Che
la lotta di classe alla rovescia, l’impoverimento di intere popolazioni
in favore di pochi ricchi, richieda come fattore vitale l’assenso delle
vittime, è ormai quasi banale. Ed è riconosciuto dai critici
dell’attuale assetto, vantato dai suoi sostenitori, taciuto dai suoi
sicofanti. Tuttavia si tratta di una affermazione astratta difficile da
concretare proprio a causa della sua ampiezza e degli innumerevoli modi,
anche nascosti, con cui permea lo spirito del tempo. Alle volte però
capita qualcosa che rende facile decodificare il disegno anche sotto la
biacca mediatica che lo avvolge. E questo qualcosa nel nuovo anno è
stato l’affaire Bankitalia riguardo al quale si è voluto far credere che
si tratti di un semplice riassetto tra Via Nazionale e gli istituti di
credito che ne detengono le quote, senza oneri per lo stato e dunque per
i cittadini.
Francamente non mi rendo conto di come sia possibile far passare
impunemente una panzana simile, anche se appoggiata toto corde dai nuovi
amici fiorentini del Cavaliere, al cui entourage e in particolare a
Tremonti va addebitata l’idea chiave, anche se in seguito sconfessata in
favore di una nazionalizzazione – civetta. Innanzitutto c’è un
ulteriore perdita di sovranità effettiva e potenziale perché la
trasformazione dell’istituto in public company lo espone prima a grandi
esborsi per ricomprare le proprie quote rivalutate e poi da qui a tre
anni alla conquista di Bankitalia da parte di istituzioni e centri
finanziari stranieri.
Ma per fra comprendere la questione cercherò di riassumerla in poche
righe, essenziali per il ragionamento: il capitale di Bankitalia è
detenuto al 94,33% dalle banche che una volta facevano parte del settore
pubblico e che sono oggi – dopo decine di fusioni – più che private,
quasi segrete. Tale capitale nominale è suddiviso in quote da 0,56 euro
(le mille lire di una volta) per un totale di 156 mila euro (300
milioni). L’ideona qual è? Quella di rivalutare questo capitale a 7,5
miliardi secondo parametri piuttosto estemporanei e così prendere due
piccioni con una fava: rendere più robuste le banche in vista dei futuri
esami europei e poter tassare l’aumento di capitale come una normale
plus valenza, ricavandone poco meno di 1 miliardo. Addirittura
l’energumeno tascabile Brunetta aveva proposto una rivalutazione vicina
ai 26 miliardi per poter spillare ancora più soldi.
Insomma un’operazione pulita che non solo non costa ai cittadini, ma
anzi aiuta lo stato. Questo è ciò che si vuole far credere. Ma non è
affatto così. Intanto il pagamento delle plus valenze al 12% (con soldi
prestati dalla Bce) rischia di far ulteriormente diminuire il flusso del
credito. Poi c’è la questione dei dividendi delle quote: finora esse
sono state vicine all’un per mille del capitale reale con un esborso di
46,5 milioni l’anno da parte di via Nazionale che così ha potuto mettere
a riserva molti soldi. Ma adesso bisognerà pensare a dividendi almeno
dieci volte superiori: tutti soldi che dovranno essere trovati da
qualche parte e questa parte sono sempre le tasche dei cittadini, se non
si vogliono prosciugare le casse di Palazzo Koch. E così il denaro
pubblico, 450 milioni all’anno correrà verso le banche private per
sempre o fino a che potrà durare questo assetto pazzesco.
Ma c’è molto di peggio. Poiché alcune banche come Unicredit e Intesa
possiedono quote rilevanti di Via Nazionale (rispettivamente 42 e 22 per
cento) il decreto prevede che nessun istituto potrà avere più del 3%
del capitale: la parte in eccesso sarà ricomprata ai nuovi prezzi, ça va
sans dire, dalla stessa Banca Italia in attesa dopo tre anni di
rivenderle sul mercato assicurando ovviamente un dividendo a prezzi di
mercato. Si tratta dunque di ricomprare circa la metà delle quote con
uno sforzo di oltre 3 miliardi. E tutto questo viene spacciato come
un’operazione che non ha costi per lo stato, dunque per i cittadini e
che non è affatto un favore alle banche. Quando invece non solo i costi
sono altissimi e stratosferici se prolungati nel tempo dal momento che i
contribuenti futuri dovranno in pratica ricomprarsi le quote che
sarebbero già loro come cittadini, ma vengono messe le basi per una
futura alienazione ai poteri finanziari della ex banca centrale. In più
rende ancora più stretta e criminogena l’associazione fra politica e
denaro nell’ambito in di un nuovo colossale trasferimento di risorse dal
pubblico al privato.
Tutto questo era prevedibile visto lo spirito del tempo e il tenore
dei trucchetti contabili dei nostri governicchi che ci fanno firmare
cambiali fingendo che siano generose donazioni. La cosa imprevedibile è
che ci sia tanta gente disposta a crederci.
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