Dalla Francia arrivano due buone notizie: la sinistra può vincere le
elezioni senza perdere la sua identità. E le ottuse e autolesioniste
politiche restrittive dell’alleanza Merkel-Sarkozy (ora rimpiazzata
dall’asse Merkel-Monti) non sono inevitabili.
Il programma economico di Hollande ha
infatti una marcata identità progressista ed è lontano dalle posizioni –
invero assai confuse, mutevoli, frammentate e a volte contraddittorie –
espresse finora dal Pd. Al punto che, secondo alcuni osservatori,
sconfina a volte nel populismo. Durante la campagna elettorale il nuovo
premier francese ha tuonato più volte contro le banche e la finanza
mondiale, che ha definito “Il suo vero rivale, quello che non si candida
ma che ci governa” e che “Ha preso il controllo delle nostre vite,
della nostra società, dei nostri stati”.
A giudicare dal programma e dagli slogan elettorali del Partito
socialista, le intenzioni di Hollande sono inequivocabili e promettono
sia una forte discontinuità con la politica economica di Sarkozy sia un
profondo ripensamento del rapporto con la Germania.
Anzitutto, il nuovo premier vuole risanare i conti e rilanciare
crescita e occupazione senza tagli draconiani alla spesa pubblica. Come
ha spiegato con chiarezza Emilio Carnevali
su MicroMega, nei piani di Hollande l’operazione dovrebbe essere
finanziata da un significativo aumento della pressione fiscale. Che non
dovrebbe gravare sui soliti noti, come da noi, bensì sui ricchi, le
banche e le grandi imprese. Mediante l’introduzione di una aliquota al
45% per i redditi superiori ai 150mila euro, definiti dal premier “la
nuova aristocrazia”. Con l’aumento del 15% dell’imposizione sugli utili
delle banche. Con la riarticolazione e l’aumento dell’imposizione
fiscale sulle società (oggi mediamente tassate al 33%) secondo tre fasce
dimensionali. Con l’abolizione della defiscalizzazione delle ore di
straordinario decisa da Sarkozy per aggirare la legge sulle 35 ore, di
cui Hollande è un convinto sostenitore. Con l’introduzione di una tassa
sulle transazioni finanziarie, peraltro già proposta senza successo
anche da Sarkozy, e di una legge contro i paradisi fiscali esteri.
Il programma prevede inoltre
un piano straordinario per il lavoro basato su incentivi pubblici per
l’assunzione di giovani con contratto a tempo indeterminato e
l’interruzione del blocco del turnover nella pubblica amministrazione
(che prevede un ingresso ogni due dipendenti in uscita) che consentirà
nuove assunzioni nella pubblica istruzione, nella polizia e nella
giustizia.
Anche sul piano dei diritti civili le posizioni di Hollande sono un
esempio per la sinistra italiana eternamente indecisa a tutto: “Proporrò
che ogni persona maggiorenne in fase avanzata o terminale di una
malattia incurabile che provochi una sofferenza fisica o psicologica
insopportabile e che non possa essere calmata, possa domandare, in
condizioni precise e ristrette, di beneficiare di un’assistenza medica
per terminare la sua vita con dignità”.
Insomma, in un paese normale si possono annunciare tranquillamente
misure del genere e poi vincere le elezioni. Senza assistere a un
cataclisma politico e mediatico, con imprenditori che annunciano
solennemente di voler lasciare il paese (salvo poi restare con la
promessa di nuovi privilegi), politici ed editorialisti che paventano
l’avvento del comunismo, ed esponenti del clero che lanciano anatemi e
maledizioni un giorno sì e l’altro pure. Semplicemente, è il
centrosinistra. Che assume responsabilità di governo subito dopo una
amministrazione di centrodestra, che magari vincerà invece la prossima
tornata elettorale.
Ma è sul piano europeo che le elezioni francesi potrebbero avere
conseguenze che ci riguardano più da vicino. Il leader socialista ha
promesso l’immediata rinegoziazione del Fiscal Compact, che prevede il
pareggio di bilancio come “regola aurea” della politica fiscale degli
stati dell’Unione Europea e vieta al rapporto deficit/Pil di superare lo
0,5 per cento (pena una multa pari allo 0,1 per cento del Pil). Per
inciso, il Fiscal Compact implica anche l’obbligo di ridurre di un
ventesimo all’anno la parte di debito pubblico che supera il 60 per
cento del Pil. Una condanna all’austerità permanente per un paese come
l’Italia che registra un debito pubblico pari a circa il 120 per cento.
Secondo Hollande l’attuale versione del patto è troppo sbilanciata a
favore del rigore e rischia di creare una recessione generalizzata per
l’Europa.
Qui il confronto con la sinistra italiana è deprimente, se
consideriamo che il Pd è stato capace di votare, compatto e senza alcuna
consapevolezza, la riforma Berlusconi sull’introduzione del pareggio di
bilancio in Costituzione, che avrà gravi effetti recessivi e regressivi
peggiorando ulteriormente e inutilmente la qualità della vita dei più
deboli.
Il programma di Hollande contempla inoltre la creazione degli
eurobond, ossia titoli di stato unici europei, che consentirebbero di
finanziare le misure di crescita e aiutare la periferia d’Europa. Su
questi ultimi esiste invero una mozione parlamentare del Pd – la
cosiddetta “Mozione Europa”, adottata a larga maggioranza da Camera e
Senato nel gennaio scorso – che impegna il governo ad accompagnare il
Fiscal Compact con iniziative specifiche di politica economica, come
appunto gli eurobond.
È chiaro che la fattibilità e l’efficacia di tali misure sono tutte
da valutare. Ma il segnale politico che viene dalla Francia è già molto
forte. Sul piano europeo, la linea di Hollande costituisce una speranza
per diversi motivi. 1) Contrasta il ruolo egemone che la Germania ha
svolto in questi ultimi anni anche grazie alla presenza, al governo dei
due suoi più importanti vicini, di nani politici come Berlusconi e
Sarkozy. Da oggi per Merkel dovrebbe essere più difficile perseguire la
linea mercantilista che ha orientato la politica economica tedesca dalla
fine degli anni novanta. 2) Pone uno freno alle politiche di austerità
ottuse e autolesioniste che tanto hanno aggravato la crisi europea fino a
oggi. 3) Offre una sponda all’azione di Mario Draghi che, alla guida
della Banca Centrale Europea, ha mostrato una maggiore flessibilità
nell’interpretazione delle cause della crisi e una certa disponibilità a
rompere gli schemi del “rigore senza se e senza ma”, al punto di
attuare cauti interventi di sostegno dei debiti sovrani periferici. 4)
Dà una strigliata agli economisti che predicano autisticamente il rigore
(tagli alla spesa, privatizzazioni massicce, smantellamento del
welfare) come soluzione ideale di tutti i mali delle società
occidentali, nella convinzione che basterà poi l’azione del mercato per
garantire il massimo benessere possibile.
Sarebbe fondamentale, per l’Europa e soprattutto per l’Italia, che la
Francia trovasse una sponda nella sinistra nostrana, in particolare nel
Pd. Che però sembra impegnato in ben altri affari, dalla difesa del
finanziamento pubblico ai partiti, alle strategie per evitare le
primarie e alla ricerca di alleanze sempre più improbabili con frammenti
di quella stessa destra che ci ha portato al disastro economico e
sociale di questi giorni.
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