Ora Napolitano tiene davvero tutti – per dirla alla maniera di
Camilleri/Montalbano – per i “cabbasisi”. I termini (le “condizioni”) da
lui poste ai supplicanti per accettare la rielezione non riguardano la
durata del suo mandato che, costituzionalmente, non può essere altro che
pieno. Esse alludono a ben altro e rappresentano una vera “spada di
Brenno” che il vecchio leone ha messo subito sul piatto della bilancia.
Adesso la situazione è cambiata rispetto ad un mese fa. “Questa volta –
ha sibilato – non voglio sentire dei ‘no’, ma soltanto dei ‘sì’ ”. Frasi
e pensiero chiarissimi: il prossimo governo sarà fatto sotto dettatura
del Capo dello Stato, sotto l’egida regia di quello che si configura
come il primo atto di una repubblica che tende a farsi “presidenziale”.
Quando Napolitano intima che ora “ognuno faccia il suo dovere” chiede in realtà per sé il potere di esercitare, sino in fondo, il ruolo di direttore d’orchestra, con prerogative che vanno, nei fatti, ben oltre la custodia delle regole del gioco.
Questo gli è stato chiesto e questo ora farà. Napolitano sarà – più ancora che nel passato – il “fabbro ferraio” che temprerà il prossimo governo, nella cifra politica e negli uomini che saranno chiamati a farne parte. A partire dal presidente incaricato, che rappresenta la prima e più importante tessera del mosaico.
Per questo la “prima scelta” di Napolitano cade sul duttilissimo, evergreen, Giuliano Amato, il “dottor sottile”, che più di ogni altro potrebbe mandare in buca un governo “delle larghe intese”, tutt’altro che transeunte. La sola incognita è rappresentata da quella centrifuga che è il Pd, la cui pulsione suicidiaria potrebbe ingolosire Berlusconi e indurlo a buttare tutto all’aria per raccogliere nelle urne il diritto a governare, da solo, per un paio di lustri ancora. Ma questa, al momento è un’ipotesi subordinata. Quella principale – e più probabile – è che presto si insedi un governo frutto del più impresentabile verminaio che si sia mai visto dagli esordi della Repubblica. Con quale politica da spendere, considerati gli attori in commedia e le prestazioni già offerte con il governo Monti e prima di esso, è facile immaginare.
Quando Bersani dice ai suoi, testualmente, “Sono tutte cazzate quelle sul governissimo, con Napolitano non ne abbiamo parlato”, si esibisce in una plateale bugia, avvolta in una mezza verità: non c’è affatto bisogno di concordare con Napolitano ciò che è noto all’universo mondo essere nelle arcinote intenzioni del Presidente.
Si apre ora davvero, e forse per la prima volta da lungo tempo, un campo d’azione, a sinistra. Purché questa opportunità non sia dissipata dalla coazione a ripetere operazioni da ceto politico. Purché ciascun isolotto non ponga se stesso come “mosca cocchiera” del nuovo processo aggregativo. Purché la necessità di unirsi prevalga su meschine pretese egemoniche. Purché lo sforzo da intraprendere ponga al centro il progetto di società, la ricerca di un asse strategico e di un programma politico tali da rendere chiaro alle masse popolari che c’è un’alternativa vera nella quale investire e per la quale tornare a spendersi direttamente, attraverso l’esercizio pieno della democrazia, dove ognuno – sul serio – vale uno.
Quando Napolitano intima che ora “ognuno faccia il suo dovere” chiede in realtà per sé il potere di esercitare, sino in fondo, il ruolo di direttore d’orchestra, con prerogative che vanno, nei fatti, ben oltre la custodia delle regole del gioco.
Questo gli è stato chiesto e questo ora farà. Napolitano sarà – più ancora che nel passato – il “fabbro ferraio” che temprerà il prossimo governo, nella cifra politica e negli uomini che saranno chiamati a farne parte. A partire dal presidente incaricato, che rappresenta la prima e più importante tessera del mosaico.
Per questo la “prima scelta” di Napolitano cade sul duttilissimo, evergreen, Giuliano Amato, il “dottor sottile”, che più di ogni altro potrebbe mandare in buca un governo “delle larghe intese”, tutt’altro che transeunte. La sola incognita è rappresentata da quella centrifuga che è il Pd, la cui pulsione suicidiaria potrebbe ingolosire Berlusconi e indurlo a buttare tutto all’aria per raccogliere nelle urne il diritto a governare, da solo, per un paio di lustri ancora. Ma questa, al momento è un’ipotesi subordinata. Quella principale – e più probabile – è che presto si insedi un governo frutto del più impresentabile verminaio che si sia mai visto dagli esordi della Repubblica. Con quale politica da spendere, considerati gli attori in commedia e le prestazioni già offerte con il governo Monti e prima di esso, è facile immaginare.
Quando Bersani dice ai suoi, testualmente, “Sono tutte cazzate quelle sul governissimo, con Napolitano non ne abbiamo parlato”, si esibisce in una plateale bugia, avvolta in una mezza verità: non c’è affatto bisogno di concordare con Napolitano ciò che è noto all’universo mondo essere nelle arcinote intenzioni del Presidente.
Si apre ora davvero, e forse per la prima volta da lungo tempo, un campo d’azione, a sinistra. Purché questa opportunità non sia dissipata dalla coazione a ripetere operazioni da ceto politico. Purché ciascun isolotto non ponga se stesso come “mosca cocchiera” del nuovo processo aggregativo. Purché la necessità di unirsi prevalga su meschine pretese egemoniche. Purché lo sforzo da intraprendere ponga al centro il progetto di società, la ricerca di un asse strategico e di un programma politico tali da rendere chiaro alle masse popolari che c’è un’alternativa vera nella quale investire e per la quale tornare a spendersi direttamente, attraverso l’esercizio pieno della democrazia, dove ognuno – sul serio – vale uno.
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