La proposta di legge costituzionale che il senato voterà
oggi dissolve l’identità della Repubblica nata dalla
Resistenza. È inaccettabile per il metodo e i contenuti; lo
è ancor di più in rapporto alla legge elettorale già approvata.
Nel metodo: è costruita per la sopravvivenza di un governo e di una
maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale dopo
la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità del «Porcellum». Molteplici forzature di prassi
e regolamenti hanno determinato in parlamento spaccature
insanabili tra le forze politiche, giungendo ora al voto finale con
una maggioranza raccogliticcia e occasionale, che nemmeno
esisterebbe senza il premio di maggioranza dichiarato illegittimo.
Nei contenuti: la cancellazione della elezione diretta dei
senatori, la drastica riduzione dei componenti — lasciando
immutato il numero dei deputati — la composizione fondata su
persone selezionate per la titolarità di un diverso mandato (e
tratta da un ceto politico di cui l’esperienza dimostra la
prevalente bassa qualità) colpiscono irrimediabilmente il
principio della rappresentanza politica e gli equilibri del
sistema istituzionale. Non basta l’argomento del taglio dei costi,
che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta
l’intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle
autonomie, smentito dal complesso e farraginoso procedimento
legislativo, e da un rapporto stato-Regioni che solo in piccola
parte realizza obiettivi di razionalizzazione
e semplificazione, determinando per contro rischi di
neo-centralismo.
Il vero obiettivo della riforma è lo spostamento dell’asse
istituzionale a favore dell’esecutivo. Una prova si trae dalla
introduzione in Costituzione di un governo dominus dell’agenda dei
lavori parlamentari. Ma ne è soprattutto prova la sinergia con la
legge elettorale «Italicum», che aggiunge all’azzeramento della
rappresentatività del senato l’indebolimento radicale della
rappresentatività della camera dei deputati. Ballottaggio,
premio di maggioranza alla singola lista, soglie di accesso, voto
bloccato sui capilista consegnano la camera nelle mani del leader
del partito vincente — anche con pochi voti — nella competizione
elettorale, secondo il modello dell’uomo solo al comando. Ne vengono
effetti collaterali negativi anche per il sistema di checks and
balances. Ne risente infatti l’elezione del Capo dello Stato, dei
componenti della Corte costituzionale, del Csm. E ne esce
indebolita la stessa rigidità della Costituzione. La funzione di
revisione rimane bicamerale, ma i numeri necessari sono alla Camera
artificialmente garantiti alla maggioranza di governo, mentre in
senato troviamo membri privi di qualsiasi legittimazione
sostanziale a partecipare alla delicatissima funzione di
modificare la Carta fondamentale.
L’incontro delle forze politiche antifasciste in Assemblea
costituente trovò fondamento nella condivisione di essenziali
obiettivi di eguaglianza e giustizia sociale, di tutela di libertà
e diritti. Sul progetto politico fu costruita un’architettura
istituzionale fondata sulla partecipazione democratica, sulla
rappresentanza politica, sull’equilibrio tra i poteri.
Il disegno di legge Renzi-Boschi stravolge radicalmente
l’impianto della Costituzione del 1948, ed è volto ad affrontare un
momento storico difficile e una pesante crisi economica
concentrando il potere sull’esecutivo, riducendo la
partecipazione democratica, mettendo il bavaglio al dissenso.
Non basta certo in senso contrario l’argomento che la proposta
riguarda solo i profili organizzativi. L’impatto sulla sovranità
popolare, sulla rappresentanza, sulla partecipazione
democratica, sul diritto di voto è indiscutibile. Più in generale,
l’assetto istituzionale è decisivo per l’attuazione dei diritti
e delle libertà di cui alla prima parte, come è stato reso evidente
dalla sciagurata riforma dell’articolo 81 della Costituzione.
Bisogna dunque battersi contro questa modifica della
Costituzione. Facendo mancare il voto favorevole della
maggioranza assoluta dei componenti in seconda deliberazione.
E poi con una battaglia referendaria come quella che fece cadere
nel 2006, con il voto del popolo italiano, la riforma — parimenti
stravolgente — approvata dal centrodestra.
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