Dunque, contro Napolitano e pro-Renzi le manovre avanzano, serve un cambio di passo. Già, ma a chi serve? E per cosa?
Lo scoop del Corsera sul passaggio di consegne nel 2011 da
Berlusca a Monti di per sé non contiene nulla di nuovo se non forse sul
ruolo del finanziere De Benedetti e di Prodi. La novità è invece lo
spodestamento di fatto dello stesso re Giorgio fin qui primo garante
della stabilità di governo per il rispetto degli impegni finanziari
internazionali e interni. (Non c’è più riconoscenza a questo mondo).
Nessuno in alto vuole andare al voto. Troppa incertezza, e non solo
perché l’anomalia grillina, piaccia o non piaccia, resiste e a volte sa
piazzare colpi che fanno male, come nella vicenda del regalo alle
banche. Renzi, dopo aver letteralmente rimesso in campo un gongolante
cavaliere con il disegno di riforma elettorale - che rivela la
dabbenaggine veltronista del ragazzone: ci fai o ci sei? - teme ora che
neppure la blindatura bipolarista potrebbe bastare, il clima sociale
del paese è peggiorato, neanche le minime aspettative che il voto
potrebbe sollevare van bene. Meglio allora limitarsi all’investitura
delle primarie da parte di un popolo della sinistra sempre più
scompaginato e rincoglionito in basso e con l’acqua alla gola in alto
(v. la corsa a ostacoli reciproci tra Camusso e Landini per saltare sul
carro del vincitore).
Intanto, l'Italia non si schioda dalla recessione e il debito sale.
All’orizzonte, nient’altro che la cura Electrolux per le fabbriche che
resteranno in piedi o per le “delocalizzazioni all’incontrario” che
atterreranno in Italia in cambio di condizioni “alla polacca”.
Privatizzazioni e salvataggi di banche per continuare a pagare pegno
agli strozzini del debito. Tagli indiscriminati al welfare che non
potranno questa volta non coinvolgere il lavoro del P.I., finora
toccati marginalmente. La “cura” interna che si prepara farà
impallidire quella Monti-Fornero, e la chiameranno “ricetta per la
crescita” (col Jobs Act a fare da viatico).
E allora? Sbaglieremo ma gli intrallazzi in atto difficilmente sono
riducibili al giochino tra il Letta democristiano old style e il
similpaninaro Renzi nuovista con rispettivi sponsor interni. Non che
non contino le tensioni tra cordate politico-economiche e mediatiche.
Né si tratta di indulgere a semplicistiche letture complottistiche
(anche se i “complotti”, ci dicono lor signori, esistono). Ma le pedine
interne non danno tutto il quadro.
L’intero quadro economico internazionale si sta offuscando. La Fed deve, anche se non vorrebbe, ritirare un po’ dell’enorme liquidità immessa in questi anni perché la bolla
speculativa che si è creata è più grossa di quella antecrisi e minori
sono gli strumenti per ovviare oggi a un eventuale suo scoppio.
L’Abenomics, brutta copia della ricetta keynesiano-finanziaria Usa,
sta miseramente fallendo. La Cina deve raffreddare la sua economia
pena esporsi ai contraccolpi in vista. A pagare sono per ora i “paesi
emergenti”. Ma anche la pausa nello scontro dollaro-euro,
dopo la prima tornata del 2010-11 stoppata dalla Germania, potrebbe a
questo punto saltare vista la mancata ripresa Usa: anche sulla Ue si
rovescerebbe di nuovo il classico gioco statunitense di scarico della
crisi... mentre, guarda caso, si avvicinano elezioni europee non facili.
(E pensare che qualcuno vede all’orizzonte il “fallimento”
dell’austerity e/o pensa che Fed e Obama ci hanno salvati dalla Merkel
unica cattivona… ma si sa, chi si accontenta gode).
Non vorremmo passare per anti-yankee a prescindere, ma
piazzare proprie pedine (oltre a Renzi, Draghi alla presidenza?) o alla
peggio incasinare l’Italia -comunque un peso medio in Europa- prepara
un terreno più favorevole a Washington nelle tensioni internazionali,
economiche e geopolitiche, che inevitabilmente ritornano. Mal che vada,
ci si può pappare tutto il residuo mangiabile (parola, se non basta
quella dei Mieli, De Benedetti, Profumo ecc., del consigliere renziano
già McKinsey & C. Gutgeld, nomen omen) comprese le non trascurabili riserve di risparmi (che gli insider hanno già trasferito al sicuro). Per carità, in nome del debito pubblico… bene comune!
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