Un
governo debole che dovrebbe sfidare le angosce terribili di un paese
che si percepisce come immerso in una cupa fase di decadenza: questo è
il vero profilo dell’esecutivo annunciato ieri dopo il passaggio al
Quirinale. I media più conformistici esaltano in coro l’esito
dell’operazione di palazzo affermando che la principale risorsa del
gabinetto è proprio l’energia vitalistica di Renzi. Ben strano modo di
ragionare delle prospettive e della efficacia di una formula di governo
concentrandosi sugli sprazzi di apparente potenza di un corpo!
La Repubblica, che finché governava Letta era in costante polemica contro le larghe e piccole intese con il nemico, ora cambia giudizio perché la vita, l’energia fisica del fiorentino trasformano la natura stessa di una formula politica di per sé mortifera: chiacchiere impolitiche di un circuito mediatico che ha delle profonde responsabilità per il decadimento italiano. Il problema principale di questa esperienza di governo che sta per nascere concerne proprio la levatura sbiadita del presidente del consiglio. Senza alcuna esperienza istituzionale, privo di ogni conoscenza dei meccanismi parlamentari, al digiuno di qualsiasi proiezione europea (ad affiancarlo nei passaggi più delicati sarà Del Rio, con alle spalle però solo un passato di sindaco di Reggio Emilia e poco più) non può essere esaltato acriticamente come una straordinaria risorsa solo in quanto il suo corpo è percepito come un deposito di indomabile energia.
Al posto del voto, dei programmi e delle formule, Repubblica finirà per proporre una gara a braccio di ferro tra i contendenti alla leadership: la vita contro la forma! Passare dalla figura di consumato politico pop che ha la battuta sempre calda, a quella di statista freddo e distaccato, in grado di cogliere le opportunità e i rischi della scelta legislativa, non è certo agevole. E anche ieri nelle austere stanze del Colle non sono mancate inutili citazioni pop (Celentano stavolta), momenti di pubblicità indiretta (al festival di Sanremo e a una nota marca di computer), trite metafore sulla bellezza, la speranza etc. Ai media più influenti Renzi piace sino all’inverosimile perché con i suoi proclami trasferisce il metodo stamina alla politica. E cioè, al cospetto di disagi, crisi, disperazione, caduta di ogni principio di speranza, egli si prefigge di colpire il male radicale con generici annunci di trionfi e con un inesauribile chiacchiericcio edificante. Così si spiega la stupefacente metafisica renziana di una grande riforma al mese, che nessuno tra gli osservatori ha osato sgonfiare per la sua manifesta infondatezza.
Davvero Renzi intende smuovere il gigante addormentato della amministrazione centrale e periferica con le cure riformistiche escogitate da Boschi e da Madia? L’inesperienza in politica non produce alcun miracolo, consegna piuttosto il potere vero alle burocrazie che sanno come scegliere, rinviare, depistare e farsi beffa dell’insipienza di politici alle prime armi. Nella composizione del governo, Renzi ha dato prova al tempo stesso di superbia (rimozione della Bonino, di Moavero che magari potevano essere utili in giro per il mondo) ma anche di una rivelatrice insicurezza.
Proprio un leader insicuro (per il troppo impeto naturale che lo agita e per la poca distaccata ragione che lo alimenta) preferisce avvalersi del supporto di figure grigie o comunque di scarsa competenza e risolutezza. Teme che degli autorevoli politici possano procurargli una intollerabile ombra.
La qualità politica dell’esecutivo è per questo imbarazzante nel complesso. Ciò accade perché la rottamazione, tra le altre cose, è stata la distruzione di una classe politica autorevole, che si produce con gli anni e con le difficoltà della selezione efficace. L’invenzione dal nulla (cioè solo sulla base di legami personali con il leader) di una classe di governo non porta molto lontano. Renzi l’insicuro circa le effettive sue doti della leadership, ha bisogno di ministri politicamente deboli e poco autorevoli. Ha tolto senza remore un esperto di questioni istituzionali come Quagliariello e ha lasciato in carica solo il sempre a galla Franceschini, statista improbabile, ma visto che si trattava di uno spietato sodale nei riusciti complotti ai danni di Letta era da ritenersi un intoccabile. Con gli stessi limiti politici del governo precedente (con la complicazione del nuovo ministro Guidi, di strettissima osservanza berlusconiana), con la grave carenza di risorse, l’esecutivo dovrebbe guardarsi dal raccontare favole e rifuggire dalla tentazione di spacciare a buon mercato delle ricette miracolose.
