Angela Merkel è soddisfatta. Mario Monti sorride. Nicolas Sarkozy spiega
che “con Mario c’è grande intesa. L’Italia è importante perché è la
terza economia europea e in tre, con lui e la Merkel, lavoriamo
benissimo”. L’idillio che segue l’approvazione, nella serata di lunedì, del “fiscal compact”
invita all’ottimismo. Il via libera politico –mancano tutte le
ratifiche degli Stati membri– al trattato internazionale che crea
l’Unione fiscale tra 25 Paesi Ue sembra benedetto anche dallo spread: ieri la differenza tra titoli pubblici italiani e gli omologhi tedeschi è scesa da 433 a 417. Eppure sono passati solo
dieci giorni da quando il presidente della Bce Mario Draghi denunciava:
“Crisi gravissima, è ora di agire”. Il fiscal compact ha fatto il
miracolo o l’allarme di Draghi è ancora valido? Vediamo punto per punto
come stanno le cose.
Banche. Ci sono stati momenti peggiori, soprattutto in
Italia. Unicredit ha concluso l’aumento di capitale e la combinazione di
panico e speculazione attorno al titolo si è placata. Ma questo non
significa che le cose vadano bene per gli istituti di credito europei in
generale e per quelli italiani in particolare. Soltanto un mese fa, le
banche dell’Eurozona hanno preso in prestito dalla Banca centrale
europea 489 miliardi di euro, di cui 116 finiti in
Italia. Quei soldi non sono finiti nell’economia reale, a banche e
famiglie, ma depositati sul conto della Bce in perdita (allo 0, 25 per
cento di rendimento) o sul mercato per ricomprare obbligazioni delle
banche stesse. Morale: le banche ci guadagnano due volte, l’economia no,
gli Stati riescono a piazzare un po’ di titoli a breve scadenza a
rendimenti bassi perché le banche comprano. Ma come anticipava il
Financial Times ieri, alla prossima finestra di prestito della Bce, il
29 febbraio, le banche chiederanno quasi 1.000 miliardi in aggiunta ai
489 di dicembre. I loro bilanci miglioreranno, l’economia no, la Bce di
Mario Draghi che si rifiuta di salvare gli Stati continuerà a salvare le
banche e i banchieri. Il problema di come garantire credito al sistema
per evitare una recessione profonda resta.
Bce. La Banca centrale europea ha fatto una scelta precisa: si aiutano le banche e non gli Stati, lasciando poi al buon cuore dei banchieri di dare un po’ di sostegno ai debiti pubblici. La settimana scorsa si è praticamente esaurito il programma di Francoforte di acquisto dei bond pubblici in circolazione: soltanto 63 milioni di euro contro i 2, 2 miliardi dei sette giorni precedenti. L’Italia sembra sopravvivere anche senza la morfina della Bce, in buona parte grazie alla presenza di Mario Monti, ma lo spread del Porto-gallo è ormai fuori controllo al 14, 6 per cento.
Debito. La Germania ha imposto la sua linea con il trattato fiscal compact che replica, pasticciandole, norme europee già in vigore: per rassicurare i mercati e far scendere lo spread, bisogna tenere il deficit sotto lo 0, 5 per cento del Pil e portare in fretta il debito al 60 per cento del Pil. In teoria, dal 2014 l’Italia dovrebbe fare manovre correttive da 40-50 miliardi all’anno per qualche decennio, per rispettare questi parametri. Monti sa che non è sostenibile, pena recessioni disastrose, sta quindi trattando perché i cosiddetti “fattori rilevanti”, citati nel trattato, permettano un rientro più graduale. Che questa linea di rigore tedesca sia fallimentare lo dimostrano i mercati che non si fidano delle promesse dei governi e sanno che tasse e tagli non bastano più.
Grecia. Questa è la vera mina di cui i capi di governo a Bruxelles lunedì non hanno neppure osato parlare. C’è una trattativa in corso da settimane tra banche creditrici e governo di Atene per stabilire lo sconto sui titoli da rimborsare. Cioè quante perdite devono accollarsi le banche. Ci sono mille dettagli tecnici, ma il punto principale è che la Ue aveva chiesto alle banche di rinunciare volontariamente al 50 per cento del dovuto. Ma non basta, ora si tratta per il 70 e l’ 80 per cento. Forse l’accordo arriva in settimana. Nessuno ha chiaro se dopo l’intesa scatteranno o meno i CDS, i credit default swap, assicurazioni contro il rischio del default greco. Rischiano di innescare una reazione a valanga.
Fondi Salva Stati. Il pasticcio è supremo, l’Europa resta senza strumenti difensivi. Il Consiglio europeo ha ribadito lunedì che a febbraio deve partire il fondo Esm, dove gli Stati verseranno a piccole dosi 500 miliardi di capitale. Troppo pochi, secondo tutti gli osservatori tranne i tedeschi. Visto che l’Esm sarà un creditore privilegiato, cioè avrà diritto a essere rimborsato per primo quanto presta soldi a uno Stato, renderà praticamente inutile l’Efsf, il finto fondo (si basa su granzie e non capitali versati) che è ora attivo. Consapevoli che questo schema non funziona, prima ancora di inaugurare l’Esm i leader europei si sono impegnati a modificarlo a marzo. Come non si sa, ma qualcosa bisognerà fare.
Recessione. Per la prima volta, lunedì, i leader della Ue si sono ricordati che bisogna pensare anche alla recessione, oltre che alla finanza. Per questo hanno firmato una dichiarazione “verso un risanamento favorevole alla crescita e una favorevole creazione di posti di lavoro”. Solo vaghi impegni, ma potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase, come richiesto da Monti che punta sul mercato unico (le liberalizzazioni a livello europeo). In Europa la disoccupazione è al 10, 4 per cento (dato di dicembre), in Italia continua a crescere e, stando alle stime dell’Istat, a dicembre ha toccato il punto più alto da quando si raccolgono i dati (2004): 8, 9 per cento, con i giovani disoccupati oltre il 31 per cento.
Le preoccupazioni di Mario Draghi, come si vede, sono ancora un po’ troppo attuali per vedere nel fiscal compact la svolta attesa. L’era dello spread continua.
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