Due-tre settimane fa eravamo tutti qui a commentare
la nascita dei forconi, movimento “di popolo” meridionale che sembrava –
secondo diversi commentatori – così incazzato e così genuino (nelle
rivendicazioni, nelle pratiche di lotta e nella presa trasversale) da
rappresentare l’ennesima sconfitta di una sinistra incapace di capire la
realtà in cui opera.«Nei forconi ci sono i
mafiosi e ci sono i fascisti», diceva qualcuno. E se sui mafiosi chissà,
sui fascisti la certezza c’era. Bastava quello per farsi un’idea. Buona
regola elementare vuole che là dove baccagliano i fascisti, meglio
stare alla larga. Non ne uscirà nulla di buono. Sarà strumentalizzazione
pura. Perché, come scriveva
giustamente Giuliano Santoro su MicroMega, «questa è la storia del
fascismo in Italia: raccogliere la frustrazione della gente e
canalizzarla dentro un progetto autoritario, ammantandosi di parole
roboanti come “rivoluzione”».
Com’è andata a finire? Nessuno aveva capito bene quale fosse la
piattaforma programmatica dei “forconi” (ci rifiutiamo di pensare fosse
solo il taglio del prezzo del gasolio), nessuna ha capito bene perché la
protesta dopo una settimana di fuoco, fiamme e disagi è evaporata in
qualche sit-in davanti al palazzo della regione e occupazioni di
consigli comunali. Ma la ciliegina sulla torta che certifica come i
forconi non siano stati altro che l’ennesima parata di un ribellismo
meridionale fuori tempo massimo (la Sicilia, essendo una regione
autonoma, gode di vantaggi che la maggior parte delle regioni italiane
si sognano: il 100 per cento della tasse pagate restano nel territorio,
quando in Emilia Romagna ne ritorna un decimo) è la notizia, ma guarda
un po’, che il movimento scende ufficialmente in politica. Depositati i
simboli, i forconi correranno alle amministrative, sperando che il gran
casino fatto frutti qualche assessorato a destra e a manca ai soliti
notabili trombati alle elezioni del passato. Il partitino, poi, non è
neanche nato ed già è spaccato in due (Mariano Ferro, il moderato,
contro Martino Morsello, ex socialista ora amico di Forza Nuova).
L’evoluzione della specie: da forconi a forchettoni il passo sarà breve.
È vero, come fanno notare in tanti, che la “sinistra” siciliana – se
intesa come Pd – non è alternativa al sistema di potere clientelare e
sprovveduto che da sempre amministra la regione. Ma non è una
giustificazione valida per salire sul carro del primo che alza la voce.
Così come non è vero che non esista una Sicilia diversa, onesta e di
lotta, vera e coerente: Peppino Impastato non era nato a Milano.
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