Il Corriere, Repubblica appoggiano invece Renzi sulla base di un argomento scivoloso: tentiamo con lui l’ultima carta utile, prima della catastrofe. Ma questi sono atteggiamenti da irresponsabili che, nella scommessa in un salvatore, invocano una sorta di metodo stamina nelle vicende politiche. Trasformare il politico predestinato in un santone non aiuta a curare la crisi e a tenere a bada i due comici del populismo che incalzano da vicino.
La Repubblica, che finché governava Letta era in costante polemica contro le larghe e piccole intese con il nemico, ora cambia giudizio perché la vita, l’energia fisica del fiorentino trasformano la natura stessa di una formula politica di per sé mortifera: chiacchiere impolitiche di un circuito mediatico che ha delle profonde responsabilità per il decadimento italiano. Il problema principale di questa esperienza di governo che sta per nascere concerne proprio la levatura sbiadita del presidente del consiglio. Senza alcuna esperienza istituzionale, privo di ogni conoscenza dei meccanismi parlamentari, al digiuno di qualsiasi proiezione europea (ad affiancarlo nei passaggi più delicati sarà Del Rio, con alle spalle però solo un passato di sindaco di Reggio Emilia e poco più) non può essere esaltato acriticamente come una straordinaria risorsa solo in quanto il suo corpo è percepito come un deposito di indomabile energia.
Al posto del voto, dei programmi e delle formule, Repubblica finirà per proporre una gara a braccio di ferro tra i contendenti alla leadership: la vita contro la forma! Passare dalla figura di consumato politico pop che ha la battuta sempre calda, a quella di statista freddo e distaccato, in grado di cogliere le opportunità e i rischi della scelta legislativa, non è certo agevole. E anche ieri nelle austere stanze del Colle non sono mancate inutili citazioni pop (Celentano stavolta), momenti di pubblicità indiretta (al festival di Sanremo e a una nota marca di computer), trite metafore sulla bellezza, la speranza etc. Ai media più influenti Renzi piace sino all’inverosimile perché con i suoi proclami trasferisce il metodo stamina alla politica. E cioè, al cospetto di disagi, crisi, disperazione, caduta di ogni principio di speranza, egli si prefigge di colpire il male radicale con generici annunci di trionfi e con un inesauribile chiacchiericcio edificante. Così si spiega la stupefacente metafisica renziana di una grande riforma al mese, che nessuno tra gli osservatori ha osato sgonfiare per la sua manifesta infondatezza.
Davvero Renzi intende smuovere il gigante addormentato della amministrazione centrale e periferica con le cure riformistiche escogitate da Boschi e da Madia? L’inesperienza in politica non produce alcun miracolo, consegna piuttosto il potere vero alle burocrazie che sanno come scegliere, rinviare, depistare e farsi beffa dell’insipienza di politici alle prime armi. Nella composizione del governo, Renzi ha dato prova al tempo stesso di superbia (rimozione della Bonino, di Moavero che magari potevano essere utili in giro per il mondo) ma anche di una rivelatrice insicurezza.
Proprio un leader insicuro (per il troppo impeto naturale che lo agita e per la poca distaccata ragione che lo alimenta) preferisce avvalersi del supporto di figure grigie o comunque di scarsa competenza e risolutezza. Teme che degli autorevoli politici possano procurargli una intollerabile ombra.
La qualità politica dell’esecutivo è per questo imbarazzante nel complesso. Ciò accade perché la rottamazione, tra le altre cose, è stata la distruzione di una classe politica autorevole, che si produce con gli anni e con le difficoltà della selezione efficace. L’invenzione dal nulla (cioè solo sulla base di legami personali con il leader) di una classe di governo non porta molto lontano. Renzi l’insicuro circa le effettive sue doti della leadership, ha bisogno di ministri politicamente deboli e poco autorevoli. Ha tolto senza remore un esperto di questioni istituzionali come Quagliariello e ha lasciato in carica solo il sempre a galla Franceschini, statista improbabile, ma visto che si trattava di uno spietato sodale nei riusciti complotti ai danni di Letta era da ritenersi un intoccabile. Con gli stessi limiti politici del governo precedente (con la complicazione del nuovo ministro Guidi, di strettissima osservanza berlusconiana), con la grave carenza di risorse, l’esecutivo dovrebbe guardarsi dal raccontare favole e rifuggire dalla tentazione di spacciare a buon mercato delle ricette miracolose.
Il Corriere, Repubblica appoggiano invece Renzi sulla base di un argomento scivoloso: tentiamo con lui l’ultima carta utile, prima della catastrofe. Ma questi sono atteggiamenti da irresponsabili che, nella scommessa in un salvatore, invocano una sorta di metodo stamina nelle vicende politiche. Trasformare il politico predestinato in un santone non aiuta a curare la crisi e a tenere a bada i due comici del populismo che incalzano da vicino.
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