venerdì 6 gennaio 2012

Veltroni-Alemanno Ecco il frutto dei “piani-sicurezza”

Spesi milioni per dare la caccia a rom e ubriachi.
Ma intanto la criminalità, più o meno organizzata, dilagava indisturbata

Il duplice omicidio a Torpignattara imporrebbe di guardare in faccia la realtà della capitale e l’idea di “sicurezza per pochi” che le è stata cucita addosso. Bisogna fare un passo indietro, al maggio del 2007, quando a Roma governava il centro sinistra. Alcuni reati fecero scattare nella città eterna la sindrome da assedio. Il nemico da cui difendersi era lo straniero, il rom, l’ubriaco, il tossico, chi arrecava danni all’immagine e al decoro urbano.
Sotto la giunta Veltroni venne approvato a furor di popolo il primo patto per Roma sicura. Una paura diffusa amplificata dai media, che portò il governo Prodi a promuovere il piano-sicurezza, finanziato per 11 milioni di euro (in 3 anni) dalla Regione, per 4 dal Comune e per una cifra che sarebbe stata di lì a poco definita, dalla Provincia. Soldi che sono stati spesi soprattutto per l’aumento di agenti incaricati di controllare
il territorio, cioè rom e migranti.
In tre anni ben 5 milioni sono stati spesi solo per effettuare sgomberi di insediamenti abusivi, famiglie intere la cui baracca veniva periodicamente distrutta per essere ricostruita pochi giorni dopo in un luogo più nascosto.
Il confronto elettorale per la poltrona di sindaco fra Alemanno e Rutelli (candidato riciclato del centro sinistra) si è svolta soprattutto attorno a chi dimostrava di avere le idee più repressive. Alemanno vinse tappezzando la città di enormi manifesti sul degrado, prodotto non dall’impoverimento ma dai poveri, vero flagello per una città a «vocazione turistica». Vinte le elezioni Alemanno, dal Campidoglio parte subito il secondo patto (settembre 2008): altri uomini e mezzi per la tolleranza zero. E poi una ridda di ordinanze, dalla misura delle minigonne (lotta alla prostituzione) al divieto di frugare nei cassonetti. Contro chi consuma una birra in una piazza invece che all’interno di un costoso locale, chi dorme per strada perché privo di abitazione (istituzione di un registro dei senza fissa dimora), chi si ritrova con un permesso di soggiorno scaduto e con un lavoro al nero. Contro i rom l’accanimento è continuo: la demolizione di Casilino 900, il campo più grande d’Europa ha solo spostato e disperso una parte dei rom presenti, in gran parte minori, lasciati fuori dal circuito scolastico.
Invece di realizzare una politica di fuoriuscita dai campi, si è preferito istituzionalizzarne alcuni a numero chiuso. Il Comune è andato in tilt anche per accogliere un numero limitato di migranti e richiedenti asilo giunti dal Nord Africa in fiamme, mentre giungevano risorse a pioggia, per loro come per i rom.
Nel frattempo Roma è cambiata, in profondità. Nonostante leggi razziste e politiche escludenti, molti cittadini
stranieri si sono affermati con proprie attività economiche o riescono a vivere del proprio lavoro. Ci si accorge, troppo tardi, che il “pericolo” non arriva da fuori ma nasce da dentro. E’ cresciuta nel frattempo, indisturbata, tanto la criminalità organizzata che si contende il controllo del territorio per lo spaccio di cocaina ed eroina, quanto una criminalità sempre endogena, in cerca di prede facili e fruttuose.
A parlare con i commercianti immigrati capita spesso di incontrare chi, di fronte ad una rapina o a un
estorsione non ha neanche sporto denuncia. «Finisce che abbiamo torto noi. Meglio abbozzare» racconta
uno in perfetto romanesco.
Ieri sera si è tenuto un vertice del Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza, a cui ha partecipato anche il ministro dell’interno Cancellieri. «Lo Stato c’è e si farà sentire» ha dichiarato al termine della riunione, mentre il sindaco Alemanno, in visita alle vittime, chiede di «fermare le belve». Solita ricetta insomma, accompagnata dai 2,8 milioni di euro già messi a disposizione dal 23 dicembre per il terzo
patto sicurezza insieme a 130 nuovi agenti. Ma si continua con i rastrellamenti alla stazione per fermare rigorosamente persone di colore e sui tg si sparano i numeri dei fermati, quasi sempre senza ragione. Ma quello che conta è l’immagine: una famiglia distrutta come quella di Zeng Lia verrà dimenticata presto.

di Stefano Galieni, Liberazione

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