L’immagine del pilota automatico, con cui Mario Draghi ha blandito i
mercati, rassicurandoli sulle difficoltà della politica italiana, a
volte può indurre a credere che poi non ci sia un equipaggio ben deciso a
far sì che l’aereo continui nella sua rotta. Magari è un equipaggio un
po’ alticcio e litigioso, come quello dell’ultimo film di Almodovar,
“Amanti passeggeri”, ma è comunque addestrato a tutelare il comandante.
Succede così che oggi, dopo aver determinato qualche turbolenza più
prolungata, per qualche movimento eccessivo di hostess e steward, il
personale di bordo riprenda il servizio avendo garantito che la cloche
rimanesse nelle stesse mani.
Uso questa metafora, dell’aereo su cui poi siamo tutti, per provare
ad interrogarmi su che cosa stia veramente succedendo. Parto dal fatto
che a bordo ormai di gente che dorme o legge tranquilla il giornale ce
n’è veramente poca. Anzi, quasi tutti sono più o meno in piedi a
chiedere, anche ad alta voce, di cambiare rotta o di atterrare per poter
scendere.
Diciamo allora che una parte dei passeggeri ha provato a convincere
una parte dell’equipaggio, mettiamo gli steward, a perorare col capitano
un cambio di rotta. Hanno discusso con loro, anche fraternizzato e pure
alzato qualche bicchiere insieme. Ma al dunque, la cabina di pilotaggio
è rimasta serrata e il cammino è continuato implacabile sulla stessa
traiettoria. Fine della metafora.
Se continuiamo il discorso usando il linguaggio proprio della
politica, emergono due elementi di grandissima rilevanza. Il primo è che
il bisogno di cambiamento che si è espresso con grande forza e in modi
anche diversi, che vanno dal voto referendario a quello ai cinque
stelle, viene respinto, almeno nelle intenzioni, da una operazione
politica di vera e propria restaurazione dall’alto.
Il secondo è che la forma considerata prevalente a sinistra per
interpretare il cambiamento, e cioè la cosiddetta coalizione Italia Bene
Comune, si spezza.
Partirei da questo secondo dato anche perché interroga direttamente
la soggettività che comunque mi sta a cuore, e cioè la sinistra. E poi
perché si era costruita intorno a questa coalizione una aspettativa di
svolta anche determinando una rilettura fortemente revisionistica di
tutto un passato ancorché recente. L’idea cioè che l’incapacità a
determinare il cambiamento fosse dipesa in parte considerevole dalla
natura minoritaria, ideologica e settaria di quella parte della sinistra
che doveva provare invece a convincere quello che nella mia metafora è
l’equipaggio dell’aereo ma che poi nella realtà è il PD a prendere
insieme in mano la cloche per modificare la rotta.
Ora, come insegna Popper, la falsificazione è la base stessa della
scientificità delle teorie. Non ho dunque alcuna volontà polemica, ma
solo bisogno di verifica condivisa, nel partire dalla constatazione di
realtà che l’esperimento Italia Bene Comune è durato in laboratorio
ancor meno di quelli che la pur settaria sinistra del passato tentò e
che durarono per quasi 10 anni, pur tra provette rotte e continue
esplosioni.
Ho letto troppe cose approssimate sul passato, ridotto addirittura ad
una sorta di vicende da armata Brancaleone, che non si sarebbe più
ripetuto oggi per la serietà delle nuove regole d’ingaggio tra i nuovi
crociati. E sul presente tante letture psicologistiche, paure di
vincere, odi personalistici.
Devo dire che ho faticato, e me ne dispiace, a ritrovare in queste
letture un minimo di quello che un tempo si chiamava analisi della
realtà, della sua composizione materiale, dei corpi sociali e politici. E
ho trovato ancora più difficoltà a provare a mantenere almeno un
qualche canale di riflessione condivisa.
Troppe esaltazioni del nuovo che vince e banalizzazioni del vecchio
che è sconfitto per definizione. Cose di cui poi Facebook si riempie e
che rendono arduo anche solo il dialogo.
