Marx diceva, nel 1848, che il governo di ogni paese, e quindi anche il parlamento, era «il comitato d’affari della borghesia». Della borghesia:
genitivo oggettivo, non soggettivo, come invece lo è oggi. Perciò oggi
forse Marx direbbe che è «il comitato della borghesia che si fa i propri
affari». Il che è particolarmente vero in Italia. Certo, nell’ultimo
ventennio ogni governo è stato eletto dalla maggioranza parlamentare
eletta a sua volta dalla maggioranza degli elettori.
Ma qui si è fermata la democrazia del voto, ridotta oramai ad una
larva, svuotata da 8 anni di Porcellum anticostituzionale. La nuova
legge elettorale renzi-berlusconiana, come è stato più volte ribadito, è
un doppio Porcellum, a causa dei listini bloccati e del gigantesco
premio di maggioranza, che offrirebbe parlamento e governo nelle mani di
una minoranza (un terzo dei votanti). E con un’opposizione simbolica,
ridotta numericamente al lumicino. Alla faccia di milioni e milioni di
elettori! La democrazia, da governo dei molti, si trasformerebbe così definitivamente in oligarchia, in governo dei pochi.
Chi sono poi tali “pochi” è da chiarire. Certo, sono le segreterie e i
capi dei partiti o dei movimenti-partiti, o delle loro correnti e
fazioni interne. Una patologia istituzionale certamente grave, tuttavia
ancora curabile con apposite terapie e nuove procedure. Il fatto è che
in Italia i “poteri forti” dell’economia e della finanza non sono solo dietro partiti, governi e parlamento, come è sempre successo da Marx in poi, ma sempre più dentro,
e talvolta nelle loro stesse cabine di comando. Vedi il caso del
caimano arcoriano, ad un tempo imprenditore, e capo di partito, di
governo e maggioranze parlamentari asservite, pron(t)e a decretare
vagoni di indecenti leggi ad personam.
Da manuale poi il «governo tecnico» di Monti-Passera-Fornero,
managers mandati direttamente dai direttòrii di banche e istituti
finanziari e di rating nazionali e internazionali a imporre
l’“austeritarismo”, che ha messo in ginocchio pensionati, giovani senza
lavoro, famiglie già povere, parte dei ceti medi e persino numerosi
piccoli imprenditori, alcuni finiti suicidi. Lo spread si è ridotto, ma
l’Italia piange lacrime di sangue. Anche il governo delle larghe, poi
strette intese, è stato voluto dai poteri forti. Che oggi però, a quanto
pare, lo stanno sfiduciando. Sintomatico il titolo a piena pagina del
“Resto del Carlino” odierno: «Squinzi licenzia Letta». Ma che? Letta un
dipendente di Squinzi, il suo governo una protesi aziendale, anzi
dentaria (sostituibile se e quando logorata e inefficace) della
Confindustria?
La situazione politica italiana, del resto, si sta proiettando sempre
di più fuori della Costituzione, che prevede l’autonomia del
parlamento. Si critica, e a ragione, la tendenza decisionistica del
Presidente della Repubblica. Ma è risaputo che la grande anomalia, che
confligge molto di più col dettato costituzionale, è il fatto che i tre
più grandi partiti sono diretti, o meglio comandati, da personaggi mille
volte più decisionisti, e che sono, per scelta o per necessità, fuori
del parlamento e del governo.
Due miliardari (come ha detto il vignettista Vauro), privati
cittadini, più un sindaco (sostenuto, oramai è chiaro, da altri
miliardari). Tutti e tre extraparlamentari. L’uno, l’ex comico, in
tandem col suo doppio, il tetro apocalittico mediatico, dispone ad libitum
di quasi tutti i suoi parlamentari (“suoi”, non del popolo che li ha
eletti: e perciò con presunto vincolo di mandato, che ovviamente è
anticostituzionale), in attesa del mitico consenso elettorale
totalitario del 51%. Perché farsi eleggere in parlamento? Gli basta un
twitt dal suo blog privato per far purtroppo tremare le istituzioni
repubblicane.
L’altro miliardario, condannato al carcere o ai servizi sociali per
frode fiscale (per aver cioè frodato lo Stato, ossia noi tutti) e perciò
espulso dal Senato, in attesa di scontare la pena, che fa? Continua a
far politica, presumendo di ergersi – il colmo degli assurdi! –
addirittura a nuovo padre costituente di uno Stato che egli stesso ha
fatto di tutto e di più per viol(ent)are e sfasciare. Il terzo,
neosegretario di partito con le primarie, decide «in piena sintonia» col
secondo, il delinquente di Arcore, in quasi privato conciliabolo, sia
il cosiddetto l’Italicum sia profonde riforme istituzionali. Riforme che
il parlamento può ritoccare, non modificare. Un diktat, che configura
una vera e propria “democrazia” extraparlamentare. Ma sarebbe ancora
democrazia?
Anche a questa anomalia, e non solo alla casta, all’illegalità e alla
corruzione, bisogna opporsi, se si vuole difendere e salvare la
Costituzione repubblicana!
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