Il ministro dell’Ambiente riceve i movimenti contro la privatizzazione e si impegna a dar seguito al risultato del voto. Finora le società hanno continuato ad applicare il margine di profitto del 7 per cento e più, con conseguente aumento delle bollette. Continua la campagna di autoriduzione “Obbedienza civile”
A otto mesi dai referendum sull’acqua, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini si è espresso per l’immediata abrogazione della remunerazione del capitale investito nelle bollette idriche. Lo ha fatto dopo aver ricevuto una delegazione dei movimenti per l’acqua pubblica, assicurando che oggi stesso invierà una nota all’Authority competente, quella dell’energia, chiedendo di “riconsiderare le tariffe”.Clini ha ribadito su twitter quello che con il referendum dello scorso anno aveva sancito con il voto di ventisette milioni di italiani: “L’acqua è un bene comune che non può consentire margini remunerativi”. Un accoglimento, a quanto sembra, dello spirito dell’iniziativa lanciata già da diversi giorni dai movimenti per l’acqua con il titolo “Obbedienza civile”, che puntava a contestare l’attuale costo del servizio idrico.
La presa di posizione di Clini arriva dopo un lungo periodo di sostanziale silenzio da parte dei governi di Silvio Berlusconi e di Mario Monti. Il 20 luglio scorso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva firmato il decreto di proclamazione dei risultati dei due referendum sui beni comuni, senza che nulla però accadesse nei giorni successivi. I tanti gestori – in buona parte privati – degli acquedotti italiani hanno in sostanza mantenuto quel 7% di remunerazione del capitale abrogato dal secondo quesito referendario.
Una scelta che oggi potrebbe venir meno, se il ministro Clini manterrà quanto promesso nell’incontro con i movimenti. In molti casi – ad esempio in Puglia – si è giustificata la mancata attuazione di questa riduzione della tariffa spiegando che quei soldi sarebbero serviti per pagare gli oneri finanziari, ovvero il costo del capitale utilizzato per gli investimenti. Di fatto la gran parte delle società di gestione nel 2012 ha aumentato le tariffe, rinviando a future nuove normative la revisione del sistema di calcolo del costo dell’acqua.
La campagna di obbedienza civile – partita simbolicamente da Arezzo, prima città a sperimentare la privatizzazione del servizio idrico, nel 1999 – è stata la scelta dei referendari per creare una pressione soprattutto sui gestori, operando un’autoriduzione delle bollette, con percentuali che arrivano, in alcuni casi, al 20%.
La quota di profitto garantito incide – grazie ai complessi sistemi di calcolo – molto più del 7%. Solo la gestione dell’acqua nella provincia di Roma, per esempio, ha portato in meno di dieci anni ad Acea circa 500 milioni di euro di remunerazione. Cifre con molti zeri sono state iscritte nei bilanci di gran parte delle compagnie pubblico-private che hanno preso in gestione gli acquedotti dopo la legge Galli del 1994.
L’annuncio del ministro Corrado Clini apre ora una fase nuova. Se il governo rispetterà quanto dichiarato oggi dal titolare dell’Ambiente, la riduzione delle bollette dovrà riguardare l’intero paese, bloccando, di fatto, ogni ulteriore privatizzazione.
Il Fatto Quotidiano
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