Una regione in ginocchio: code faraoniche presso i distributori di
benzina, supermercati saccheggiati, traghetti bloccati, autostrade e
ferrovie occupate. Si registrano in aggiunta un piccolo accoltellamento
rusticano durante un blocco autostradale a Lentini e un mancato strike
di manifestanti sui binari lungo la tratta ferroviaria Messina-Palermo.
Questo è il bilancio grottesco delle prime tre giornate di protesta
indette dal movimento Forza d’Urto, nato dall’unione tra l’Associazione
autotrasportatori siciliani e il movimento dei Forconi. Quest’ultimo
rappresenterebbe le istanze degli agricoltori e dei pescatori
dell’isola, i quali avrebbero forse dovuto pensare, per par condicio, ad
un parallelo movimento del Tridente in omaggio a Nettuno.
Forza d’Urto si definisce un gruppo apolitico e apartitico nato per
l’aggregazione spontanea e l’esasperazione progressiva di una regione
impoverita e sfruttata, isolata nei collegamenti e nelle prospettive. I
toni sono sopra le righe: “in Sicilia è iniziata la rivoluzione”, si
dice parlando con orgoglio delle “cinque giornate di Sicilia” e di
un’intera società “incazzosamente in fermento”. Le rivendicazioni,
altrettanto sopra le righe, saltano di palo in frasca: oltre alla
defiscalizzazione dei carburanti, i Forconi chiedono a gran voce la fine
dei sacrifici imposti dal governo Monti, la “cacciata dei creditori
stranieri” e l’applicazione dell’articolo 37 dello Statuto, che prevede
di trattenere nell’isola le imposte sulle imprese che hanno in Sicilia
stabilimenti e impianti. Già che ci sono, i Forconi rivendicano – per la
gioia della Lega e della Merkel – la possibilità per la Regione Sicilia
di stampare autonomamente moneta. Si fa, è proprio il caso di dire, di
tutta l’erba un fascio: non solo per il frequente richiamo, caro in
altri tempi a don Raffaele Lombardo, ai Fasci siciliani, ma soprattutto
per la contiguità tra Forza d’Urto e Forza Nuova. La manifestazione
“apolitica e apartitica” ha infatti ricevuto su internet solo il pieno
sostegno del partito nero di Roberto Fiore. D’altronde il dirigente
della sezione catanese di Forza Nuova Gaetano Bonanno è intervenuto alla
prima manifestazione forconesca etnea il 15 gennaio scorso. A parte il
centro sociale Anomalia (nomen omen), nessun esponente politico isolano
prende la parola pro o contro i Forconi: omertà o imbarazzo?
Il movimento, sulla sua pagina Facebook, si difende dicendo che non
può impedire a nessuno di partecipare. Il problema è che Martino
Morsello, leader dei Forconi, non è esattamente nessuno da questo punto
di vista: nel dicembre scorso ha parlato, in qualità di esperto di
agricoltura, al congresso nazionale del partito di estrema destra.
Interpellato sulle sue tendenze politiche (che affondano le radici nel
vecchio PSI), Morsello glissa cavalcando la tigre demagogica della
protesta trasversale: “chiunque sostenga le nostre posizioni è il
benvenuto, non importa che sia fascista, anarchico o autonomista. Qui la
gente è povera e stufa”.
Non siamo di fronte a una fascinosa sommossa del pane: c’è una
protesta reale strumentalizzata da soggetti politici opinabili. Viene
spontaneo chiedersi cosa facessero i siciliani indignati quando nel 2001
la Sicilia regalava tutti i suoi seggi parlamentari al Pdl, quando
nelle politiche del 2008 il Movimento per l’Autonomia, in corsa con la
Lega Nord, totalizzava il quarantasette per cento dei voti, quando
nell’aprile del 2008 Lombardo diventava governatore della Sicilia con il
sessantaquattro per cento dei consensi. Molti forconisti sono
lombardisti “pentiti”, che ora vedono nell’allievo di Calogero Mannino
un profittatore indifferente alle sorti della sua regione. Dov’era
questa gente quando Diego Cammarata, definito persino da Lombardo “il
peggior sindaco della storia di Palermo”, veniva eletto a furor di
popolo, quando la città di Messina rieleggeva un sindaco già dichiarato
decaduto per una condanna definitiva, quando Catania si consegnava armi e
bagagli al medico personale di Berlusconi per poi finire sull’orlo
della bancarotta?
I risvegli della società civile sono segnali importanti e non possono
essere sottovalutati. Deve però trattarsi di risvegli autentici, non
dettati da autonomismi e particolarismi né manovrati da professionisti
dell’antipolitica. La Sicilia è una terra difficile, dove il
clientelismo e le prevaricazioni trovano terreno fertile nella
formidabile vicinanza tra Stato e antistato. Qui la vera sfida culturale
è il superamento dell’antica confusione tra diritti e privilegi: ma
l’isolanità non è categoria dello spirito, ostacolo insuperabile al
desiderio di integrazione. È bello pensare a una rivoluzione siciliana,
ma per una Sicilia unita al resto del Paese da crescita comune, sviluppo
e infrastrutture: più treni, meno forconi.
Nessun commento:
Posta un commento