a cura di Simone Mucci e Veronica Pavoni
Alcuni
movimenti come Lotta Comunista e il Partito Comunista dei Lavoratori
hanno mostrato un certo scetticismo e sfavore nella lista Tsipras,
definendola l’ennesimo tentativo riformista destinato al fallimento.
Cosa può dirci in proposito?
Se questi movimenti stanno organizzando la Rivoluzione io li seguo, ma per il momento non credo, quindi probabilmente ci dovremmo accontentare anche di questo riformismo che si propone come alternativa concreta per cambiare qualcosa nella condizione di milioni di cittadini italiani ed europei. Questi sono gruppi velleitari e destinati al fallimento, lo dico con grande disincanto e naturalmente con umana simpatia, ma anche con senso critico perché spesso conducono tanti giovani in un vicolo cieco. E’ pur vero che la politica si è ridotta come si è ridotta, ma il tentativo della lista Tsipras non si configura come l’ennesimo tentativo riformistico, poiché è coordinato da persone al di fuori di ogni sospetto sotto questo profilo. Persone come Luciano Gallino, Marco Revelli, Guido Viale, non sono certo riformisti soliti, sono piuttosto figure di grande rigore, coerenza, e portatori di visioni alternative allo sviluppo capitalistico presente.
Analizzando questo quadro della sinistra italiana da un punto di vista storico, si potrebbe azzardare una certa analogia fra gli errori commessi dalla sinistra degli anni ’30, che troppo tardi fece Fronte Comune contro il fascismo, e la sinistra del nostro tempo che ancora una volta si divide?
Certo, si ripropone una vecchia storia. Io ho una grande ammirazione per Tsipras perché lui, in Grecia, in una situazione di tragedia nazionale, è riuscito a mettere insieme i gruppi dispersi di una sinistra frantumata e ne ha fatto un partito che ha raggiunto il 26%, dando speranza e coerenza a questo popolo della sinistra che può costituire un’alternativa. Negli anni ’30 si arrivò alla teoria del social-fascismo, creando una spaccatura terribile all’interno del campo socialista, indebolendo quel fronte che si sarebbe potuto porre come alternativa a un mondo che virava violentemente a destra nel fascismo, nel nazismo, nel franchismo. Noi lo capimmo tardi. Ricordo che Gramsci, quando dovette dare il nome al giornale del nascente Partito Comunista nel 1924, lo chiamò l’Unità, giornale che quest’anno fa 90 anni. Un glorioso giornale tuttavia finito male. Gramsci lo chiamò L’Unità proprio perché aveva capito che l’elemento di debolezza della sinistra è la disunione. Naturalmente non è facile mettere insieme queste diversità, specialmente nell’odierna epoca del pluralismo, ma è necessario unire le formule. Chi domina trova l’unità nel collante del potere, mentre noi che il potere non lo abbiamo dovremmo unirci: invece andiamo a spaccare il capello e ciascuno cerca di coltivarsi la propria verità e purezza in solitudine, in quell’impotenza che nel frattempo permette al potere di asfaltarci.
Andando ad approfondire questa sua fiducia nella Lista Tsipras, può riassumerci i punti fondamentali che questa sinistra europea porta avanti? In particolare in merito al reddito di cittadinanza.
La Lista Tsipras vuole presentarsi all’Europa non per uscire dall’euro e distruggere l’Europa, ma per renderla più solidale, per ricostruire le strutture, ridiscutere i trattati e la questione del debito pubblico dei paesi più indebitati, così da definire e cadenzare il rientro dal debito in tempi più lunghi e con modalità diverse da quelle da strozzinaggio che oggi ci vengono imposte. Se ogni anno, con questa crescita del PIL che non c’è, l’Italia dovesse continuare a togliere 60 miliardi dal proprio bilancio per rientrare del debito, l’Italia non ce la farà. Visto che uscire dall’euro sarebbe una tragedia, dobbiamo imporre all’Europa una nuova modalità per rientrare del debito. C’è da ridiscutere l’impianto finanziario e fiscale dell’Europa: vogliamo una fiscalità progressiva, per cui chi ha di più deve pagare di più e chi ha di meno deve pagare di meno. Occorre ripensare i rapporti con i paesi del Mediterraneo a livello commerciale: pratichiamo ancora una politica neocoloniale nei confronti di questi paesi. Riguardo al reddito di cittadinanza, questo è il punto fondamentale del programma: siamo società mature e ricche dove si accumulano patrimoni immensi nelle mani di poche persone, questi patrimoni non posso essere così elevati, vanno in parte utilizzati per ridistribuire la ricchezza. Il reddito di cittadinanza è un salto di civiltà poiché implica che tutti i cittadini abbiano la sicurezza della vita e della dignità. Quand’anche ci fossero cittadini passivi e improduttivi, anche questi metterebbero in moto l’economia consumando, facendo acquisti. In questa situazione di estrema disparità di ricchezza, la macchina economica si inceppa poiché la massa monetaria diventa speculazione finanziaria e i poveri non consumano. Reddito di cittadinanza, se c’è una progettualità culturale, vuol dire anche mettere in moto impegni sociali nell’ambito del volontariato, dell’ecologia, della tutela e cura del bene comune.
