lunedì 26 ottobre 2015

Blair, il mentitore seriale, "si scusa" per l'Iraq

Blair, il mentitore seriale, "si scusa" per l'Iraq
Non c'è limite alla delinquenza politica. E Tony Blair è un campione del genere. La lista delle sue “imprese” è lunghissima – dalla trasformazione del Labour in un partito di destra (come piaceva tanto a Uòlter Veltroni) fino alle guerre volute dagli Stati Uniti – ma viene per tutti il momento del bilancio.
Se però prova a farlo in prima persona il rischio di cadere nel ridicolo è immediato. È accaduto ieri, quando ha “chiesto scusa” per la guerra in Iraq. Non potendo darsi dell'imbecille da solo, ha continuato a mentire come faceva abitualmente da Downing Street (il mestiere di spin doctor è diventato centrale per qualsiasi regime politico proprio a partire da quegli anni).
Per esempio: «Posso dire che mi scuso per il fatto che l’intelligence che abbiamo ricevuto era sbagliata, perché nonostante Saddam avesse usato le armi chimiche in maniera estensiva contro la sua stessa popolazione, il programma di riarmo non esisteva nella forma che noi avevamo pensato». Come sottolineano tutti i commentatori che non hanno perso l'uso del cervello, quel programma era stato già dichiarato inesistente dai commissari dell'Onu – guidati da Hans Blix – che per mesi avevano cercato traccia delle “armi di distruzione di massa” di cui avrebbe dovuto disporre Saddam. E ciò nonostante lui e Bush mandarono l'ex generale Powell a recitare una penosa scena (una boccetta con polvere bianca) che doveva costituire “la prova” sufficiente a scatenare la guerra.
Quindi Blair mentiva allora e continua a farlo oggi, scaricando sull'intelligence una responsabilità totalmente sua e di Bush (più dell'amerikano, è ovvio).
Ma non c'è limite, dicevamo. «Mi scuso per gli errori commessi nella pianificazione, e certamente per il nostro errore nel capire cosa sarebbe accaduto una volta che avessimo rimosso il regime». Un'ammissione del genere, se fosse sincera, equivale dichiararsi un incompetente totale nella materia che pretende di padroneggiare: la politica. Qualsiasi studente di scienze politiche, di qualsiasi facoltà in giro per il mondo, sa benissimo che in paesi “disegnati sulla carta” (Sykes-Picot, 1915), caratterizzati da una struttura sociale tribale, con forti divisioni religiose e nazionali (sciiti, sunniti, curdi, ecc), la caduta di un regime dittatoriale o avviene per processi interni (in cui si seleziona anche il ricambio politico) oppure, se imposta dall'esterno, si traduce in una “semplice” distruzione dello Stato. Ovvero apre il portone a una guerra civile permanente, di tutti contro tutti. In cui emergeranno tutte le possibili figure, tranne che quella della “democrazia occidentale”.
E infatti le “scuse” di Blair non toccano il cuore della questione: «Trovo difficile scusarmi per aver rimosso Saddam. Io penso, anche oggi nel 2015, che sia meglio che lui non sia più là». Non ci sarebbe stato comunque, probabilmente, per questioni di età o di manovre di palazzo. Il problema non è infatti il singolo, ma la struttura di un potere: che non aveva nulla in comune con i regimi delle nostre latitudini, ma era almeno laico e “tollerante” in materia di religione (Tareq Aziz, vicepresidente e ministro degli esteri, era un cristiano).
Peggio ancora per quanto riguarda la responsabilità di avere almeno indirettamente favorito la nascita e la diffusione dell'Isis. «Ovviamente non posso dire che noi che rimuovemmo Saddam nel 2003 non abbiamo responsabilità per la situazione nel 2015». Quindi «ci sono elementi di verità» nel sostenere che l’invasione dell’Iraq è stata la causa principale della nascita dell’Isis. Ma il tentativo di cambiare le carte in tavola è più forte di lui. E quindi si suicida sul piano della logica: «l’Isis è emerso dalla sua base in Siria».
Ovvero nell'ambito delle milizie armate e finanziate da Usa, Gran Bretagna, Arabia Saudita e emirati del Golfo per rovesciare il regime di Assad senza impegnarsi direttamente in un'altra guerra. Un puzzle ormai definitivamente sfuggito dalle mani degli apprendisti stregoni che l'avevano assemblato.
Un delinquente abituale, reo confesso ma che pretende di occupare ancora un ruolo (ottimamente retribuito, ci mancherebbe). Un essere così spregevole che nessuno, stavolta, azzarda una sua pur minima difesa. Anzi.
Il commento dedicatogli da Alberto Negri, su IlSole24Ore, dà probabilmente la misura del disprezzo che attualmente circonda l'ex “mister Terza via”-

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La pistola fumante
Fino al 27 maggio 2015 Tony Blair ha ricoperto l'incarico di inviato per la pace nel Medio Oriente del Quartetto per il Medio Oriente, su mandato di Onu, Unione europea, Usa e Russia. Non ha lasciato nulla di notevole se non le note spese. Si fregia ancora della Medaglia d'oro concessa nel 2003, anno della guerra in Iraq, dal Congresso degli Stati Uniti con la seguente motivazione: “L'America ha molti alleati ma come abbiamo visto in questi ultimi mesi, si può contare sulla Gran Bretagna nell'adempimento delle funzioni di un vero amico in tempi difficili. Plaudo la straordinaria alla leadership di Tony Blair e al suo continuo appoggio agli Stati Uniti”.
Tony Blair chiede scusa per la guerra in Iraq, dice che lui e Bush si sono sbagliati: non è vero, hanno contraffatto le prove sulle armi di distruzione di massa e mandato all’Onu il 5 febbraio il segretario di Stato americano Colin Powell agitando la famosa fiala contenente una polvere bianca per convincere l’America e il mondo intero dell’esistenza della cosiddetta “smoking gun”, la pistola fumante, la prova mai provata dell’esistenza dell’antrace e delle micidiali armi batteriologiche nelle mani di Saddam Hussein.
L’ultimo incontro che ebbi con Tarek Aziz, l'ex ministro degli Esteri iracheno e vicepresidente, fu proprio quel giorno di febbraio del 2003. Indossava un impeccabile abito blu e aveva appena ricevuto il leader comunista Armando Cossutta che tentava un'impossibile mediazione. Eravamo a poche settimane dall'attacco americano che avrebbe segnato il destino del regime e quello del Medio Oriente, almeno fino a oggi e chissà per quanti anni ancora.
Tarek Aziz diede un'occhiata distratta al televisore, sintonizzato sulla Cnn dove stava parlando Powell, e continuò a firmare le carte accumulate sulla scrivania. Poi sollevò lo sguardo e disse: “Gli americani ci farebbero la guerra comunque, anche se consegnassimo fino all'ultimo dei nostri fucili”. Fuori noi giornalisti inseguivamo le squadre dell’Onu a caccia delle prove sulle armi di distruzione di massa che non si trovavano mai.
Ora Blair rilascia interviste a destra e manca: è un infingardo che tenta di riciclarsi? L’unica pistola fumante che abbiamo trovato in Iraq sono lui e Bush, semplicemente due imbroglioni che hanno scoperchiato il Vaso di Pandora

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