Un incredibile balzello anti-sindacato: trattenuti otto euro in busta paga per le spese sindacali. Questo è quello che l'azienda annuncia di voler fare attraverso alcune lettere inviate dai suoi avvocati ai legali dei metalmeccanici della Cgil. Il Lingotto prima non voleva trattenere le quote associative, ora chiede indietro i soldi.
Da Equitalia a “Equifiat”: ed ecco che, come per un brutto scherzo,
gli operai del più importante gruppo auomobilistico italiano si
ritrovano in busta paga la “tassa Marchionne”, ovvero un incredibile balzello anti-sindacato di ben sette euro e mezzo al mese. Forse persino di più.
POSSIBILE?
Per quanto possa sembrare incredibile è quello che l’azienda annuncia
di voler fare attraverso alcune lettere inviate dai suoi avvocati ai
legali dei metalmeccanici della Cgil. Una reazione ritorsiva, cioè, che
la Fiat ha messo in campo dopo essere stata sconfitta in tribunale,
proprio dagli avvocati della Fiom, e proprio sul trema cruciale delle
trattenute sindacali. Queste lettere non sono solo una strategia
difensiva, ma anche un segnale: quello che la guerra senza prigionieri
fra il numero uno del Lingotto e il sindacato di Maurizio Landini
continua senza esclusione di colpi. Così, per capire che cosa sia
successo è necessario un passo indietro. Tutto comincia, ancora una
volta, da Torino. Solo la settimana scorsa l’azienda di Marchionne subisce un gravissimo smacco e viene condannata nel capoluogo
piemontese per attività anti-sindacale. L’oggetto del contendere erano
le quote associative degli iscritti della Cgil (circa 15 euro al mese),
che i dirigenti del Lingotto – al contrario di quello che fanno con
tutti gli altri sindacati, Cobas compresi – si rifiutavano di prelevare
dalle buste paga dei propri dipendenti. Da quando il sindacato di Maurizio Landini
ha rifiutato di firmare il cosiddetto “contratto Mirafiori”, infatti,
la Fiat aveva cessato la sua opera di sostituito d’imposta, appellandosi
allo statuto dei lavoratori, così come è oggi, dopo essere stato
emendato dal referendum dei radicali del 1995. Un modo come un altro per
mettere in ginocchio la Fiom, a cui – fra l’altro – già non viene
riconosciuti il diritto alla rappresentanza, e a cui sono state chiuse
le salette dedicate in tutte le fabbriche del gruppo. Una scelta che ha
costretto il sindacato ad allestire sedi di fortuna, a ricorrere a
camper e – addirittura – a tende della Protezione civile collocate
davanti ai cancelli. Quando si è votato, Landini e Airaudo
hanno dovuto organizzare consultazioni parallele a quelle degli
organismi di rappresentanza da cui il loro sindacato escluso, con il
voto simbolico su una scheda in cui è scritto: “Voglio la Fiom”. I
metalmeccanici della Cgil hanno anche ricostruito da zero tutto il loro
tesseramento, e proseguito la battaglia sul piano legale portando il
gruppo Fiat in Tribunale, chiamandolo in causa per la condotta seguita
in undici stabilimenti.
IL RISULTATO è stato
clamoroso: perché la Fiat ha perso per undici a zero, condannata in
tutti i casi a ripristinare la sua funzione di sostituto d’imposta.
Nemmeno gli effetti del referendum del 1995, scrivono infatti i giudici
nella loro sentenza, può impedire la cessione delle quote dei lavoratori
al sindacato a cui liberalmente scelgono di aderire in virtù di un
principio costituzionale : “È stato ripristinato un diritto elementare”,
aveva commentato il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo.
Tutto risolto dunque? Macché. Con una mossa a sorpresa (che peró è
rivelatrice di una volontà politica chiara) la Fiat scegli di ignorare
la sentenza e il suo spirito. Lo scrivono i legali dello studio De Dominicis,
che rappresenta il Lingotto: “Le società da noi rappresentate , fatta
ampia riserva di opposizione avverso l’indicato provvedimento – si legge
nella loro lettera – ritengono di avere diritto comunque a ottenere il
pieno e totale rimborso di ogni qualsivoglia onere conseguente alle
attività di carattere gestionale, amministrativo e contabile e alle
spese tutte collegate alle menzionate operazioni di accredito mensile”.
Non solo: “Di ciò – scrivono gli avocati di Marchionne –
verrà dato avviso anche ai singoli lavoratori interessati”. Ovvero,
tradotto dall’avvocatese, gli iscritti subiranno una piccola campagna
epistolare, a forte carattere dissuasivo. E a quanto ammonta il prelievo
che la Fiat immagina di dover applicare per le sue spese gestionali:
gli avvocati lo hanno già fissato, nella loro memoria difensiva. Di
quanto? Sentite qui: “Questa difesa ritiene di dover stimare, avuto
riguardo dei costi di una risorsa impiegatizia, un costo medio di 4, 5
euro per ciascuna cessione”. A cui secondo la Fiat vanno aggiunti “avuto
riguardo ai costi nei praticati dagli istituti bancari nazionali per
ciascun bonifico e agli oneri connessi per la materiale gestione
contabile 3 euro”. Quindi, a seconda dei calcoli, 7 o 8 euro. “Marchionne – commenta Airaudo
– si lamenta di essere costretto alle cause, ma è con questi
comportamenti che ci costringe solo alle cause. Questo tentativo è grave
per due motivi: da un lato cerca di imporre una tassa sulla libertà
sindacale. Dall’altro cerca di intimidire gli iscritti. Su questo deve
intervenire il governo”. Fornero se ci sei batti un colpo.
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