Il
re è nudo e finalmente tutti possono vederlo. Salutato come salvatore
della patria e liberatore dall’incubo berlusconiano, il Governo
“tecnico” dei professori, dopo aver approvato la prima fase della
macelleria sociale come regalo natalizio, si appresta ora al secondo
decisivo affondo: la cancellazione di ogni spazio pubblico nella
gestione della società e delle comunità territoriali.
Incurante del fatto che la drammatica crisi globale in cui siamo immersi segni in prima istanza il definitivo fallimento delle politiche liberiste; indifferente al fatto che i referendum dello scorso giugno abbiano chiaramente indicato la fine del consenso sociale all’ideologia del “privato è bello”, il governo Monti persevera imperterrito nella funzione per cui è stato voluto dai poteri forti economico-finanziari e subìto dall’inconsistenza politica dei partiti di centrodestra e di centrosinistra: passare dal “privato è bello” al “privato è ineluttabile e obbligatorio”.
Un modello capitalistico in crisi di sovrapproduzione da oltre due decenni, posticipata ad oggi grazie all’enorme espansione della speculazione finanziaria, di fronte al precipitare sistemico della propria crisi ha davanti a sé una sola strada per mantenersi in vita:smantellare totalmente i diritti del lavoro (fase 3 del Governo “tecnico”) e mettere a valorizzazione finanziaria tutti i beni pubblici, a partire da quelli ad alta redditività perché primari ed essenziali come l’acqua.
Ventisette milioni di donne e uomini di questo Paese, nel giugno scorso, hanno votato per l’affermazione dell’acqua come bene comune e diritto umano universale e per la sua gestione partecipativa e senza logiche di profitto. Le stesse donne e uomini hanno votato anche in difesa dei servizi pubblici locali contro le strategie di privatizzazione.
Quel risultato, frutto di una mobilitazione sociale dal basso senza precedenti, costituisce la vera spina nel fianco dei poteri forti, intenti a trasmettere ad ogni piè sospinto le esigenze dei mercati, nuove divinità colleriche cui fare sacrifici per garantirsene la benevolenza.
Cancellare quel risultato diviene prioritario per poter procedere: e se non si può farlo con un consenso ormai perso, deve essere utilizzata l’autorità.
Solo così si spiega il disprezzo per il voto referendario espresso a più riprese in questi giorni da diversi esponenti di governo in trasmissioni televisive e in dichiarazioni sui mass media.
Solo così si spiega come, dietro la foglia di fico delle “liberalizzazioni” di alcune categorie di servizi, ci sia la volontà di intervenire sulla gigantesca torta dei servizi pubblici locali (70 mld di euro solo per gli investimenti negli acquedotti).
Nella crisi sistemica, l’antagonismo tra democrazia e mercato non potrebbe essere più evidente: per il professor Monti – quello del ripristino del rispetto per le istituzioni – il voto consapevole e costituzionalmente garantito della maggioranza assoluta degli italiani nulla conta di fronte all’esigenza delle multinazionali francesi e nostrane di poter usufruire di un business garantito come quello sull’acqua.
La posta in gioco questa volta è drammatica : in gioco non c’è solo – e non è poco – un bene primario come l’acqua; sotto attacco c’è la democrazia, ovvero il diritto per le donne e gli uomini di questo paese di poter decidere sui beni che a tutti appartengono e sulla loro gestione.
Il governo Monti va immediatamente fermato. Possiamo farlo, perché siamo molti più di loro, possiamo farlo, perché consapevolmente abbiamo attraversato le strade e le piazze di questo Paese portando il nuovo linguaggio dei beni comuni e della democrazia partecipativa come risposta alla dittatura dei mercati finanziari; possiamo farlo, perché tra la Borsa e la vita abbiamo scelto, tutte e tutti assieme, la vita.
Il re è nudo: riempiamo le piazze e, al suo passaggio, indichiamolo con il dito e sorridiamo di futuro.
Incurante del fatto che la drammatica crisi globale in cui siamo immersi segni in prima istanza il definitivo fallimento delle politiche liberiste; indifferente al fatto che i referendum dello scorso giugno abbiano chiaramente indicato la fine del consenso sociale all’ideologia del “privato è bello”, il governo Monti persevera imperterrito nella funzione per cui è stato voluto dai poteri forti economico-finanziari e subìto dall’inconsistenza politica dei partiti di centrodestra e di centrosinistra: passare dal “privato è bello” al “privato è ineluttabile e obbligatorio”.
Un modello capitalistico in crisi di sovrapproduzione da oltre due decenni, posticipata ad oggi grazie all’enorme espansione della speculazione finanziaria, di fronte al precipitare sistemico della propria crisi ha davanti a sé una sola strada per mantenersi in vita:smantellare totalmente i diritti del lavoro (fase 3 del Governo “tecnico”) e mettere a valorizzazione finanziaria tutti i beni pubblici, a partire da quelli ad alta redditività perché primari ed essenziali come l’acqua.
Ventisette milioni di donne e uomini di questo Paese, nel giugno scorso, hanno votato per l’affermazione dell’acqua come bene comune e diritto umano universale e per la sua gestione partecipativa e senza logiche di profitto. Le stesse donne e uomini hanno votato anche in difesa dei servizi pubblici locali contro le strategie di privatizzazione.
Quel risultato, frutto di una mobilitazione sociale dal basso senza precedenti, costituisce la vera spina nel fianco dei poteri forti, intenti a trasmettere ad ogni piè sospinto le esigenze dei mercati, nuove divinità colleriche cui fare sacrifici per garantirsene la benevolenza.
Cancellare quel risultato diviene prioritario per poter procedere: e se non si può farlo con un consenso ormai perso, deve essere utilizzata l’autorità.
Solo così si spiega il disprezzo per il voto referendario espresso a più riprese in questi giorni da diversi esponenti di governo in trasmissioni televisive e in dichiarazioni sui mass media.
Solo così si spiega come, dietro la foglia di fico delle “liberalizzazioni” di alcune categorie di servizi, ci sia la volontà di intervenire sulla gigantesca torta dei servizi pubblici locali (70 mld di euro solo per gli investimenti negli acquedotti).
Nella crisi sistemica, l’antagonismo tra democrazia e mercato non potrebbe essere più evidente: per il professor Monti – quello del ripristino del rispetto per le istituzioni – il voto consapevole e costituzionalmente garantito della maggioranza assoluta degli italiani nulla conta di fronte all’esigenza delle multinazionali francesi e nostrane di poter usufruire di un business garantito come quello sull’acqua.
La posta in gioco questa volta è drammatica : in gioco non c’è solo – e non è poco – un bene primario come l’acqua; sotto attacco c’è la democrazia, ovvero il diritto per le donne e gli uomini di questo paese di poter decidere sui beni che a tutti appartengono e sulla loro gestione.
Il governo Monti va immediatamente fermato. Possiamo farlo, perché siamo molti più di loro, possiamo farlo, perché consapevolmente abbiamo attraversato le strade e le piazze di questo Paese portando il nuovo linguaggio dei beni comuni e della democrazia partecipativa come risposta alla dittatura dei mercati finanziari; possiamo farlo, perché tra la Borsa e la vita abbiamo scelto, tutte e tutti assieme, la vita.
Il re è nudo: riempiamo le piazze e, al suo passaggio, indichiamolo con il dito e sorridiamo di futuro.
Marco Bersani - Liberazione
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