Il dialogo invece serve eccome. Siamo già pieni in questi giorni
pesanti di nuovi inizi. Vogliamo provare almeno, che so, a scambiarci
qualche idea?
Ad esempio sul perché il PD arriva anche a correre il rischio di
frantumarsi piuttosto che cimentarsi sul serio col cambiamento? La mia
risposta sta nella metafora che ho usato: il PD è una parte
dell’equipaggio dell’aereo a pilota automatico. Penso che
sostanzialmente quasi tutti i partiti hanno finito col cambiare la
propria natura e ragion d’essere da espressioni della società, del
conflitto e di idee contrapposte a cogestori del pensiero unico e della
impossibilità dell’alternativa. E penso che il socialismo europeo,
praticamente in tutte le sue varianti, sia dentro questa dinamica. E
naturalmente, a maggior ragione, lo penso del PD.
Per questo penso che non possono contribuire al cambiamento in quanto
esso negherebbe la loro stessa esistenza. D’altronde un pensiero assai
meno approssimato di altri come quello di Barca non a caso conchiude la
sua dimensione nella coppia Partito-Governo, in una logica
funzionalistica che sostituisce quella, che fu fondante la sinistra,
che pone al centro la società e il cambiamento che si determina col
conflitto. Se posso permettermi una battuta, leggendolo ho pensato che
passavamo dal Centro di Riforma dello Stato al Centro di Riforma del
Governo.
Purtroppo, nella fase costituente dell’ordine postdemocratico che ha
caratterizzato l’edificazione europea, il riduzionismo e il liberalismo
hanno permeato il vecchio socialismo sussumendone le funzioni
organizzate nella gestione della rotta obbligata. Continuare a
prendersela con Blair e far finta di non vedere cosa sta accadendo ad
Hollande o a alla Spd, è una via di fuga che non porta da nessuna parte.
Altro, naturalmente, sono i corpi sociali. Ma anche qui la lettura
non può essere approssimata e superficiale. La parte degli apparati è
vasta. I pensieri politici indotti, che per altro si avvalgono di
materiali mai riattraversati criticamente come le vecchie logiche di
fidelismo di parte, rendono quello che fu il Paese nel Paese assai più
permeabile sia alle logiche funzionalistiche che al Grillismo,
addirittura contemporaneamente.
Ma poi c’è la natura dell’aereo che si deve guardare. Nel passato la
sinistra ha sovietizzato l’elettrificazione. Poi ha cercato le stanze
dei bottoni. Ora cerca il governo della cloche. E’ un po’ incredibile
come più il potere, il capitalismo, si sono resi impermeabili, più
cresce l’ossessione del governo. Sinistra di governo, si dice, come se
l’aggettivo qualificasse il sostantivo. Quando invece tutto, nella
realtà, ci dice che al contrario l’aggettivo rischia di uccidere il
sostantivo.
Mentre la sinistra che rinasceva, in America Latina, inseguiva la
trasformazione e, da lì, trovava anche il governo, qui in Europa si è
implorato il governo perdendo la trasformazione. Peggio ancora,
facendosi complici della trasformazione degli altri. Dell’Europa
postdemocratica che blocca la cloche sulla bussola dell’austerità e a
cui la Carta d’intenti di Italia Bene Comune si è ispirata, andando
clamorosamente fuori rotta. Dell’Italia della Seconda, e ora terza
Repubblica, che, in nome della centralità del governo e del
maggioritario, ha ucciso la Costituzione, e viaggia ora spedita verso il
peggiore dei presidenzialismi.
Ora potremo pure ciascuno di noi ribadire le proprie incrollabili
coordinate, magari per piegarle ad una rotta esattamente opposta a
quella di ieri, che so magari da una fusione a una scissione. Ma se non
proveremo a ritrovare una comunicazione tra i passeggeri non credo che
riusciremo a risolvere il problema. Che forse poi non è quello di
continuare a provare a prendere la cloche ma, che so io, di mettersi i
paracadute e volare senza aereo.
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