Sabato sera, da Fabio Fazio, un attore intelligente e
sincero – Pierfrancesco Favino – si è posto, e rivolto a tutti quelli
“al di qua del tavolo, noi che siamo guardati”, la semplice domanda: “che cosa io ho venduto di me, per arrivare dove sono?”.
È la domanda che si fa, a scopo professionale, prima di affrontare
l'interpretazione di un personaggio molto lontano da lui – un politico
corrotto, in questo caso – per trovare in se stesso la misura necessaria
a calarsi in quei panni.
È una domanda che è inutile rivolgere ai giornalisti italiani, specie
quelli dei grandi media e dai grandi stipendi (Gramellini, in tv, era
non per caso imbarazzatissimo), anche se le risposte sarebbero
certamente rivelatrici. Ben più di un'inchiesta che peraltro non fanno.
Scusate il lungo giro di parole, ma leggendo l'editoriale di Franco Venturini, sul Corriere della sera di oggi, quella domanda ci è riesplosa nella testa. Titolo promettente (Noi e la paura di una guerra mondiale), incipit farsesco, che
rende pressoché inutile la lettura del lungo e incompleto elenco dei
“pezzettini” di guerra che vanno componendosi in un mosaico complesso,
articolato, a molte facce:
“La formula di papa Francesco sulla Terza guerra mondiale 'a pezzettini' si dimostra ogni giorno più tragicamente esatta.
L'ultimo pugno sullo stomaco ci viene da Ankara, in Turchia, con la strage di giovani che manifestavano per la pace. Molti di loro avevano l'età dei nostri figli.
Ma serve davvero a qualcosa domandarsi chi abbia indottrinato e armato chi ha causato la strage? I siriani che hanno interesse a destabilizzare la Turchia, gli iraniani per lo stesso motivo, la frazione più dura dei curdi in lotta con quella più moderata, gli agenti di Erdogan, che spera di strappare la maggioranza assoluta alle elezioni del primo novembre?”
Il mestiere del giornalista è –
sarebbe, sul piano deontologico – cercare le risposte alle domande che
la cronaca pone. Tra le “cinque w” (what, where, when, who, why)
che campeggiano nella testa di ogni anche modesto cronista il “chi” è
indissolubilmente connesso al “perché”. Di qualsiasi cosa accada, sapere
chi ha fatto quella cosa restringe immediatamente la lista dei possibili perché, escludendo altri possibili protagonisti e altre possibili ragioni. Sapere chi è insomma il primo passo per individuare le responsabilità e decidere cosa fare.
E invece Venturini ci invita a
lasciare perdere, sarebbe dunque inutile saper chi ha deciso di far
esplodere due bombe in un corteo pacifista, indetto dai sindacati e dai
partiti di sinistra, compreso l'Hdp, il partito curdo che Erdogan accusa
d'essere solo la faccia politica del Pkk.
La stessa frettolosa lista di
possibili responsabili è un insulto all'intelligenza dei lettori. In
testa “i siriani”, presumibilmente quelli di Assad, che pure sembrano
avere più problemi che forza (l'intervento russo può aiutarli a stare in
piedi, non certo ad allargare il conflitto a paesi vicini). A seguire
gli iraniani, forse solo per arricchire il numero delle ipotesi.
Un'infamia – punto e basta – la trovata di nominare i curdi combattenti
per contrapporli a quelli manifestanti. Restavano solo i colpevoli
individuati da tutto il popolo turco e curdo che oggi sta affollando le
strade del paese al grido di “Erdogan ladro e assassino”. Non poteva non
citarli, ma li ha messi per ultimi. Quasi solo per dovere di cronaca...
E dire che anche Franco Venturini è un cittadino italiano informato, anziano abbastanza da aver visto in azione la strategia della tensione, e addirittura una strage del tutto simile a quella di ieri ad Ankara: piazza della Loggia, a Brescia. Dovrebbe altrettanto conoscere, come lettore degli anni '70, i manuali di counterinsurgency
della Cia, con tanto di illustrazioni su come piazzare bombe nelle
manifestazioni dell'opposizione democratica. Allora non c'erano i
kamikaze, è vero, ma oggi abbondano nelle file dell'Isis, che Erdogan
arma e finanzia – arrestando i giornalisti che pubblicano servizi
documentati sulle forniture. Evoluzione nella continuità...
Insomma. Anche Venturini e tutto il Corsera
possiedono informazioni ed esperienza sufficienti a individuare in
Erdogan il mandante della strage (peraltro non la prima). E soprattutto
hanno – dovrebbero avere – le competenze e l'orgoglio professionale per
non scrivere mai, nemmeno sotto arresto o tortura, che non ha senso chiedersi chi è stato.
A meno che la risposta alla domanda posta da Favino non sia: tutto.
Il che, davanti a una terza guerra mondiale che va assommando pezzi
fino a sfiorare la massa critica oltre cui non si torna indietri,
equivale da dire ai propri lettori "c'è solo da obbedire a chi ci
comanda, non chiedetevi il perché". Un classico, insomma, del
giornalismo italico.
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