venerdì 24 febbraio 2012

I signori ministri chiedono benevolenza: siate ‘buonisti’ verso i ricchi!- di Annamaria Rivera,

Si deve dire che chi guadagna e paga le tasse non è un peccatore, e va guardato con benevolenza, non con invidia”. Ce lo chiede la ministra Severino, che col suo reddito da sette milioni di euro l’anno è la più ricca fra i ministri ‘tecnici’ ricchi come cresi, con poche eccezioni. La coda di paglia (rivelata dal lapsus “peccatore”) le ispira l’ennesima gaffe governativa. Ci chiede di guardare con benevolenza alle sue entrate scandalose, dopo che i rappresentanti del governo ci avevano ammoniti ripetutamente per il nostro stile di vita non abbastanza francescano e, in sostanza, per il nostro parassitismo sociale: noi pigramente “fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà” (Cancellieri); noi che finora abbiamo vivacchiato grazie a una società “troppo generosa, troppo buona verso i deboli” (Monti); noi che siamo stati beneficiati da governi che hanno “profuso troppo buonismo sociale” (ancora Monti).
Ora, la ministra della Giustizia ci chiede, pensate un po’, un atto di ‘buonismo’: siate indulgenti, ci esorta, guardate con benevolenza alla nostra agiatezza un tantino eccessiva, mentre noi vi svuotiamo le tasche, vi confischiamo diritti e garanzie sociali, vi consegniamo, nudi, alla giungla del mercato e alla lotta per la sopravvivenza.
C’è chi eccepisce: ma il loro benessere è normalmente conforme al loro ruolo di tecnici di ‘alto rango’! L’obiezione sarebbe ragionevole se in Italia non vi fosse una schiera di tecnici, studiosi, ricercatori, intellettuali, in alcuni casi ben più colti ed esperti dei ‘professori’ di governo. Ebbene molti di loro, dipendenti da amministrazioni pubbliche (l’università, per esempio), non solo pagano le tasse al pari dei ministri, ma, per rispetto della regola dell’incompatibilità con altri incarichi, vivono del solo stipendio. Quindi hanno redditi lordi pari a meno dell’uno per cento (avete capito bene) di quello della ministra Severino. Che vorremmo implorare d’essere, lei, benevolente: si soffermi a meditare, qualche volta, sul fatto che tanti geniali lavoratori della conoscenza – quelli ‘strutturati’, come si dice, per non parlare dei precari! – percepiscono stipendi mensili corrispondenti alla somma che lei, probabilmente, spende per acquistare un abito degno della ‘sobrietà’ governativa.
Non è, la nostra, un’ennesima, ambigua invettiva contro ‘la casta’; neppure è ciò che si stigmatizza con la formula superficiale di ‘antipolitica’: i nostri cresi, del resto, non rappresentano la Politica, bensì un comitato d’affari della borghesia insediato a Palazzo Chigi. E’, invece, una ‘sobria’ considerazione dello stato attuale delle relazioni di classe. Certo, da lungo tempo non è una novità che a ‘rappresentarci’ siano governi che riflettono gli interessi delle classi dominanti. Ma quel che risulta intollerabile è che i membri del governo Monti coniughino la spietatezza liberista con una pretesa pedagogica: “Spero di cambiare il modo di vivere degli italiani”, ha candidamente dichiarato Monti nella recente intervista al Time, poiché “la vita politica quotidiana li ha diseducati”, privandoli del senso della “meritocrazia e concorrenza”. Insomma, il comitato d’affari della borghesia non si accontenta di svolgere il ruolo di portavoce della Bce e di ben più elevati vertici economico-finanziari. Pretende di svolgere una missione educativa, di plasmare la società e i cittadini secondo i precetti morali della bibbia neoliberista.
Siamo tentati di assumere anche noi una missione educativa, invitando i signori ministri ad adeguarsi a precetti di austerità e altruismo, consoni alla grave crisi economico-finanziaria del Paese. Che elargiscano una piccola parte delle loro copiose sostanze per sovvenzionare i tanti gruppi di lavoratori licenziati che stanno lottando per il diritto al lavoro e quelli che sempre più spesso, per disperata protesta, saliranno su torri e impalcature. Che ne offrano qualche esigua frazione alle Ong che difendono i diritti dei migranti, così che queste, a loro volta, li aiutino a pagare l’odioso balzello aggiuntivo, di duecento euro, necessario per ottenere e rinnovare i permessi di soggiorno. Che riservino qualche spicciolo per allestire alloggi dignitosi per la moltitudine di homeless che la loro gestione della crisi va producendo.
Oppure, più modestamente, che destinino una piccola percentuale del loro reddito mostruoso per sottoscrivere in favore della sopravvivenza di giornali moribondi – anche per colpa del governo ‘tecnico’ – quali il manifesto e Liberazione. Almeno si laverebbero la coscienza per un po’ e così forse il loro subconscio non si ribellerebbe tanto spesso con lapsus e gaffe madornali. Sarebbe anche una bella opportunità per mostrarsi fedeli al loro credo liberal-liberista: il pluralismo dell’informazione non è forse uno dei valori-cardine del pensiero liberale, oltre che della Costituzione?

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