Il confronto in diretta streaming tra Bersani e i capigruppo M5S di Camera e Senato è stato un piccolo, tragico, esempio di questa nuova “politica reality”
Non deve stupire che all’incontro in streaming tra Pd e M5S abbia partecipato Rocco Casalino, uno dei protagonisti della prima edizione del Grande Fratello, a simboleggiare, anche plasticamente, la vittoria di quel modello culturale che ha pervaso prima la società ed infine le istituzioni. Dal “teatrino della politica”, abusata espressione di Berlusconi che però coglieva l’inadeguatezza di una parte cospicua della classe dirigente (lui compreso), siamo passati alla “politica reality”, dove si finge di interpretare la vita reale, ma in realtà si è attori più o meno consapevoli di una grande commedia (o peggio ancora di una grande farsa).
Questo modello, del resto, ha vinto prima nella società. L’Italia infatti è stato in questi anni il Paese dove si poteva votare per il Grande Fratello ma non per il contratto nazionale dei metalmeccanici o qualunque altra categoria. E qualsiasi battaglia che cercasse di invertire questa tendenza è rimasta afona, purtroppo anche dentro le stesse organizzazioni sindacali. In compenso però, ogni settimana, potevi decidere tu – o per lo meno così ti sembrava – chi dovesse rimanere nella “casa più famosa d’Italia”.
Il confronto in diretta streaming tra Bersani e i capigruppo M5S di Camera e Senato è stato un piccolo, tragico, esempio di questa nuova “politica reality”. Basta osservare come si è mosso Bersani: neanche si è sforzato di esporre un piano compiuto per il Paese e parlare ai Cinque Stelle che aveva di fronte. In questo nuovo “format” i suoi veri interlocutori erano diventati gli ascoltatori della diretta video. «Solo un insano di mente – ha detto con quell’immancabile piglio da comunicatore nazionalpopolare in salsa emiliana - potrebbe avere la fregola di mettersi a governare in questo momento qua». Non proprio, ci sia permesso rilevare, una espressione da statista o da chi attende un mandato dalla più alta carica dello Stato. Nella “politica reality”, è questa la prima amara – anche se sommaria – considerazione, non c’è spazio per la ragion di Stato.
Nello stesso giorno, il Presidente della Sicilia ha tolto le deleghe a Battiato a Zichichi, che pure aveva così fortemente voluto solo pochi mesi prima, perché funzionali ad una operazione di make up politico, ritenuto necessario vista l’avanzata del M5S nella regione. E poiché nel sentire comune montava una pressante campagna di rinnovamento (alla Grillo style: “siete tutti morti”, “arrendetevi”, “vaff..”) ed imperava il vento del “nuovismo”, Crocetta ha preferito le “facce nuove” alla competenza, con il risultato che si dipana impietoso sotto in nostri occhi in queste ore. Si scopre così, al di là dell’increscioso incidente dell’artista catanese, che non basta essere un bravo e poliedrico artista o un affermato scienziato, per essere anche un assessore competente e capace di far funzionare la macchina burocratica e le amministrazioni in una terra tanto ricca quanto difficile. Ed allora, forse, piegare la politica per renderla affine a questo nuovo “format” della ditta Grillo-Casaleggio, paga elettoralmente nell’immediato e stuzzica il basso ventre dell’involuzione culturale del nostro Paese, ma impedisce di progettare il futuro e costruire una adeguata classe dirigente.
Ma se c’è una cosa che di sicuro non è passata inosservata nel corso della giornata: è stata la protervia, la spocchia e l’arroganza della capo gruppo M5S alla Camera. «Noi non incontriamo quelle parti sociali, perché noi siamo quelle parti sociali», ha scandito forte manco fosse Napoleone, la neodeputata di un paese in ginocchio. Non conosco l’onorevole Lombardi e non ho nessun pregiudizio nei suoi confronti. La spocchia di cui si è fatta portavoce, infatti, non credo sia il frutto di un pessimo carattere, quanto di una inadeguatezza a coprire un ruolo, la cui pregnanza sembra sfuggirle.
Se la gran parte dei politici dell’ultimo ventennio erano abili protagonisti del “teatrino della politica”, capaci di far funzionare – non sempre purtroppo – la macchina burocratica dello Stato, ma totalmente privi di una Weltanschauung, di una visione generale del mondo, come invece avevano i padri della nostra Repubblica, i neodeputati della “politica reality”, ne ignorano proprio l’esistenza.
È in questo scarto che si racchiude la cifra di una involuzione culturale che, condannando la Politica (volutamente con la maiuscola), mina le basi della stessa democrazia e prepara il Paese ad accogliere con giubilo e plebiscitaria approvazione il restringimento degli spazi di agibilità democratica, della rappresentanza e dei diritti. Col paradosso che, quel che non è riuscito a Berlusconi (presidenzialismo, leggi elettorali alla francese, cancellazione dei diritti nei luoghi di lavoro, …) riesca ai “cittadini” a Cinque Stelle, di fronte allo sguardo impotente del Pd in preda –questo è il rischio- ad una nuova, ennesima, mutazione genetica (do you know Renzi?).
«Quante troie in parlamento», «padri che chiagnono e fottono», «figlio di vecchi puttanieri»: il linguaggio da bar è entrato in parlamento e negli assessorati regionali. Ancora una volta la società anticipa le istituzioni ma, se queste ultime non si riappropriano di una funzione sovra ordinatrice della res publica, rinnegano la loro funzione principale e, come tale, pongono le basi per una loro soppressione.
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