Massimo Ponzellini è nato ricco, ma ricco veramente.
Sua padre, Giulio, era il facoltoso imprenditore che sostenne a Bologna
la nascita del Mulino e della scuola economica di Nino Andreatta prima e
Romano Prodi poi. Sua madre è Marisa Castelli dell’Anonima Castelli,
colosso dei mobili per ufficio. Poi si è sposato con Maria Segafredo
della famiglia del caffè. “Da ragazzo avevo diverse Ferrari, adesso ne
ho una sola”, spiegava un anno fa a un’attonita Daria Bignardi per
descrivere la sobrietà raggiunta con i 60 anni.
Corpulento,
chiacchierone, fiero del suo dongiovannismo, Ponzellini merita un posto
nel Pantheon dell’Italia in declino. Nato prodiano, è diventato un
simbolo dello spirito del tempo berlusconiano. Al suo attivo alcuni
record, tra cui quello di aver insegnato all’Università Bocconi senza
essersi mai laureato. Un testimonial dell’Italia dove studiare non serve
a niente se sei pieno di amicizie.
Ed eccolo ventottenne, già
amministratore delegato nell’azienda del padre, che però non è contento
di lui e chiede al giovane professore Romano Prodi di fargli fare
qualcosa di utile per sè e magari per il prossimo. Prodi, nominato
ministro dell’Industria, se lo porta a Roma come assistente. È il
novembre del 1978, Aldo Moro è stato ucciso dalle Br appena sei mesi
prima, ma Ponzellini non si fa scrupolo di arrivare sotto il ministero,
in via Veneto, sgommando in Ferrari. Segue poi Prodi all’Iri dove fa una certa carriera.
Quando
il Professore viene fatto fuori, e sostituito con l’andreottiano Franco
Nobili, Ponzellini deve cambiare aria, e si piazza a Londra, nella
nascente Bers, la banca europea per la rinascita economica dell’Est
Europa. Ponzellini solennizza il momento comprandosi la Bentley,
preferibile alla Rolls Royce, spiegherà in seguito, perché te la guidi
da solo mentre la Rolls senza autista è improponibile. A Londra il
giovane banchiere rileva un certo traffico.
Si sposta poi alla
Bei, Banca europea per gli investimenti, dove resta fino al 2003 come
vice presidente e amministratore delegato. Come molti cervelli in fuga,
Ponzellini prepara il ritorno in Italia. La sua rete di relazioni si
infittisce. Nel 2001 è tra gli azionisti della nuova Unità riportata in
edicola da Furio Colombo e Antonio Padellaro, e affianca la campagna
elettorale di Francesco Rutelli candidato premier.
Vince Berlusconi, e allora Ponzellini decide (e dichiara, perché l’uomo è
schietto) che quelli come lui, che vogliono bene all’Italia, devono
stare vicini a chi vuole il bene del Paese. Per esempio, Silvio
Berlusconi. Per esempio Luigi Bisignani. Ma anche e soprattutto il
ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Che nel 2002
gli affida la neonata Patrimonio Spa, che deve censire e dismettere gli
immobili pubblici. Se oggi tra gli obiettivi del governo Monti c’è
ancora il miraggio di vendere un po’ di beni demaniali il merito è tutto
di Ponzellini che non ha combinato niente. Però il banchiere senza
laurea piace a Tremonti, che lo promuove alla guida del Poligrafico
dello Stato.
Veloce nei movimenti, sia geografici che politici,
Ponzellini comincia a fare acrobazie. Tra una barzelletta, un affare e
un complimento alla bellezza di passaggio, diventa nel 2007 anche presidente dell’Impregilo,
la più grande società di costruzioni italiana, in crisi nera dopo la
gestione Romiti. Si affida a lui il gruppo Gavio, che è in ottimi
rapporti con il presidente della provincia di Milano Filippo Penati.
Ponzellini finisce indagato per un finanziamento a Faremetropoli,
l’associazione di Penati, ma sostiene di non saperne niente.
Da
berlusconiano, il ragazzo vuole rimanere anche prodiano, tanto che il
Professore si stufa e affida al portavoce Silvio Sircana una feroce
lettera al Corriere della Sera: chiede di non scrivere più che il
banchiere “è vicino” a Prodi, perché i due sono solo vicini di casa a
Bologna, per cui “sarebbe più opportuno parlare di vicinato e non di
vicinanza”. Ponzellini però è oltre. Riscopre le origini varesine della
famiglia e diventa amico di Umberto Bossi, “persona per
bene”. Fa l’accordo con la Cisl di Raffaele Bonanni e i dipendenti
della Banca popolare di Milano lo eleggono presidente, nel 2009. Bossi
dice che Ponzellini è un suo uomo. Alla domanda se preferisca la
compagnia di Bossi o di Prodi, il ragazzaccio dice che è come chiedere
se preferisci stare a casa con i genitori o al bar con gli amici. Prodi è
il padre palloso, Bossi l’amico scoppiettante. Gusti. Però alla fine
dalla Bpm lo cacciano e Ponzellini si trova sotto indagine per la storia
che ieri l’ha portato agli arresti domiciliari. Ma ha di che consolarsi. Il presidente Napolitano proprio l’anno scorso l’ha fatto cavaliere del Lavoro. E perché no?
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