Il codice della marineria dice che il comandante affonda con la nave. Quello della politica, che la nave affonda con il comandante.
Che fine malinconica per la Lega. Degli inizi, i suoi vertici sembrano
aver conservato l’arroganza (una volta dei vincitori, oggi dei
perdenti). Gli italiani, però, non sono tanto stupidi da credere che
basti togliersi la giacca e infilarsi la maglietta verde per tornare a
essere partito di lotta. Non si lasciano convincere da slogan contro il
governo quando la crisi è responsabilità di chi ora protesta. Nemmeno i militanti leghisti sono stupidi. Anzi, ribellandosi ai capi – schierati con Cosentino
pur di salvare il cadreghino – dimostrano che il loro attaccamento al
Carroccio era spesso genuino. Ma Bossi e il suo Cerchio Magico, da tempo
(forse da sempre), li hanno abbandonati.
E anche Maroni non può ambire a essere leader: Bobo che fu ministro dei primi governi Berlusconi, poi sparò a zero sul Cavaliere, salvo tornare all’ovile e al Viminale. Maroni che come massima espressione di dissenso “osa” sbuffare di fronte al Senatùr. Se, però, il partito si disgrega, restano milioni di elettori delusi e confusi che si sfogano in Internet e alla radio. Restano piccoli amministratori leghisti che si sono dimostrati migliori dei dirigenti. E soprattutto rimangono istanze che meritano ascolto. No, non la becera intolleranza che sfiora il razzismo, non il ribellismo retorico che ignora le leggi. Ma il desiderio di una politica lontana dai palazzi, più legata al territorio del Nord che tanto ha contribuito alla crescita dell’Italia. Sbaglierebbe chi liquidasse, insieme con il Carroccio, anche i bisogni reali alla base della sua affermazione. Impossibile, però, che se ne faccia interprete il Pdl. E difficile che sia in grado di farlo un centrosinistra spesso ridotto ad apparato.
Una cosa è certa: il rappresentante di questo scontento non può essere la Lega. Partita per sconfiggere “Roma ladrona” ha invece portato nel suo Nord tante logiche “romane”: la fame di poltrone, l’affarismo, i tatticismi, la mancanza di democrazia interna. Il Carroccio si ferma qui, quando pareva diventato movimento di massa si è rivelato un altro partito “ad personam”: dopo Berlusconi pare questo il modello dei partiti in Italia, a destra come a sinistra. E Bossi ha deciso che la sua creatura non gli sopravviverà.
E anche Maroni non può ambire a essere leader: Bobo che fu ministro dei primi governi Berlusconi, poi sparò a zero sul Cavaliere, salvo tornare all’ovile e al Viminale. Maroni che come massima espressione di dissenso “osa” sbuffare di fronte al Senatùr. Se, però, il partito si disgrega, restano milioni di elettori delusi e confusi che si sfogano in Internet e alla radio. Restano piccoli amministratori leghisti che si sono dimostrati migliori dei dirigenti. E soprattutto rimangono istanze che meritano ascolto. No, non la becera intolleranza che sfiora il razzismo, non il ribellismo retorico che ignora le leggi. Ma il desiderio di una politica lontana dai palazzi, più legata al territorio del Nord che tanto ha contribuito alla crescita dell’Italia. Sbaglierebbe chi liquidasse, insieme con il Carroccio, anche i bisogni reali alla base della sua affermazione. Impossibile, però, che se ne faccia interprete il Pdl. E difficile che sia in grado di farlo un centrosinistra spesso ridotto ad apparato.
Una cosa è certa: il rappresentante di questo scontento non può essere la Lega. Partita per sconfiggere “Roma ladrona” ha invece portato nel suo Nord tante logiche “romane”: la fame di poltrone, l’affarismo, i tatticismi, la mancanza di democrazia interna. Il Carroccio si ferma qui, quando pareva diventato movimento di massa si è rivelato un altro partito “ad personam”: dopo Berlusconi pare questo il modello dei partiti in Italia, a destra come a sinistra. E Bossi ha deciso che la sua creatura non gli sopravviverà.
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