Se questi movimenti stanno organizzando la Rivoluzione io li seguo, ma per il momento non credo, quindi probabilmente ci dovremmo accontentare anche di questo riformismo che si propone come alternativa concreta per cambiare qualcosa nella condizione di milioni di cittadini italiani ed europei. Questi sono gruppi velleitari e destinati al fallimento, lo dico con grande disincanto e naturalmente con umana simpatia, ma anche con senso critico perché spesso conducono tanti giovani in un vicolo cieco. E’ pur vero che la politica si è ridotta come si è ridotta, ma il tentativo della lista Tsipras non si configura come l’ennesimo tentativo riformistico, poiché è coordinato da persone al di fuori di ogni sospetto sotto questo profilo. Persone come Luciano Gallino, Marco Revelli, Guido Viale, non sono certo riformisti soliti, sono piuttosto figure di grande rigore, coerenza, e portatori di visioni alternative allo sviluppo capitalistico presente.
Analizzando questo quadro della sinistra italiana da un punto di vista storico, si potrebbe azzardare una certa analogia fra gli errori commessi dalla sinistra degli anni ’30, che troppo tardi fece Fronte Comune contro il fascismo, e la sinistra del nostro tempo che ancora una volta si divide?
Certo, si ripropone una vecchia storia. Io ho una grande ammirazione per Tsipras perché lui, in Grecia, in una situazione di tragedia nazionale, è riuscito a mettere insieme i gruppi dispersi di una sinistra frantumata e ne ha fatto un partito che ha raggiunto il 26%, dando speranza e coerenza a questo popolo della sinistra che può costituire un’alternativa. Negli anni ’30 si arrivò alla teoria del social-fascismo, creando una spaccatura terribile all’interno del campo socialista, indebolendo quel fronte che si sarebbe potuto porre come alternativa a un mondo che virava violentemente a destra nel fascismo, nel nazismo, nel franchismo. Noi lo capimmo tardi. Ricordo che Gramsci, quando dovette dare il nome al giornale del nascente Partito Comunista nel 1924, lo chiamò l’Unità, giornale che quest’anno fa 90 anni. Un glorioso giornale tuttavia finito male. Gramsci lo chiamò L’Unità proprio perché aveva capito che l’elemento di debolezza della sinistra è la disunione. Naturalmente non è facile mettere insieme queste diversità, specialmente nell’odierna epoca del pluralismo, ma è necessario unire le formule. Chi domina trova l’unità nel collante del potere, mentre noi che il potere non lo abbiamo dovremmo unirci: invece andiamo a spaccare il capello e ciascuno cerca di coltivarsi la propria verità e purezza in solitudine, in quell’impotenza che nel frattempo permette al potere di asfaltarci.
Andando ad approfondire questa sua fiducia nella Lista Tsipras, può riassumerci i punti fondamentali che questa sinistra europea porta avanti? In particolare in merito al reddito di cittadinanza.
La Lista Tsipras vuole presentarsi all’Europa non per uscire dall’euro e distruggere l’Europa, ma per renderla più solidale, per ricostruire le strutture, ridiscutere i trattati e la questione del debito pubblico dei paesi più indebitati, così da definire e cadenzare il rientro dal debito in tempi più lunghi e con modalità diverse da quelle da strozzinaggio che oggi ci vengono imposte. Se ogni anno, con questa crescita del PIL che non c’è, l’Italia dovesse continuare a togliere 60 miliardi dal proprio bilancio per rientrare del debito, l’Italia non ce la farà. Visto che uscire dall’euro sarebbe una tragedia, dobbiamo imporre all’Europa una nuova modalità per rientrare del debito. C’è da ridiscutere l’impianto finanziario e fiscale dell’Europa: vogliamo una fiscalità progressiva, per cui chi ha di più deve pagare di più e chi ha di meno deve pagare di meno. Occorre ripensare i rapporti con i paesi del Mediterraneo a livello commerciale: pratichiamo ancora una politica neocoloniale nei confronti di questi paesi. Riguardo al reddito di cittadinanza, questo è il punto fondamentale del programma: siamo società mature e ricche dove si accumulano patrimoni immensi nelle mani di poche persone, questi patrimoni non posso essere così elevati, vanno in parte utilizzati per ridistribuire la ricchezza. Il reddito di cittadinanza è un salto di civiltà poiché implica che tutti i cittadini abbiano la sicurezza della vita e della dignità. Quand’anche ci fossero cittadini passivi e improduttivi, anche questi metterebbero in moto l’economia consumando, facendo acquisti. In questa situazione di estrema disparità di ricchezza, la macchina economica si inceppa poiché la massa monetaria diventa speculazione finanziaria e i poveri non consumano. Reddito di cittadinanza, se c’è una progettualità culturale, vuol dire anche mettere in moto impegni sociali nell’ambito del volontariato, dell’ecologia, della tutela e cura del bene comune.
Mancano
oramai tre mesi alle elezioni europee e la Lista Tsipras è un movimento
nuovo che in poco tempo dovrà farsi conoscere e trovare consenso. In
questo mare magnum di partiti e liste, come può questo movimento
distinguersi e comunicare le proprie istanze?
Bisogna organizzare
molte attività, non fra gli addetti ai lavori ma nelle piazze, nei loghi
della quotidianità dei cittadini italiani. Il tutto scegliendo una
comunicazione originale, recitando poesie, organizzando piccoli
spettacoli. Un modo insolito per fare campagna elettorale cercando di
destare curiosità e interesse nel giovane, nell'impiegato, nel
negoziante, nel pensionato. Per quanto riguarda il mio impegno,
organizzerò a breve delle giornate di dibattito e informazione con gli
studenti universitari.
* Il Prof. Piero Bevilacqua è docente di Storia Contemporanea presso “La Sapienza”
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