domenica 18 ottobre 2015

Renzi, un primo ministro «semper fidelis» di Tommaso Di Francesco, Il Manifesto

Afghanistan. Dunque è finalmente chiaro che l’Italia renziana che orgogliosamente «non prenderà ordini da Bruxelles», li prende invece direttamente da Washington

«Avete sen­tito tutti che cosa ha detto il pre­si­dente Barack Obama. Stiamo valu­tando in que­ste ore se pro­lun­gare di un anno la nostra pre­senza in Afgha­ni­stan, come ci è stato chie­sto dall’amministrazione americana».
Dun­que è final­mente chiaro che l’Italia ren­ziana che orgo­glio­sa­mente «non pren­derà ordini da Bru­xel­les», li prende invece diret­ta­mente da Washing­ton. Peg­gio di Andreotti che almeno una poli­tica estera auto­noma sul Medio Oriente e per­fino sull’Est l’aveva messa in campo; e peg­gio di Ber­lu­sconi che, nelle sue manie di gran­dezza, s’era addi­rit­tura inven­tato l’improbabile ingresso della Rus­sia nella Nato, Mat­teo Renzi inde­fes­sa­mente pro­lunga la mis­sione di guerra – quella che uffi­cial­mente si chiama di «adde­stra­mento» — in terra afghana. Ancora non hanno smesso di fumare le rovine dell’ospedale di Kun­duz, quello bom­bar­dato dai «nostri» cac­cia­bom­bar­dieri alla ricerca del tale­bano, incu­ranti del mas­sa­cro che ne sarebbe venuto – que­sti sono gli effetti col­la­te­rali «con tante scuse» — che la Casa bianca pro­lunga la guerra Usa per­ché «la mis­sione è finita, ma non lasce­remo il paese ai terroristi».
E l’Italia s’accoda, con lo staf Gentiloni-Pinotti – i due cava­lieri dell’Apocalisse dei poveri — e la striz­za­tina d’occhio della Mer­kel e dll’Unione euro­pea che non c’è.
Senza inter­ro­garsi su come sia dav­vero finita la mis­sione di guerra in Afgha­ni­stan. Per­ché, dopo 14 anni — più del Viet­nam — d’intervento mili­tare, dove le vit­time civili dei rad Nato e Usa e dei «nostri» droni sono state supe­riori alle per­dite delle mili­zie isla­mi­ste, i tale­bani sono all’offensiva, con le basi poli­ti­che e stra­te­gi­che in Paki­stan quasi intatte, e si affac­cia anche la novità dell’Isis.
Men­tre la società civile e poli­tica che si è rior­ga­niz­zata a Kabul cor­ri­sponde allo stesso potere pre­ce­dente dei Signori della guerra. Un vero fal­li­mento. Sarebbe neces­sa­rio riflet­tere dun­que, aprire nuove strade diplo­ma­ti­che. O forse la con­ti­nua­zione della guerra occi­den­tale serve pro­prio ad impe­dire che torni nell’area l’influenza ira­niana e soprat­tutto russa.
Ma Mat­teo Renzi che vanta una ine­si­stente poli­tica estera — riba­diamo che l’accordo sul nucleare di Teh­ran non è merito di Moghe­rini -, si com­porta come un marine: sem­per fide­lis. Ha taciuto sul mas­sa­cro di Kun­duz; tace ora, schie­rato con l’occupante Israele, sul disa­stro della diplo­ma­zia occi­den­tale sulla que­stione pale­sti­nese; ogni giorno esalta lo zero asso­luto di un accordo in Libia sem­pre smen­tito, pronto però ad inter­ve­nire mili­tar­mente per risol­vere una buona volta per tutte la que­stione del migranti in fuga da guerre e mise­ria dell’Africa, forte dell’annuncio di un accordo che non c’è tra le fazioni libi­che in guerra fra loro dopo l’irresponsabile avven­tura mili­tare della guerra con­tro Ghed­dafi che ha par­to­rito lo jiha­di­smo più agguer­rito, dila­gato poi in Siria e Iraq; un «accordo» che a poco a cuore l’unità libica ma che deve ser­vire a creare, solo sulla carta, la «sicu­rezza» della Libia per impian­tare un uni­verso di campi di con­cen­tra­mento per i pro­fu­ghi, per­ché non ven­gano più qui a rovi­narci le cam­pa­gne elettorali.

Certo il marine Renzi, che solo a giu­gno ad Herat con tanto di giac­chetta mime­tica chie­deva ai sol­dati ita­liani di restare «un altro mese», si schiera con il demo­cra­tico Obama.
Ma siete capaci di tro­vare qual­che dif­fe­renza tra guerre ame­ri­cane repub­bli­cane e guerre ame­ri­cane demo­cra­ti­che? Una in realtà ce n’è: la seconda ver­sione abbonda dell’aggettivo «uma­ni­ta­rio». La verità è che resta il mili­ta­ri­smo. E va messo in bilan­cio. Meglio allora tagliare la spesa sani­ta­ria, i con­tratti e il wel­fare per spen­dere, con­tro la pace ma «con inno­va­zione», in fab­bri­che d’armi, F35 e basi mili­tari. Sem­per fidelis.

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