Il dibattito sull’Europa e sul che fare,
anche in vista delle elezioni europee che si terranno il 25 maggio
prossimo, è più che mai aperto e nel suo piccolo lo dimostra anche
la polemica che si è aperta tra me e il mio amico Aldo Giannuli, il
quale ha pubblicato sul suo blog lunedì e martedì due articoli in
risposta al mio intervento di settimana scorsa, scritto per MilanoX e
intitolato Con Tsipras, senza esitazione, per un’altra Europa.
Ebbene, le sue
argomentazioni meritano senz’altro una replica, non per dare vita a un
botta e risposta senza fine, cosa che non interesserebbe nessuno, ma
piuttosto perché i temi sollevati mi pare appartengano a un dibattito
ben più vasto. E poi, io credo nella dialettica e se la nostra piccola
polemica servirà per alimentare e allargare il confronto, allora avremo
fatto anche una cosa buona e utile.
Potete leggere i due interventi di Giannuli sul suo blog cliccando sui seguenti link: Può esserci un’altra Europa? E come? e Concludendo: la lista Tsipras si fa o no?.
Per quanto mi riguarda procederò per punti, scusandomi in anticipo per
un eventuale eccesso di schematismo, ma molte cose sono già state dette e
scritte e mi pare preferibile concentraci sui nodi centrali.
1.
La prima domanda, anzi la madre di tutte le domande non è se la Ue sia
riformabile o irriformabile, oppure se l’attuale architettura europea e
la sua moneta unica siano vicini al collasso. E nemmeno se il Parlamento
europeo possa essere strumento di riforma dell’Unione, anche perché in
un contesto continentale dove i Parlamenti nazionali sono sempre più
svuotati di funzioni e poteri, cosa dovrebbe fare un’istituzione che di
funzioni legislative e di potere non ne ha mai avuti? No, a monte c’è un
altro quesito, cioè qual è oggi il terreno del conflitto di classe e,
di conseguenza, qual è la dimensione in cui costruire e articolare una
prospettiva di trasformazione, un programma, una strategia e una
soggettività o meglio, una convergenza di soggettività.
Questo credo sia il
punto di partenza di ogni ragionamento, perché viviamo in una dimensione
non solo continentale, ma mondiale, in cui la globalizzazione liberista
non è soltanto ideologia o proclama, ma anche sostanza economica,
sociale e culturale. Gli stati nazionali rimangono altamente
significativi, certo, perché è quella la dimensione in cui si costruisce
la legittimazione politica del potere e sono quelli i livelli che
detengono la forza armata e la funzione repressiva. Ma i luoghi del
potere e delle decisioni che contano e il “campo di gioco” si trovano
altrove e sfuggono alla mera dimensione nazionale. Vale per il capitale
finanziario, vale per le transnazionali, vale per l’Electrolux o per la
Fiat (pardon FCA), vale per qualsiasi grande istituto bancario, vale per la politica. Il sup Marcos qualche anno fa chiamò tutto questo La quarta guerra mondiale e la definizione mi pare assai calzante.
In un mondo e in
un’Europa siffatti si può pensare davvero che la dimensione del
conflitto, della lotta sociale e politica, del perseguimento di
obiettivi concreti come un salario decente o un reddito sociale e della
definizione di un modello di società possa essere diversa da quella
sovrannazionale? Non è una questione astratta o ideologica, ma
maledettamente concreta. In fondo è una questione di efficacia
dell’azione sociale e politica.
2.
L’Unione Europea è fondamentalmente al servizio del liberismo. Così
come si è storicamente configurata con i suoi trattati, cioè con gli
accordi tra i governi nazionali, è stata ed è strumento per abbattere
frontiere ed eliminare regole per i capitali, innalzare muri per le
persone, mettere in competizione livelli salariali diversi, fare dumping
sociale, spingere i riluttanti a privatizzare di più e più in fretta.
Con la crisi sono poi arrivate le politiche d’austerità e del pareggio
di bilancio, che hanno fiaccato una parte del continente e che stanno
strangolando interi settori sociali. E con loro sono arrivate le troike,
le letterine ai governi, i fiscal compact, i commissariamenti di fatto.
Quasi scontato che di conseguenza sia arrivata anche la crisi di
legittimità delle istituzioni europee, già in partenza prive di
investitura democratica diretta e ora sempre di più identificate come la
causa di ogni male.
