giovedì 24 maggio 2012

La commedia dei ritardati pagamenti di di Leonardo Caponi, www.umbrialeft.it


PERUGIA -  E’ andata in onda in primissima serata, in tutti i media più seguiti, con rullar di tamburi e squilli di tromba: “lo Stato paga i debiti”, “30 miliardi al sistema delle imprese”, “torna la liquidità”, “ossigeno per lo sviluppo”; addirittura sul mitico salotto di Porta a Porta è stato fatto campeggiare un tabellone con la scritta “lo stato restituisce i soldi alle imprese”, quasi glie li avesse rubati!
Una commedia, si una commedia, che, sotto la regia del governo Monti, ha avuto per protagonisti le banche, la Confindustria le associazioni delle piccole imprese (queste più o meno convinte). L’effetto sul telespettatore è stato quello di fargli sapere (credere) che finalmente, grazie all’azione del governo, lo Stato regolava una ingiustificata e protratta insolvenza con le imprese private, fornitrici di beni e servizi, strangolate da questi crediti inevasi e le metteva finalmente in condizione di potersi sviluppare.
Una commedia, per coprire una operazione ideologica e politica. Ideologica perché mettere in cattiva luce il “pubblico”, lo Stato burocratico, inefficiente e despota, non fa mai male: politica, perché utile a dimostrare che non è vero che il governo Monti pratica una politica recessiva, ma, al contrario, sostiene le imprese e lo sviluppo e lo fa principalmente (compensazione dovuta ad una delle forze di maggioranza) su input, per così dire, del Pdl e del suo segretario.
Perché una commedia? Perché si sopravvaluta l’impatto che le misure potranno avere sull’economia e sulle imprese (oltre che l’ammontare delle risorse messe in circolo), perché si chiama col nome di risarcimento dei debiti quello che in realtà è un sistema di incentivi alle imprese accollato allo stato e perché, infine, di tutto il marchingegno messo in piedi con i decreti approvati dal governo, alla fine, a beneficiarne veramente e più di tutti saranno non le imprese, ma…le banche.
Vediamo di spiegarci. Innanzitutto, si fa una gran confusione tra mancati e ritardati pagamenti. Sono cose diverse; i secondi che costituiscono la gran parte del problema sono in realtà già previsti (ogni contratto tra stato o altri enti pubblici e fornitori include obbligatoriamente tempi di pagamento ed eventuali penali in caso di insolvenza) e quindi, come dire, già considerati e “scontati” nei bilanci delle aziende che il più delle volte, pur conoscendo i tempi lunghi, preferiscono comunque lavorare con il “pubblico” perché sono soldi “sicuri”. Nel computo dei “mancati” pagamenti vengono considerate somme molto spesso oggetto di contenzioso o contestazioni o con liquidazione in attesa di procedimenti giudiziari, quindi di complicata o difficile esigibilità. Un’altra parte ancora dei mancati pagamenti è attribuibile al cosiddetto “patto di stabilità”, cioè alla impossibilità, imposta per legge dal governo agli enti locali, di saldare debiti per i quali, pure, avrebbero risorse a disposizione.
In questo caso, in realtà non incidente in maniera molto significativa, basterebbe semplicemente allentare i vincoli di quella politica rigorista di cui, da ultimo, il governo Monti, si propone come campione assoluto.
Queste considerazioni rendono evidente, dunque, come il problema dei ritardati pagamenti sia un problema “storico”, con il quale le imprese hanno fatto i conti anche, forse soprattutto, nella fasi di maggiore espansione economica (perché allora la spesa pubblica era maggiore).
Quando esplode dunque e perché esplode il problema? Semplicemente perché le banche decidono di chiudere i cordoni della borsa e pur avendo avuto ingenti risorse ad un tasso di interesse irrisorio da parte della Banca Centrale Europea, decidono che, invece di finanziarie imprese e famiglie è molto più vantaggioso acquistare titoli pubblici, italiani ed europei a rendimenti sei, sette volte più elevati degli interessi pagati alla Bce.
E il governo “equo e solidale” di Monti e Passera, a questo punto, che fa? Invece di costringere o “convincere” le banche ad altri “impieghi” sociali e produttivi (quelli per i quali hanno avuto soldi dall’Europa) , “scopre” l’”emergenza” dei ritardati pagamenti e consente alle stesse banche, a spese dello stato e delle imprese, di guadagnarci sopra!
Come? Per ottenere la liquidità che chiedono, le imprese avranno due possibilità. Potranno “vendere” i loro crediti con gli enti pubblici alle banche; ma in questo caso, che lo facciano con il sistema del pro solvendo o del pro soluto, saranno comunque “fregate”, perché nel primo caso, nel quale la banca si accolla l’onere dell’eventuale insolvenza del debitore, riceveranno una somma inferiore al valore reale del credito, mentre nel secondo dovranno accollarsi il rischio, che per una banca è sopportabile, per un privato più consistente. In alternativa le imprese potranno chiedere un prestito al Fondo nazionale di garanzia (o ai Consorzi Fidi da questo finanziati), prestito che dovranno naturalmente rimborsare seppure con un interesse, dicono le banche, bontà loro!, un po’ inferiore a quello di mercato, per il quale, udite, udite!, le stesse banche (questa è la condizione che hanno chiesto e ottenuto per scucire un po’ di soldi) saranno esentate dal rischio di insolvenza del cliente, che sarà in toto considerato e trasferito a carico dello stato.
Con un colpo solo, Monti piazza un colpo pubblicitario sull’opinione pubblica perché può dire di “sostenere la ripresa”, “cura” gli interessi della sua parte (le banche), quelli di Confindustria, dominata dalla grandi imprese che hanno consistenti quote in banche e Fondazioni e utilizza il ricatto della liquidità sulle piccole imprese per legarle al “carro” di quelle grandi e delle banche.
Come sempre sarà la realtà delle cose, nei prossimi mesi, a sbugiardare agli occhi della opinione pubblica e delle stesse piccole imprese, la politica classista e truffaldina di Monti e del suo governo.
Il rischio è che accada troppo tardi, quando danni ulteriori e irreparabili saranno stati fatti.
Bisogna mandarlo via il prima possibile.
 

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