È
il segreto meglio conservato d’Italia. È la domanda cui nessuno è in
grado di rispondere: cosa pensa Pierluigi Bersani dell’euro? O cosa ne
dicono Rosy Bindi, Massimo D’Alema, Walter Veltroni? Mistero. Li avete
mai sentiti pronunciarsi sul punto che preoccupa tutti gli europei, sul
tema che ci mette in pericolo stipendi, pensioni, sanità, scuola? In
diversa misura, la domanda vale anche per altri esponenti della
sinistra.
Si esprimono sul consiglio d’amministrazione Rai, sulla riforma elettorale, sul finanziamento ai partiti, ma sapere che futuro vedono per Eurolandia, come pensano di farci superare la crisi, quali misure adotterebbero se governassero da soli, tutto ciò è precluso saperlo. È come se disquisissero su quante uova prevede la ricetta della nonna mentre la casa brucia. Perché invece sappiamo benissimo come vedono il futuro di Europa Angela Merkel, e persino Mario Monti, anche se pure loro ci devono spiegare come intendono farci uscire dal tunnel senza fondo in cui ci hanno intrappolati. Sul nodo che sta facendo precipitare le nostre società, che ha abrogato le costituzioni di mezza Europa, che ha sospeso la democrazia, la sinistra (non solo) italiana latita. Quella rappresentata in parlamento si contenta di aver ingoiato il patto di stabilità e di aver votato un emendamento costituzionale furbetto che include già le proprie scappatoie. Un voto «all’italiana»: perché lo sanno tutti che nel decennio a venire sarà assolutamente impossibile rispettare il dogma del pareggio di bilancio, quindi un voto che già sconta l’infrazione: un gesto alla Lazarillo de Tormes, da servitore che vuole accontentare la padrona (tedesca), salvo poi a buttarsi col nuovo patrono (francese), proprio come fa Mario Monti che s’inventa un fantomatico asse con François Hollande dopo aver per mesi retto lo strascico alla cancelliera. E la sinistra che agisce fuori dal parlamento, nelle piazze, nei movimenti, nel sindacato, si ostina cocciuta a rinchiudersi in un orizzonte nazionale di una crisi che invece è continentale e che non troverà risposta se ci limitiamo a cercarla entro i nostri confini. Ma quando avremo una giornata di protesta europea? Quand’è che i manifestanti scenderanno in piazza insieme a Roma, Parigi, Madrid, Berlino? Quand’è che esprimeremo solidarietà pubblica verso la Grecia? Si parla tanto di tornare a Keynes, anche se – sono d’accordo con l’analisi di Mario Pianta sul manifesto di ieri – è ormai troppo tardi e troppo poco. Urge ristabilire la dimensione politica di una crisi che non è affatto tecnica, ma politica, di democrazia. Altrimenti come meravigliarsi allora che i cittadini disertino? L’antipolitica che serpeggia in tutto il continente è una risposta istintiva dei popoli al silenzio della politica tradizionale, alla sua incapacità a incidere per migliorare le nostre vite materiali. La risposta è sbagliata, velleitaria, fuorviante, ma ci andrei piano a demonizzare l’antipolitica, a trattarla con il sussiego di chi reagisce a un peto in un salotto.
Si esprimono sul consiglio d’amministrazione Rai, sulla riforma elettorale, sul finanziamento ai partiti, ma sapere che futuro vedono per Eurolandia, come pensano di farci superare la crisi, quali misure adotterebbero se governassero da soli, tutto ciò è precluso saperlo. È come se disquisissero su quante uova prevede la ricetta della nonna mentre la casa brucia. Perché invece sappiamo benissimo come vedono il futuro di Europa Angela Merkel, e persino Mario Monti, anche se pure loro ci devono spiegare come intendono farci uscire dal tunnel senza fondo in cui ci hanno intrappolati. Sul nodo che sta facendo precipitare le nostre società, che ha abrogato le costituzioni di mezza Europa, che ha sospeso la democrazia, la sinistra (non solo) italiana latita. Quella rappresentata in parlamento si contenta di aver ingoiato il patto di stabilità e di aver votato un emendamento costituzionale furbetto che include già le proprie scappatoie. Un voto «all’italiana»: perché lo sanno tutti che nel decennio a venire sarà assolutamente impossibile rispettare il dogma del pareggio di bilancio, quindi un voto che già sconta l’infrazione: un gesto alla Lazarillo de Tormes, da servitore che vuole accontentare la padrona (tedesca), salvo poi a buttarsi col nuovo patrono (francese), proprio come fa Mario Monti che s’inventa un fantomatico asse con François Hollande dopo aver per mesi retto lo strascico alla cancelliera. E la sinistra che agisce fuori dal parlamento, nelle piazze, nei movimenti, nel sindacato, si ostina cocciuta a rinchiudersi in un orizzonte nazionale di una crisi che invece è continentale e che non troverà risposta se ci limitiamo a cercarla entro i nostri confini. Ma quando avremo una giornata di protesta europea? Quand’è che i manifestanti scenderanno in piazza insieme a Roma, Parigi, Madrid, Berlino? Quand’è che esprimeremo solidarietà pubblica verso la Grecia? Si parla tanto di tornare a Keynes, anche se – sono d’accordo con l’analisi di Mario Pianta sul manifesto di ieri – è ormai troppo tardi e troppo poco. Urge ristabilire la dimensione politica di una crisi che non è affatto tecnica, ma politica, di democrazia. Altrimenti come meravigliarsi allora che i cittadini disertino? L’antipolitica che serpeggia in tutto il continente è una risposta istintiva dei popoli al silenzio della politica tradizionale, alla sua incapacità a incidere per migliorare le nostre vite materiali. La risposta è sbagliata, velleitaria, fuorviante, ma ci andrei piano a demonizzare l’antipolitica, a trattarla con il sussiego di chi reagisce a un peto in un salotto.
Nessun commento:
Posta un commento