Avviso. Dovreste sentire in giro di un posto vacante da consigliere
comunale, o responsabile di biblioteca pubblica, o dirigente scolastico
di qualche sperduto istituto della provincia, fate un fischio.
Avvertite Mario Monti, che da qualche mese si offre
indomito per ogni incarico o mansione, da presidente della Repubblica in
giù, passando per presidente del Senato e presidente del Consiglio se
le cose dovessero mettersi, invece che male, malissimo. Sui grandi
giornali che ne hanno sostenuto l’azione dipingendolo come salvatore
della patria, ora fingono di non conoscerlo: prima
Mario Monti campeggiava nei titoli a nove colonne, e ora bisogna
cercarlo nelle brevi di cronaca, accanto al gattino recuperato dai
pompieri e alla mostra canina.
Questo mesto tramonto – non solo di Mario Monti, ma anche di tutti gli innamorati del suo loden
– getta una luce inquietante sulla parola “tecnico”, che per oltre un
anno ha tenuto banco nell’immaginario politico nazionale. Ora che avremo
(forse) un nuovo premier, (forse) un nuovo governo e (forse) uno
stretto sentierino da percorrere verso il nebuloso futuro, una cosa è
certa: l’esperienza dello squadrone tecnico che ha guidato il paese finisce tra gli sberleffi e le risate in sottofondo come nelle peggiori sit-com.
Abbiamo la più grave crisi diplomatica
degli ultimi anni (quella con l’India). Abbiamo prescrizioni più
facili per certi reati di concussione. E soprattutto abbiamo la peggior
riforma del lavoro dai tempi di Ramsete II, perché la riforma Fornero ha
avuto per i lavoratori precari italiani più o meno le stesse
conseguenze del vaiolo sugli aztechi: una strage. Con il suo aplomb da
madamina sabauda, il ditino alzato e l’aria da docente spazientita, la
signora – al netto delle lacrime – concionava di flessibilità buona e flessibilità cattiva.
Promise a tutti che modificare l’articolo 18 avrebbe reso più facili le
assunzioni, e invece – all’apparir del vero – sono aumentati
licenziamenti e contenziosi, e la disoccupazione ha raggiunto punte
record.
Solo il cinque per cento dei precari è stato
“stabilizzato”. Per il 27 per cento di loro, invece, si è aperta una
botola sotto i piedi e sono spariti a ingrossare le statistiche della disoccupazione.
Un altro 22 per cento è passato a un contratto con meno tutele, cioè
stavano immersi nel guano fino al mento e la riforma Fornero ha fatto
l’onda. “È una scommessa, non so se funzionerà”, ha detto madama Fornero
della sua riforma. Era il 25 gennaio, e già si sapeva che la scommessa
era persa di brutto. Ora sottolinea con foga che la sua riforma era fatta per la crescita, non per la crisi.
Che è un po’ come presentarsi in bikini al Polo Nord e dire: “ma io mi
ero vestito per i Caraibi, mica per ’sto freddo!”. Per tacere della
maestosa figuraccia sul numero degli esodati, degli sconclusionati attacchi a chi forniva cifre vere, trattato come sabotatore della patria e nemico della ripresa.
Bene.
Anzi male. Comunque vada, l’allegra pattuglia dei “tecnici” ci lascia e
non si trova nessuno – nemmeno gli entusiasti sponsor della prima ora –
che ne sentirà la mancanza. Ora puliscono le scrivanie e tornano alle
loro occupazioni. Ci lasciano un disastro considerevole e si portano via
quell’aura di superiorità “tecnica” che li ha avvolti e protetti. La
speranza è che si portino a casa anche tutte quelle chiacchiere su
merito, competenza, capacità, preparazione e altre eleganti
suppellettili da scrivania – compresa l’agenda Monti – da inscatolare in
queste ore.
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