Assessore Politiche ambientali
Comune di Capannori
Per qualcuno è solo uno slogan, per altri demagogia o una delle tante utopie, mentre oggi, nel comune rurale più grande d’Italia Rifiuti Zero è semplicemente una realtà: un’articolata e complessa realtà come Capannori, comunità di 46mila abitanti in provincia di Lucca, è il primo comune italiano ad aver aderito a questa strategia di gestione del ciclo dei rifiuti, realmente compatibile1. Si tratta della prima esperienza in Italia, ma non l’unica.
Oggi Rifiuti Zero è realtà in 7 comuni al nord, 21 al centro, 16 al sud, 7 nelle isole, da grandi città come La Spezia a piccole realtà come Villa Basilica2. Capannori è capofila di un processo di reale e concreto cambiamento, attraverso buone pratiche con le quali si mette in discussione un sistema i cui limiti sono nella crisi economica, sociale ed ambientale in corso: un modello alternativo di società e di vita, che ha come paradigma la sostenibilità ambientale cantierizzando politiche che mettono a sistema le tante variabili sociali in una visione d’insieme, sia in sintonia con l’ambiente di vita che ci circonda.
Questa scelta, insieme a tante altre, è un esempio di buone pratiche in cui si coniuga la sostenibilità sociale, ambientale ed economica con progetti all’avanguardia, testimoniando che un altro mondo è possibile, valendo al comune toscano, unico in Italia, la partecipazione ai lavori della Commissione Europea, il 19 maggio 2011, alla giornata di lavoro “Uso efficiente delle risorse, esperienze a confronto”, promossa per confrontare i progetti innovativi delle amministrazioni locali.
Per comprendere meglio tutto ciò, ritorniamo nella realtà di Capannori per rivolgere 10 domande ad Alessio Ciacci, 31 anni, membro del consiglio direttivo dell’Associazione dei Comuni virtuosi, del Coordinamento nazionale enti locali “Agende 21 per Kyoto” e dal 2007 assessore alle politiche ambientali di Capannori.
Oggi Rifiuti Zero è realtà in 7 comuni al nord, 21 al centro, 16 al sud, 7 nelle isole, da grandi città come La Spezia a piccole realtà come Villa Basilica2. Capannori è capofila di un processo di reale e concreto cambiamento, attraverso buone pratiche con le quali si mette in discussione un sistema i cui limiti sono nella crisi economica, sociale ed ambientale in corso: un modello alternativo di società e di vita, che ha come paradigma la sostenibilità ambientale cantierizzando politiche che mettono a sistema le tante variabili sociali in una visione d’insieme, sia in sintonia con l’ambiente di vita che ci circonda.
Questa scelta, insieme a tante altre, è un esempio di buone pratiche in cui si coniuga la sostenibilità sociale, ambientale ed economica con progetti all’avanguardia, testimoniando che un altro mondo è possibile, valendo al comune toscano, unico in Italia, la partecipazione ai lavori della Commissione Europea, il 19 maggio 2011, alla giornata di lavoro “Uso efficiente delle risorse, esperienze a confronto”, promossa per confrontare i progetti innovativi delle amministrazioni locali.
Per comprendere meglio tutto ciò, ritorniamo nella realtà di Capannori per rivolgere 10 domande ad Alessio Ciacci, 31 anni, membro del consiglio direttivo dell’Associazione dei Comuni virtuosi, del Coordinamento nazionale enti locali “Agende 21 per Kyoto” e dal 2007 assessore alle politiche ambientali di Capannori.
D.Perché si arriva a proporre, ed attuare, una modalità di gestione dei rifiuti come Rifiuti Zero?
