RICORDIAMO IL 25 APRILE
Rircordiamo
il Giorno della Liberazione, con il sacrificio di tante vite umane e la
distruzione delle nostre città per opera della tirannide nazifascista e
confermiamo anche oggi che il nostro obiettivo rimane lo stesso: LA
LIBERAZIONE
Giaime
Pintor fu ucciso mentre passava le linee nella guerra partigiana. Scrisse
questa lettera a Napoli, il 28 novembre 1943, pochi giorni prima. Anche a lui
dobbiamo il 25 aprile 1945, ed è alle radici della Costituzione repubblicana.
Da: G. Pintor, Doppio diario, Einaudi, 1975.
Carissimo,
parto in questi giorni per un’impresa di esito incerto: raggiungere gruppi di
rifugiati nei dintorni di Roma, portare loro armi e istruzioni. Ti lascio
questa lettera per salutarti nel caso che non dovessi tornare e per spiegarti
lo stato d’animo in cui affronto questa missione. I casi particolari che
l’hanno preceduta sono di un certo interesse biografico, ma sono troppo
complicati da riferire: qualcuno degli amici che è da questa parte vi potrà
raccontare come nella mia fuga da Roma sia arrivato nei territori controllati
da Badoglio, come abbia passato a Brindisi dieci pessimi giorni presso il
Comando Supremo e come, dopo essermi convinto che nulla era cambiato fra i
militari, sia riuscito con una nuova fuga a raggiungere Napoli.
qui mi è
stato facile fra gli amici politici e i reduci dalla emigrazione trovare un
ambiente congeniale e ho contribuito a costituire un Centro italiano di
Propaganda che potrebbe avere una funzione utile e che mi ha riportato
provvisoriamente alle mie attività normali e a un ritmo di vita pacifico. Ma in
tutto questo periodo è rimasta in sospeso la necesità di partecipare più da
vicino a un ordine di cose che non giustifica i comodi metodi della guerra
psicologica; e l’attuale irrigidirsi della situazione militare, la prospettiva
che la miseria in cui vive la maggior parte degli italiani debba ancora
peggiorare hanno ancora reso più urgente la decisione. Così, dopo il
fallimento, per ragioni indipendenti dalla nostra volontà, di altri progetti
più ambiziosi ma non irragionevoli, ho accettato di organizzare una spedizione
con un gruppo di amici. E’ la conclusione naturale di quest’ultima avventura,
ma soprattutto il punto d’arrivo di un’esperienza che coinvolge tutta la nostra
giovinezza.
In realtà la
guerra, ultima fase del fascismo trionfante, ha agito su di noi più
profondamente di quanto risulti a prima vista. La guerra ha distolto
materialmente gli uomini dalle loro abitudini, li ha costretti a prendere atto
con le mani e con gli occhi dei pericoli che minacciano i presupposti di ogni
vita individuale, li ha persuasi che non c’è possibilità di salvezza nella
neutralità e nell’isolamento. Nei più deboli questa violenza ha agito come una
rottura degli schemi esteriori in cui vivevano: sarà “la generazione perduta”,
che ha visto infrante le proprie “carriere”; nei più forti ha portato una massa
di materiali grezzi, di nuovi dati su cui crescerà la nuova esperienza. Senza
la guerra io sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente
letterari: avrei duscusso i problemi dell’ordine politico, ma soprattutto avrei
cercato nella storia dell’uomo solo le ragioni di un profondo interesse, e
l’incontro con una ragazza o un impulso qualunque alla fantasia avrebbe contato
per me più di ogni partito o dottrina.
Altri amici,
meglio disposti a sentire immediatamente il fatto politico, si erano dedicati
da anni alla lotta contro il fascismo. Pur sentendomi sempre più vicino a loro,
non so se mi sarei deciso a impegnarmi totalmente su quella strada; c’era in me
un fondo troppo forte di gusti individuali, d’indifferenza e di spirito critico
per sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha
risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il tereno da
molti comodi ripari e mettendomi brutalmente a contatto con un mondo
inconciliabile.
Credo che per la maggior parte dei miei coetanei questo passaggio sia stato naturale: la corsa verso la politica è un fenomeno che ho constatato in molti dei migliori, simile a quello che avvenne in Germania quando si esaurì l’ultima generazione romantica. Fenomeni di questo genere si riproducono ogni volta che la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo. Una società moderna si base su una grande varietà di specificazini, ma può sussistere soltanto se conserva la possibilità di abolirle a un certo momento per sacrificare tutto a un’unica esigenza rivoluzionaria. E’ questo il senso morale, non tecnico, della mobilitazione: una gioventù che non si conserva “disponibile”, che si perde completamente nelle varie tecniche, è compromessa. A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell’utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento. Questo vale soprattutto per l’Italia. Parlo dell’Italia non perché mi stia più a cuore della Germania o dell’America, ma perché gli italiani sono la parte del genere umano con cui mi trovo naturalmente a contatto e su cui posso agire più facilmente. Gli italiani sono un popolo fiacco, profondamente corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di cedere a una viltà o a una debolezza. Ma essi continuano a esprimere minoranze rivoluzinarie di prim’ordine: filosofi e operai che sono all’avanguardia d’Europa. L’Italia è nata dal pensiero di pochi intellettuali: il Risorgimento, unico episodio della nostra storia politica, è stato lo sforzo di altre minoranze per restituire all’Europa un popolo di africani e di levantini. Oggi in nessuna nazione civile il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: toca a noi di colmare questo distacco e di dichiarare lo stato d’emergenza. Musicisti e scrittori dobbiamo rinunciare ai nostri privilegi per contribuire alla liberazione di tutti. Contrariamente a quanto afferma una frase celebre, le rivoluzioni riescono quando le preparano i poeti e i pittori, purché i poeti e i pittori sappiano quale deve essere la loro parte. Vent’anni fa la confusione dominante poteva far prendere sul serio l’impresa di Fiume. Oggi sono riaperte agli italiani tutte le possibilità del Risorgimento: nessun gesto è inutile purché non sia fine a se stesso. Quanto a me ti assicuro che l’idea di andare a fare il partigiano in questa stagione mi diverte pochissimo; non ho mai apprezzato come ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore e un buon diplomatico, ma secondo ogni probabilità un mediocre partigiano. Tuttavia è l’unica possibilità aperta e l’accolgo.
Se non
dovessi tornare non mostratevi inconsolabili. Una delle poche certezze
acquistate nella mia esperienza è che non ci sono individui insostituibili e
perdite irreparabili. un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia
negli altri uomini vivi, e tu che sei giovane e vitale hai il dovere di
lasciare che i morti seppelliscano i morti. Anche per questo ho scritto a te e
parlato di cose che forse ora ti sembrano meno evidenti ma che in definitiva
contano più delle altre. Mi sarebbe stato difficile rivolgere la stessa
esortazione alla mamma e agli zii, e il pensiero della loro angoscia è la più
grave preoccupazione che abbia in questo momento. Non posso fermarmi su una
difficile materia sentimentale, ma voglio che conoscano la mia gratitudine: il
loro affetto e la loro presenza sono stati uno dei fattori positivi principali
nella mia vita. Un’altra grande ragione di felicità è stata l’amicizia, la
possibilità di vincere la solitudine istituendo sinceri rapporti fra gli
uomini.
Gli amici
che mi sono stati più vicini, Kamenetzki, Balbo, qualcuna delle ragazze che ho
amato, dividono con voi questi sereni pensieri e mi assicurano di non avere
trascorso inutilmente questi anni di giovinezza.
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