Ciò
che sta accadendo nel Paese con l’esplosione di proteste a volte
corporative, altre volte separatiste e di natura inquietante, altre
volte dettate dalla povertà e dall’ingiustizia, è il frutto combinato e
correlato di due mali: il tecnicismo ideologico di Monti che ritiene
necessarie le ricette Merkel-Sarkozy, peraltro ritenute inefficaci dalla
massima parte degli economisti e l’eclissi totale della politica,
ritiratasi sullo scoglio come Schettino. Non da ieri: da molto tempo
ormai le ragioni sociali sembrano scomparse dal dibattito e la stessa
questione morale che è anche questione di eguaglianza, si è ridotta a
pura riprovazione del berlusconismo e della corruzione imperante senza
riflettere minimamente al fatto che il verminaio dal quale spuntavano le
varie nipoti di Mubarak non era altro che uno degli aspetti di una
politica ridotta dentro logiche di azienda padronale o di apparato.
Così come un miraggio tra una duna e l’altra di questo passaggio nel
deserto, pare che l’assenza del caravanserraglio cui siamo abituati da
un decennio, costituisca di per sé un punto di arrivo e una condizione
finalmente “normale”. Invece siamo più che mai dentro un’anomalia,
anche se essa non si presenta come quella generata da un satrapo con la
sua corte dei miracoli, di servi e di venduti, di ministre
massaggiatrici e di cricche. L’anomalia è per l’appunto la resa senza
condizioni a una condizione oligarchica della società, dove a pagare i
disastri altrui sono sempre i più deboli, anche se non sempre i più
poveri.
E’ la mancanza di parola e di lucidità non solo della politica
militante alle prese con i suoi vuoti di memoria e di idee, ma della
politica come consapevolezza sociale e ideativa di ciascuno di noi. Così
può accadere che “Chi”, abbandonata la saga del vecchio satiro, adesso
inauguri un nuovo filone montiano ad opera degli stessi servi di prima.
La discontinuità si assottiglia sempre di più anche sul piano
mediatico. Però in effetti un cambiamento c’è stato: mentre dalla fine
degli anni ’70 la corruzione, l’inefficienza, l’iniquità, le logiche di
casta richiedevano, per essere mantenute, la ricerca di un consenso
ottenuto trovando un qualche precario equilibrio dentro le deformazioni
della società italiana, oggi la necessità, l’ideologia liberista,
l’impotenza della politica, la paura del disastro, hanno eliminato
queste limitazioni. Così si pretende di sciogliere i nodi italiani,
senza tenere conto del fatto che essi nei decenni sono diventati
elementi strutturali dell’economia del Paese.
L’evasione fiscale diffusa, la mancanza di meritocrazia, il perenne e
opaco contatto tra istituzioni e affari, la disorganizzazione e la
prepotenza della burocrazia, la poca fiducia nello Stato e la ricerca di
piccoli privilegi al posto di far valere i diritti, le vendite di
licenze, lo spreco di denaro pubblico, la polverizzazione del sistema
produttivo, la difesa della rendita, l’impero delle corporazioni, il
welfare improprio, possono trovare soluzione solo attraverso un nuovo
patto sociale che un soggetto politico vivente e non mummificato
dovrebbe ideare, proporre e far vincere. L’idea che la parte più facile e
marginale di tutto questo possa essere realizzato in via tecnica, alla
luce peraltro fioca e appannata di imposizioni altrui e ideologie al
tramonto o sotto lo stimolo e l’interesse avido dei potentati locali, è
solo un’illusione destinata a creare le premesse per la disgregazione
del Paese, per un diffuso ribellismo guidato dalla destra o per la
creazione di un’economia sotterranea e controllata di fatto da poteri
illegali già più di quanto non avvenga ora.
Se la politica esistesse ci sarebbe da dire: cazzo tornate sulla
nave. Ma non c’è davvero nessuno a cui dirlo: l’imbarcazione sobriamente
affonda insieme a prospettive e speranze. E qualcuno la chiama
normalità.
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