R. Quando si parla di sostenibilità occorre interrogarsi sul suo significato e capire quali sono i limiti del pianeta Terra che noi stiamo intaccando. Ogni anno esce il rapporto Overshoot day3, scritto da che fanno il bilancio tra le risorse disponibili del pianeta e quelle che consumiamo: fino all’inizio degli anni ’90 non si è mai arrivati al fatidico giorno del sorpasso tra saldo attivo e passivo, ma negli anni successivi è stato un continuo risalire il calendario fino al 2010, quando il sorpasso tra le risorse consumate e quelle rigenerate è stato il 21 agosto4: ogni anno consumiamo circa un terzo in più di quanto il pianeta riesce a riprodurre. Questa è la misura dell’urgenza del cambiamento: ciò non significa che la soluzione sia il ritorno all’età della pietra, ma occorre coniugare modelli di sviluppo e stili di vita con i limiti fisici del pianeta. La questione dei rifiuti è tra le più centrali: fino a pochi anni fa si calcolava il peso ambientale delle tipologie di smaltimento mentre negli ultimi anni si guarda ai rifiuti come materia, quindi non solo allo smaltimento ma al recupero, evitando di estrarre materia dall’ambiente e riciclando prodotti. La foto del ciclo dei rifiuti in Italia è un enorme spreco: mandiamo in discarica il 65% dei nostri scarti, buttando enormi quantità di materie prime preziose, dispendiose da estrarre dall’ambiente, in termini energetici e di finitezza di materie stesse.
Rifiuti Zero significa arrivare al riciclo totale degli scarti: è impensabile immettere nel mercato e consumare prodotti non progettati per re-immetterli nei cicli produttivi: non abbiamo inventato nulla, abbiamo seguito le migliori esperienze al mondo. Quando abbiamo iniziato in Italia eravamo visti come utopisti, idealisti estremisti, come se ormai la politica fosse destinata alla gestione del potere e dell’esistente, curandosi degli interessi privati e non di quelli pubblici: questa realtà ha messo in moto la crisi della partecipazione, perché spesso la politica non è riuscita a guardare alla comunità che si vuole costruire in una prospettiva di sostenibilità e di partecipazione. Oggi Rifiuti Zero, con adeguate politiche energetiche e in difesa dei beni comuni, è l’unica prospettiva che ci può portare ad un futuro sostenibile. Dai calcoli dell’impronta ecologica e dell’impatto ambientale degli stili di vita, possiamo dire che l’unica utopia è una società che non guarda a Rifiuti Zero, perché matematicamente non abbiamo materie prime infinite da sprecare per incenerire o conferire in discarica. Il riciclo totale dunque è l’ipotesi con vantaggi per tutti e con difficoltà più o meno elevata a seconda dei contesti territoriali, dalle specificità locali, ma che deve essere un faro. Esperienze come San Francisco (USA), o Camberra (Australia)5, sono esempi di società con dimensioni enormi rispetto alle nostre realtà e che stanno traguardando al 2020 questo obiettivo.
D. Come parte Rifiuti Zero e su cosa si basa questa strategia di gestione del ciclo dei rifiuti?
R. Rifiuti Zero è un obiettivo che si costruisce su due binari, entrambi importanti: da una parte la raccolta differenziata ed riciclo dei materiali, dall’altra la riduzione degli scarti. Se andiamo ad esaminare le leggi che indirizzano il settore dei rifiuti, vediamo che l’UE detta le priorità nella gestione dei rifiuti che governi ed autonomie locali devono seguire e che purtroppo in Italia sono applicate all’inverso: priorità alla riduzione degli scarti ed al riciclo e solo secondariamente, e marginalmente, incenerimento e discarica. In Italia il 65% va in discarica, il 15% viene incenerito e solo il 30% viene riciclato. Rifiuti Zero è in linea con le priorità sancite dall’UE, ma non si può pensare che queste priorità possano bastare se non in una fase di transizione che governi le problematiche più emergenziali. Le esperienze di riciclo totale sono già presenti da tempo in Italia, dal consorzio Priula al nord6, al salernitano nel sud7: nel 2006 ci siamo chiesti se il cittadino toscano medio aveva meno capacità rispetto a queste realtà o se il problema fosse che in Toscana nessuno investiva sul porta-a-porta, usando il cassonetto come l’unico sistema di raccolta. Abbiamo infranto questa “religione”, eliminando tutti i cassonetti, prima da una frazione di 600 abitanti e sperimentando la raccolta domiciliare: oggi ogni giorno gli operatori vanno casa per casa raccogliendo materiali diversi, responsabilizzando i cittadini, monitorando ciò che scartano in sacchetti trasparenti e con indicazioni precise, creando un rapporto educativo quotidiano con le famiglie. Ciò con i cassonetti non può oggettivamente avvenire.
