Se c’è una qualità che contraddistingue gli eternamente giovani eredi
del Pci di Enrico Berlinguer, è il coraggio. Nel senso che non ce
l’hanno mai avuto e mai lo avranno. Una generazione di politici venuti
su a pane e tremarella. Piero Fassino, per esempio. Insieme a Veltroni e
D’Alema compone la triade terribile, la trinità post-comunista
responsabile del più grosso sperpero umano, culturale e politico di
un’eredità altrimenti ricca di idee, passione e sacrifici. E coraggio,
soprattutto. Ieri Fassino fa sapere che, in
veste di sindaco di Torino, avrebbe sposato l’ex brigatista Nicola
D’Amore. Per uno che ogni tre parole ci ficca l’aggettivo “garantista” –
specie quando si parla di compagni di partito indagati per ruberie
varie o di ex segretari Ds che esultano per la banca acquisita (lui) –
nulla di strano insomma. Per uno della triade su citata, un atto di
coraggio stupefacente, ma così stupefacente che la natura stava
stravolgendo sé stessa, con i torrenti della Val di Susa già pronti a
cambiare corso. Infatti, puntualissima come i treni ai tempi del Duce e
come l’Ntv di Montezemolo, arriva la retromarcia: «Rinuncio».
Fassino era quello che, quando Occhetto a Bologna spiegò che il Pci
avrebbe cambiato nome, cercò di calmare gli animi dei militanti arrivati
inferociti fuori da Botteghe Oscure: «Calma compagni, avete capito
male!». Infatti stava mentendo.
Fassino era quello che, sempre da segretario Ds (l’acronimo stava per
“democratici di sinistra”, poi giustamente hanno levato “sinistra”)
andava agli scioperi della Fiom e poi ai microfoni dei tg esprimeva
solidarietà. Agli operai? Sì. Ma anche alle imprese.
Fassino è quello che di fronte ai ricatti di Marchionne a Mirafiori
abbassò umile la testa come un geometra Calboni qualsiasi (è quel
personaggio dei vari Fantozzi che, vedendo arrivare il padrone,
esclamava pavido e servile «è un grande Ingegnere»).
Il sindacalista Giuseppe Di Vittorio amava ricordare come la Cgil
avesse insegnato ai braccianti poveri del sud a non levarsi il cappello
se non lo avesse fatto anche il latifondista. Poi c’è Fassino e quelli
come lui che, per fare prima, vivono direttamente col cappello in mano.
Dove tira il vento, vanno pure loro, eterni sacerdoti del banale e dello
status quo.
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