Una buona
notizia, ogni tanto. La Corte di appello di Potenza, accogliendo il ricorso
della Fiom, ha ordinato alla Fiat di reintegrare nello stabilimento di Melfi
tre operai licenziati nell’estate del 2010 con l’accusa di aver bloccato un
carrello durante uno sciopero interno. Due di loro erano delegati della Fiom.
L’agenzia Ansa scrive: «Barozzino, Lamorte e Pignatelli hanno assistito alla
lettura della sentenza e subito dopo si sono commossi: fuori dall’aula, sono stati
accolti da un applauso dei loro colleghi. “Vogliamo solo tornare a lavorare”,
hanno detto i tre, fra una telefonata e l’altra a parenti e amici».
Ecco, in
Italia c’è ancora chi si emoziona all’idea di poter lavorare. In fabbrica. A
mille euro e rotti al mese. C’è chi orgogliosamente rivendica il proprio ruolo
di «lavoratore» in una società. Ed è disposto, coraggiosamente, a lottare per
un diritto (non un privilegio, come ci fanno credere) che trova spazio e non a
caso nelle prime parole della nostra Costituzione.
Tre operai
che si commuovono perché possono tornare alla catena di montaggio. Una lezione
di umanità. Una bella dose di dignità per loro e anche per noi, abituati alle
lamentele di chi non va oltre al «togliete a loro, date a noi». Soprattutto,
dovrebbe servire a quelli che si definiscono di sinistra ma si affrettano a
dire che in piazza con la Fiom non ci andranno. O a quelli che ci vorrebbero
andare ma aspettano di sapere qual è la direttiva di partito. Serve quindi al
Pd, lacerato e litigioso sull’articolo 18 ma silenzioso salvo rari casi quando
la Fiat discrimina gli operai iscritti al sindacato non allineato. Serve al Pd,
ancora, sempre prodigo nel giustificare le prepotenze e i ricatti aziendali, ad
agitare lo spettro dell’«invidia sociale» (Veltroni al Lingotto docet), e poi
neanche una parola per farci sapere che dal 1983 al 2005 la percentuale di Pil
in quota ai profitti d’impresa è salita dell’8 per cento, cioè centoventi
miliardi di euro sottratti dalle buste paga.
Quando una
certa “sinistra” ha smesso di incarnare il cuore, il sentimento e le emozioni
di chi lavora ha perso la bussola. È sempre più urgente per quella “sinistra”
scegliere una volta per tutte quali ragioni rappresentare e perché. Sarebbe
ora, dopo oltre venti anni di smemoratezza, di ricordarsi da dove si viene.
PS. Il
titolo del post è liberamente tratto da una strofa del cantautore livornese
Bobo Rondelli della canzone “Hawaii da Shangai”. Qui Shangai non c’entra nulla
con la Cina. È il nome di un quartiere popolare di Livorno.
da: http://blogmicromega.blogautore.espresso.repubblica.it
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