D.Con Rifiuti Zero avete cambiato le abitudini dei cittadini capannoresi. Com’è stato possibile realizzare quella che è una rivoluzione delle pratiche quotidiane?
R.Abbiamo investito tutto sulla partecipazione, perché sono tristemente famosi i progetti di porta-a-porta falliti. In Toscana c’è il caso di Pisa, un comune che non credeva nel porta-a-porta, anzi lo vedeva come fumo negli occhi, ma aveva una domanda sociale di cittadini che chiedevano questa sperimentazione: il comune recepì queste istanze e fece partire il progetto, ma tolti tutti i cassonetti i cittadini non sapevano dove mettere i propri rifiuti, con quale calendario e con quali mezzi conferirli, e chiaramente si instaurò fin dall’inizio un rapporto conflittuale tra amministrazione e cittadinanza che fece fallire tutto. Dopo alcuni mesi il comune ricorse ad un referendum e, visti i cattivi esiti del progetto, i cittadini lo bocciarono e si tornò al cassonetto, non certo per rigettare il porta-a-porta in senso assoluto ma la cattiva progettazione che ha portato a scarsa partecipazione.
Noi abbiamo fatto assemblee pubbliche, nei bar, nelle parrocchie, in circoscrizioni e condomini, con l’aiuto dell’associazionismo che distribuiva materiale informativo, garantendo un’operazione culturale rivoluzionaria. E’ difficile misurare il gradimento dei cittadini, soprattutto su progetti che cambiano radicalmente le abitudini quotidiane, ma nel nostro caso il successo è stato senza pari rispetto anche ad altre nostre iniziative: la facoltà di Scienze delle Comunicazione de “La Sapienza” di Roma, ha fatto uno studio sul gradimento del porta-a-porta8 prendendo alcuni casi tra cui Salerno, 140.000 abitanti che fanno oltre il 70% di differenziata, alcuni quartieri della città di Roma con raccolta domiciliare e Capannori: il nostro investimento sulla partecipazione ha dato risultati bulgari e il 94% della cittadinanza intervistata si dichiara soddisfatta del cambiamento, per il miglioramento del decoro, eliminati i cassonetti che spesso diventano discariche estemporanee, e per la creazione di un rapporto positivo tra utenza ed operatori che favorisce maggiore sensibilità per un obiettivo faticoso, difficile, ma necessario come Rifiuti Zero entro il 20209.
Noi abbiamo fatto assemblee pubbliche, nei bar, nelle parrocchie, in circoscrizioni e condomini, con l’aiuto dell’associazionismo che distribuiva materiale informativo, garantendo un’operazione culturale rivoluzionaria. E’ difficile misurare il gradimento dei cittadini, soprattutto su progetti che cambiano radicalmente le abitudini quotidiane, ma nel nostro caso il successo è stato senza pari rispetto anche ad altre nostre iniziative: la facoltà di Scienze delle Comunicazione de “La Sapienza” di Roma, ha fatto uno studio sul gradimento del porta-a-porta8 prendendo alcuni casi tra cui Salerno, 140.000 abitanti che fanno oltre il 70% di differenziata, alcuni quartieri della città di Roma con raccolta domiciliare e Capannori: il nostro investimento sulla partecipazione ha dato risultati bulgari e il 94% della cittadinanza intervistata si dichiara soddisfatta del cambiamento, per il miglioramento del decoro, eliminati i cassonetti che spesso diventano discariche estemporanee, e per la creazione di un rapporto positivo tra utenza ed operatori che favorisce maggiore sensibilità per un obiettivo faticoso, difficile, ma necessario come Rifiuti Zero entro il 20209.
