sabato 24 ottobre 2015

Per essere Sinistra, caro Vendola, ci vuole coraggio

di Andrea Colli 
“Civati dice: senza Pisapia, a Milano nessuna coalizione con il Pd. Troverete una quadra?”
E’ una delle domande che il Manifesto fa a Nichi Vendola in un’intervista: “Con Civati la vedo difficile. Si comporta come un elefante in cristalleria. In ogni città in cui passa lascia una scia di polemiche e divisioni. Siamo tutti impegnati in una sfida gigantesca che non si può affrontare con le battute. Su una cosa invece Civati ha ragione: sul profilo di autonomia politico-culturale che deve avere la nuova sinistra. Ma l’autonomia non può essere interpretata come la propone l’ultimo che è uscito dal Pd e cioè una rottura generalizzata con il Pd senza guardare in faccia le situazioni specifiche. La posta in gioco è alta, è il destino di comunità importanti. Chi parla di condivisione dal basso non può considerare i territori come terminali muti di una politica fatta dai palazzi romani.
Tradotto dal politichese narrativo significa che Civati ha ragione sul fatto di prendere le distanze (autonomia) dal Pd a tutte le latitudini, ma “noi lo facciamo a Roma ma non nei territori” dove (Sel) abbiamo radicato un rapporto col Pd duraturo nel tempo e che ha costruito col Pd importanti comunità. Siccome Possibile è nata dal basso non può considerare i territori come un’istanza a sè che non dice nulla su quello che il Pd fa con le sue orribili riforme. Io personalmente penso che i territori di cui parla Vendola siano proprio “muti” rispetto a quello che succede nei palazzi romani del potere e questo per due ragioni: la prima perché Sel nei territori è sempre minoritaria rispetto al Pd e non può alzare la voce e permettersi di rompere le coalizioni. E secondo, una difficile sopravvivenza di Sel fuori dal Pd anche nei territori. Ma allora perché, caro Vendola, non cogli la palla al balzo e continui una buona volta sulla strada dell’autonomia dal Pd cogliendo le occasioni che ti si presentano?
Per essere Sinistra, ci vuole coraggio altrimenti si rischia una perenne sudditanza. A meno che non si sia d’accordo con quello che il Pd fa nei palazzi e allora, è un altro discorso.
Fonte: nuovatlantide.org
 

Il futuro della sinistra non è il trapassato dell’Ulivo

di Bia Sarasini
Allora, era qui che dove­vamo arri­vare, il futuro della sini­stra è il ritorno al pas­sato dell’Ulivo di Prodi? Mesi e mesi di tavoli, incon­tri, riu­nioni, e annessi rin­vii che spez­zano il cuore e i pro­getti in vista del magic moment, sem­pre alla ricerca della mai rag­giunta con­giun­tura per­fetta, era per ritro­vare l’antico cen­tro­si­ni­stra? Quello bello, di un tempo, quando non c’era la crisi all’orizzonte, il wel­fare era soste­ni­bile e l’Europa era ancora un bel sogno in cui cre­dere, men­tre nes­suno imma­gi­nava l’apparire del par­tito della nazione?
Non che ci sia da stu­pirsi. La fram­men­ta­zione dello spa­zio poli­tico a sini­stra è sem­pre rima­sta tale, nono­stante l’impegno gene­roso di tante e tanti, nono­stante lo sforzo di tenere un filo che leghi le mille espe­rienze tra sociale senza rap­pre­sen­tanza e poli­tico che non trova una forma. Nono­stante il suc­cesso — mode­sto ma unico — dell’ultimo pro­getto uni­ta­rio della sini­stra, il risul­tato della lista l’Altra Europa con Tsi­pras alle Euro­pee del 2014, senza igno­rare la delu­sione e gli abban­doni che ne sono seguiti. Non c’è da mera­vi­gliarsi che le ine­vi­ta­bili e fin troppo con­te­nute rot­ture — vista la rotta impressa dal segre­ta­rio Mat­teo Renzi — che sono in corso nel Pd, fac­ciano fatica a orien­tarsi nel campo nuovo in cui ven­gono tro­varsi, quello che il gergo media­tico con­ti­nua a chia­mare sini­stra radi­cale, e che più volen­tieri fac­ciano rife­ri­mento ai momenti migliori del pas­sato recente. E a parte la mera­vi­glia che sicu­ra­mente avrà colto l’eccellente Pro­fes­sore nel vedersi con­si­de­rare il rife­ri­mento di un pro­getto di sini­stra, addi­rit­tura di una “cosa rossa”, il fatto sor­pren­dente è che in que­sto qua­dro vien can­cel­lata la crisi eco­no­mica che ha scon­volto la scena mon­diale. Come sem­bra spa­rita la crisi del wel­fare e della buona vec­chia social­de­mo­cra­zia, che dallo tsu­nami della crisi è stata spaz­zata via.
E lo dico senza dimen­ti­care, anzi, le mie sim­pa­tie uli­vi­ste del pas­sato. Pro­prio per­ché ne ho seguito passo passo l’intera evo­lu­zione, l’evocazione attuale mi sem­bra assurda. La muta­zione del Pd impressa da Renzi è l’ostacolo più evi­dente. Una muta­zione che si sta com­ple­tando sotto nostri occhi, con l’espulsione dal pro­prio pro­filo non tanto delle radici sto­ri­che che nella comu­ni­ca­zione di pro­pa­ganda ven­gono — con misura — col­ti­vate, quanto del radi­ca­mento sociale.
È così sor­pren­dente, que­sta pro­spet­tiva, che viene da chie­dersi se non sia uno dei tanti gio­chi in corso per affon­dare defi­ni­ti­va­mente ogni ten­ta­tivo di sini­stra nel nostro paese. Una sini­stra anti­li­be­ri­sta, che punti a pro­teg­gere i gio­vani, i pen­sio­nati, le donne, i lavo­ra­tori, dalla vio­lenza dell’attacco sociale, una sini­stra che vede nel governo Renzi l’interprete fedele, anzi, crea­tivo — del dise­gno libe­ri­sta delle élite euro­pee. Come si fa a pen­sare ad alleanze con chi taglia la sanità pub­blica? Come non vedere pro­spet­tive diverse in Europa, per esem­pio in Portogallo?
Certo, ogni pro­po­sta è legit­tima, in un ter­reno che non vede ancora in campo un pro­getto comune, un ter­reno che non ha nome, tanto che si ritrova a essere iden­ti­fi­cato con un richiamo che nella ver­sione più bene­vola appare nostal­gica, come “cosa rossa”. E non si può certo imma­gi­nare che ci sia un’unica pro­spet­tiva, l’esatto con­tra­rio dell’idea in cui ci siamo spesi in tante e in tanti. L’idea di un met­tersi in mar­cia, di avviare insieme un pro­getto che nel cam­mi­nare prende forma. Un met­tersi in moto che ha biso­gno di un avvio, un ini­zio. Un ini­zio fin troppo atteso.
Abbiamo discusso, nei mesi scorsi, della vita a sini­stra. La vita, se c’è, a un certo punto prende forma, vive appunto. Credo che con­ti­nuare a tra­sci­nare la deci­sioni di par­tenza di riu­nione in riu­nione sia un gioco mor­tale. Si potrebbe anche chia­marlo gioco delle tre carte, vedo e non vedo, ci sono e non ci sono. È diver­tente, ma solo per chi tiene il banco. Che non è nes­suno dei par­te­ci­panti. E il banco sono il governo, o l’Europa, o il libe­ri­smo, fate voi. Che a gio­care ci siano solo uomini non è un det­ta­glio irrilevante.

Fonte: il manifesto
 

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