Elaborazione su dati Eurostat/Bundesbank: esportazioni di beni e servizi, crescita percentuale
L’Eurozona rappresenta da sola più di un terzo di tutti l’export tedesco.
Dal grafico si può notare come le esportazioni verso questi paesi sia
in diminuzione rispetto al 2011, e ancora sotto i livelli pre-crisi del
2008. Al contrario, l’export verso i paesi fuori dall’euro è in costante
crescita, uno più di tutti: la Cina.
La Cina è il secondo
maggiore partner commerciale tedesco fuori dall’Ue, la Germania il
maggior partner cinese in Europa. Gli economisti parlano di “perfetta
simbiosi” fra le due economie: la tecnologia tedesca in cambio del
mercato cinese. Se la domanda nel vecchio continente sta calando (-1,2% rispetto al 2012), le esportazioni verso la Cina sono salite quasi del 700% rispetto agli anni duemila, grazie alla forte richiesta di auto di lusso e prodotti high-tech.
Sembra
che sia in atto quindi uno spostamento del baricentro commerciale
tedesco, dall’Europa continentale verso i ben più floridi mercati
d’oriente. Ma tutto questo potrebbe non durare: la Cina, da sempre
specializzata nei beni a basso costo, grazie all’importazione di
know-how tedesco sta diventando sempre più aggressiva nei settori più
strategici per l’export tedesco, quali automobili, tecnologia “smart
grid”, macchinari industriali, alta velocità ed energie rinnovabili. La
“perfetta armonia” potrebbe finire, e trasformarsi in concorrenza.
Una
nazione trainata dalle esportazioni è una nazione dipendente
dall’andamento economico dei paesi compratori. Nonostante il costante
consolidamento dei rapporti con la Cina, essa rappresenta ancora poco
più del 6% del mercato tedesco. Il più grande partner
commerciale resta l’Unione Europea. Se questi paesi smetteranno di
comprare, non basteranno gli investimenti cinesi a salvare il modello
germanico. Rilanciare la domanda interna, abbassare il surplus
commerciale e sostenere la crescita dell’Eurozona è una necessità per
Berlino. Il nuovo governo dovrebbe saperlo: la locomotiva traina il
treno, ma la sua velocità dipende da quella dei vagoni.
di Luca Gemmi (Fonte: www.economiaepolitica.it, 26 febbraio 2014)
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