D.Riduzione dei rifiuti e raccolta domiciliare vi hanno permesso di avere subito risultati straordinari, ma per andare verso Rifiuti Zero la strada è ancora lunga. Cos’altro avete fatto?
R. Abbiamo coinvolto tutti perché fosse un progetto di comunità e non solo di amministrazione, costruendo un percorso, realizzando circa 15 progetti, dalla riduzione degli scarti al compostaggio domestico, incentivando le famiglie con piccoli terreni a smaltire gli scarti di cucina producendo terriccio per la fertilizzazione dei propri orti ottenendo riduzioni tariffarie, o agli acquisti verdi comunali, dando un messaggio di coerenza ai cittadini a cui si chiede uno sforzo: l’amministrazione controlla i propri comportamenti acquistando prodotti riciclati che valorizza il loro lavoro di riciclo.
Abbiamo intrapreso politiche di contrasto agli imballaggi. L’Italia è il 1° in Europa, 3° al mondo, con oltre 190 litri pro capite/annui di consumi di acque minerali, grazie all’enorme spinta pubblicitaria e nonostante l’ottima acqua al rubinetto . Prima di eliminare l’acqua minerale dalle mense scolastiche i genitori erano preoccupati e li abbiamo coinvolti in assemblee con esperti del servizio idrico spiegando perché l’acqua di rubinetto è migliore, visionando documenti, verificando che i limiti degli inquinanti previsti per legge nell’acqua pubblica sono più restrittivi rispetto a quelli previsti per l’imbottigliamento, certificando quindi la severità dei controlli sugli acquedotti. Ciò dimostra quanto siamo raggirati da media e multinazionali, ci illudono che l’acqua minerale sia migliore mentre è meno controllata, è molto più costosa e ci costringe a smaltire montagne di imballaggi. Eliminato l’acquisto di acque minerali, abbiamo progettato per la cittadinanza “La via dell’acqua”, pubblicizzando le fonti sorgive presenti sul nostro territorio, espropriando quelle che sorgono in luoghi privati, sconosciuti alla comunità, che si sono trasformati in luoghi di bene comune dove la comunità si approvvigiona incontrandosi, conoscendosi, facendo socialità nelle buone pratiche e non nel consumo come nei grandi centri commerciali.
Stesso discorso sul contrasto degli imballaggi è stato fatto per prodotti vendibili alla spina, promuovendo accordi tra produttori e commercianti locali, incentivando i negozianti a vendere alla spina non facendo pagare tariffa dei rifiuti su parti di negozio destinato a tale tipo di vendita. In questa senso, i cittadini stessi hanno superato l’amministrazione inventando nuove pratiche: quattro giovani di Capannori hanno fondato una cooperativa, un negozio di 120 m2 che, in contrapposizione ad una nota catena, si chiama Effecorta, iniziando con 100 prodotti ed in due anni distribuiscono 250 prodotti esclusivamente senza imballaggi, e per una filiera di 70 chilometri, non pagano tariffe sui rifiuti, creano posti di lavoro, danno sostegno economico ai produttori locali altrimenti schiacciati da grandi centri commerciali e grandi aziende, riducono notevolmente la quantità di rifiuti in circolazione, ottenendo un ottimo successo commerciale. Idem per il latte, un altro prodotto che consumiamo, studiando i meccanismi di produzione ed organizzando distributori automatici: il mercato spesso non è uno spazio aperto a tutti, non è un’opportunità di arricchimento per chiunque ma spesso segue la definizione di “libera volpe in libero pollaio”. Le multinazionali aumentano i loro profitti multimilionari, i piccoli e medi allevatori chiudono strangolati da regole di mercato che pagano il latte prodotto circa 30 ¢/litro, mentre al supermercato si vende a 1,30÷1,40 €/litro: il risultato, senza contare che il latte a lunga conservazione può esser mescolato con quello in polvere10 con ovvie implicazioni per la salute, è che un latte non a filiera corta è più costoso. Con la distribuzione alla spina i produttori locali hanno più sostenibilità economica, vendendo il latte direttamente al consumatore ad 1 €/litro: alcuni allevamenti a Capannori stavano chiudendo, oggi hanno acquistato altri capi perché la domanda superava l’offerta, a dimostrazione che una società sostenibile non significa fare sacrifici ma riscoprire la qualità dei prodotti fatti a livello locale, diminuendo costi inutili come il trasporto e dando maggiori prospettive economiche ai territori.