Oggi questa Europa
rischia davvero di collassare e con essa la moneta unica. E anche sulla
sua “riformabilità” ho dei sinceri dubbi. Non sta qui, infatti, il punto
di divergenza con Giannuli. Il punto di divergenza con lui e con altre
forze di sinistra, come il KKE greco, o movimenti “non etichettabili
come destra” (per usare la definizione di Giannuli), come il M5S, è che
non credo affatto che di conseguenza l’unica strada sia tifare per il
disfacimento dell’Ue e della moneta unica, che altro non significa, in
assenza di un discorso e di un orizzonte europeo, che ritornare alla
dimensione e alle monete nazionali. E se succedesse questo, senza avere
in campo un’opzione alternativa di sinistra a livello europeo e una
cooperazione di movimenti e forze sul piano continentale, allora mi pare
evidente, vista anche l’aria che tira, che la strada sarebbe più che
libera per opzioni di destra, che nel ripiegamento nazionale si trovano
invece perfettamente a loro agio.
Insomma, avere in
campo un’opzione europea di sinistra dovrebbe essere una preoccupazione
non solo di chi crede che l’attuale assetto istituzionale sia destinato a
durare, ma soprattutto di chi crede che siamo ormai vicini al collasso.
3.
Ultimo punto, o per dirla con le parole di Giannuli: “la lista Tsipras
si fa o no?”. Magari lo sapessi, magari avessi la sfera di cristallo.
Comunque, lo sapremo a breve, perché i tempi sono molto stretti e
Tsipras venerdì sarà a Roma al Valle occupato. Credo che in quel
frangente qualche elemento più concreto ci sarà per forza di cose, in
positivo o in negativo.
Per quanto mi
riguarda, come ho già scritto, io tifo perché ci sia la lista Tsipras e
per quel che vale mi impegno in tal senso. E lo faccio nonostante sia
perfettamente consapevole delle contraddizioni, delle difficoltà, dello
stato pietoso in cui sono ridotte le sinistre italiane, delle tante
autoreferenzialità dei ceti politici di partito e non di partito, dei
litigi, degli odi, delle cazzate e delle idiozie. Lo faccio perché
Tsipras rappresenta un’esperienza politica concreta e positiva e perché
oggi la sua candidatura a livello europeo costituisce una possibilità
per costruire convergenze a livello continentale per un’altra Europa.
Non è detto che si
riesca, ovviamente. Tanti dicono di sostenere Tsipras, ma mettere i
tanti insieme è dura, ci conosciamo. Eppure, per poter funzionare
bisogna mettere insieme tutti e fare un'unica lista, aperta e
includente.
I tempi sono stretti?
Ci sono tante firme da raccogliere, grazie a una legge elettorale che
penalizza chi non è già in parlamento? Certo, è difficile, ma non
impossibile, a patto che la lista non sia un pateracchio, che non
respinga le forze dotate di organizzazione, che non dia l’impressione di
essere un club privato e, soprattutto, che in giro susciti un po’ di
sano entusiasmo.
La lista, anche se
riesce a presentarsi e a superare lo sbarramento, poi “si squaglierebbe
in venti secondi”. Forse sì, forse no. Io penso che del poi
bisogna occuparsi poi e che sarà determinato anche da quello che è
successo prima. E magari, facendo delle cose insieme, si riesce a
cambiare tutti e tutte e non necessariamente in peggio.
Insomma, ci sono
tante controindicazioni e tanti pericoli. Ma i tempi della politica
raramente seguono i nostri tempi, cioè quelli che noi pensiamo debbano
essere i nostri tempi. Bisogna dunque osare, tentare, altrimenti non
combineremo mai niente. Io la vedo così.
Per concludere, io
sono fermamente convinto che la dimensione europea della lotta e del
conflitto sia una necessità imprescindibile per i movimenti sociali, per
le organizzazioni dei lavoratori e per le forze che fanno i conti con
il livello elettorale e istituzionale. E che dunque sia quello il
contesto in cui bisogna agire e costruire, anche al di là delle elezioni
europee, che tuttavia nella congiuntura attuale assumono un significato
politico di primaria importanza. Per questo vale la pena lavorare
perché ci sia una lista Tsipras anche in Italia. Magari ci riusciamo,
magari finisce prima di iniziare. Lo vedremo. Comunque sia, anche nella
peggiore delle ipotesi, potremo dire di averci provato, invece di
arrenderci passivamente a quel che passa il convento, cioè
l’astensionismo o il voto al M5S. Nella migliore delle ipotesi, invece,
avremo fatto finalmente qualcosa di utile.
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