Uno vale uno, ma uno non vale l’altro. Messo di fronte alla scelta,
onestamente non così difficile, fra Piero Grasso e Renato Schifani,
l’apriscatole di Grillo si è un po’ inceppato. Intendiamoci. Sempre
meglio dell’encefalogramma piatto dei montiani. Le urla che uscivano
dalla sala in cui i senatori Cinquestelle stavano discutendo il loro
voto sono la musica della democrazia. Ma al momento della sintesi mi
sarei aspettato che il buonsenso prevalesse sul pregiudizio, il
pragmatismo sull’ideologia. Invece la maggioranza del gruppo che vuole
aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno è rimasta fedele al
suo Nostromo. Perché un vero rivoluzionario non scende a patti con il
Sistema, meno che mai quando il Sistema, per blandirlo, gli mostra il
proprio volto migliore: un procuratore Antimafia, una portavoce
dell’Onu.
Il punto è proprio questo: l’elettore di Grillo ha votato
Cinquestelle per distruggere il Sistema oppure per rinnovare il cast
degli interpreti? Se fosse vera la seconda ipotesi, quella di ieri
sarebbe stata la sua vittoria, dato che senza il cambio di clima imposto
dal trionfo del movimento, oggi ai vertici dello Stato non siederebbero
Grasso e Boldrini, e invece dell’effetto Francesco sul conclave della
Repubblica si sarebbe abbattuto l’effetto Franceschini. Immagino che
quell’elettore sarà rimasto perplesso nel vedere un leader che grida ai
politici «Arrendetevi» imporre ai suoi parlamentari la scheda bianca: il
colore della resa. La democrazia è scelta, anche del meno peggio. E’
contaminazione. Diceva don Milani: a che serve avere le mani pulite, se
poi si tengono in tasca?
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