giovedì 15 ottobre 2015

Il capitale può finalmente brindare di Michele Prospero

Perché le scelte del governo si indirizzano con tanto accanimento contro il residuale ruolo della contrattazione collettiva? Quando viene ventilato il salario minimo per legge è chiaro che il bersaglio è il sindacato. Il modello di relazioni sociali sognato dall’esecutivo prevede retribuzioni in discesa e sindacato in soffitta. Questa opzione nasconde un dominio esplicito, mai così forte, dei poteri economici e una politica succube rispetto ai desideri dei signori del capitale, dei media e della finanza.
Sempre meno contano nei partiti la partecipazione politica, i congressi, le discussioni programmatiche, le idealità. Smarrita la loro anima popolare, i partiti sono semplici sigle per le manovre di ceti politici indipendenti, che vagano senza un consenso strutturato (militanza, organizzazioni collaterali, associazioni) e all’organica dipendenza rispetto ai garanti degli appoggi di media e denaro. Per decifrare i movimenti che, da dietro le quinte, determinano le carriere e indirizzano le scelte di classe dei governi occorre puntare i riflettori sul connubio tra ceto politico e mondo della finanza e dell’impresa, che prende il posto dei partiti ormai defunti.
Nell’ormai celebre matrimonio di Marco Carrai, socio in affari di Franco Bernabè, dipinto dalla stampa come tessitore di rapporti di influenza pervasivi che vanno dalla Compagnia delle opere alle banche, alla finanza americana, insieme a un drappello di politici al governo era convenuta la rete dei poteri visibili e invisibili che davvero contano: da Paolo Fresco (ex amministratore Fiat) al finanziere Davide Serra, a Paolo Mieli, per finire al vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona, oggi caduto nelle maglie di un’inchiesta su affari e poteri mafiosi.
Torino, Roma e Firenze sono i luoghi simbolici dell’intreccio egemonico tra politica debole e poteri economici forti. A Torino, a dirigere le danze, si trova un ceto politico che passa con estrema tranquillità dalle cariche amministrative alle fondazioni bancarie, per poi recuperare le funzioni amministrative. Nella coalizione dominante torinese conta la regia di Sergio Marchionne, l’Intesa San Paolo (che inviò Elsa Fornero come ministro nel governo tecnico). Senza contare la figura di Guido Ghisolfi, alla testa di un’impresa che fattura 3 miliardi di dollari, assiduo della Leopolda, di cui è il secondo finanziatore dopo Serra. I politici locali sono i garanti sotto la Mole di una piena funzionalità tra amministrazioni e finanza.
I propri referenti politici nazionali, questa coalizione di potenze economiche e mediatiche li ha però scovati a Firenze. In riva all’Arno, l’alta finanza, le banche, l’Ente cassa di Firenze, il Corriere Fiorentino, Lorenzo Bini Smaghi, hanno edificato un solido blocco di potere. La fondazione Open (Lotti, Bianchi, Boschi) è la coperta che protegge un granitico intreccio di media, finanza, impresa che si è mostrato in grado di orchestrare le scalate ai partiti con il bagno di folla dei gazebo. Mentre a Roma questa coalizione, cui si aggiunge il supporto di Caltagirone (costruzioni, stampa, Acea), penetra nei gangli del potere con le nomine nei consigli di amministrazione, nei vertici delle banche, della Rai. La politica capitolina è un misto tra piccole ambizioni di famiglie locali (che cumulano cariche elettive e le trasmettono a figli e a consorti), e grandi appetiti dei costruttori, che hanno ottenuto miniere d’oro con revisioni dei piani regolatori, con un mitico miracolo del “modello Roma” all’insegna di un cemento infinito.
Luca Odevaine, ripreso dalle telecamere mentre contava pacchetti di banconote, è il simbolo di una carriera inarrestabile all’ombra di una rete politica e amicale che da vent’anni controlla Roma e la politica nazionale. Il connubio tra politica e affari è ormai totale. Gli scontrini di Marino sono solo un’inezia rispetto alle gigantesche contiguità tra economia e governi. Anzi, gli scontrini delle cenette indigeste forniscono un’occasione ghiotta alle grandi potenze oggi dominanti per eliminare unoutsider rivelatosi poco scaltro nei segreti dell’amministrazione ed estendere e perfezionare ancora di più il loro controllo. Dopo le concessioni, le privatizzazioni, la Tasi, le decontribuzioni, la decapitazione dell’Ires, il capitale può finalmente brindare: il governo è tornato a essere un comitato d’affari della borghesia.

Fonte: Rassegna sindacale

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