Il sistema di produzione industriale va cambiato, non a caso se guardiamo all’Europa troviamo tante differenze rispetto a noi. Per esempio quanto paga un produttore di un’acqua minerale o di una birra immettendo nel mercato un imballaggio rispetto ad altri paesi europei? In Italia non si paga quasi nulla, quindi c’è poco interesse a creare un circuito di ritiro dei materiali, degli imballaggi, mentre in Germania, per esempio, la stessa distribuzione è coinvolta nel recupero degli imballaggi.
D. Nonostante questi progetti, per quanto si possa esser bravi a raccogliere e diminuire i rifiuti, rimane ancora una parte residuale per arrivare a Rifiuti Zero. Come si può eliminare?
R. Ci sono alcune cose difficile da eliminare dalla produzione dei rifiuti indifferenziati, come nel caso dei pannolini usa e getta. Abbiamo fatto uno studio per capire quanti se ne producono a Capannori, cercando di premiare, con un contributo di 200 €, quelle famiglie che cercano di utilizzare quelli lavabili, vendendoli nella farmacia comunale, un impegno in più ma anche un risparmio medio di 2000 € e stessa cosa con gli assorbenti. Ci sono invece alcuni prodotti che è impossibile riciclare e nell’ottica di Rifiuti Zero rappresentano un errore di progettazione del produttore: è il caso delle capsule del caffè usa e getta, di plastiche con contenuto organico inseparabile, che vanno nell’indifferenziato. Nel nostro centro di stoccaggio, in cui va circa circa il 20% dei rifiuti residuali per essere studiati dai nostri esperti, abbiamo scelto la marca più presente e come nelle migliori campagne di boicottaggio abbiamo scritto alla Lavazza una lettera aperta11 a cui abbiamo dato massima visibilità sui media12. Dopo alcuni giorni ci hanno convocato nel loro centro di ricerca a Torino ed abbiamo fatto un confronto tra i nostri ed i loro tecnici, cercando di spingerli verso l’eliminazione di questo spreco che a livello nazionale genera migliaia di tonnellate di rifiuti. Pensare una società sostenibile significa non si lasciare nessun dettaglio al caso, e tutto ciò che è comportamento, consumi, impatto ambientale non viene dato per scontato. Un esempio sono le gomme da masticare, che molti consumano ma che pochi sanno che sono fatte con derivati del petrolio, non riciclabili e contengono sostanze chimiche e sintetiche dannose come l’aspartame. Esistono invece in commercio, e cerchiamo di promuoverle attraverso bar e farmacia comunale, Chicza, cingomme biodegradabili e biologiche al 100%, equo solidali, fatte con prodotti naturali13.
D. Che fine fanno i rifiuti di Capannori?
R. Tra le varie iniziative abbiamo portato i cittadini a visitare gratuitamente gli impianti dove facciamo il riciclo, che mediamente sono nel raggio di 20÷30 chilometri da Capannori con un doppio risultato: si è toccato con mano il buon esito degli sforzi dei cittadini, vedendo fisicamente la montagna di rifiuti che si produce ogni giorno, soprattutto dovuto al consumo di acque minerali.
D.Quali sono le cifre più significative di Rifiuti Zero a Capannori?
R. Nel 2004 producevamo circa 31mila tonnellate di scarti, di cui circa 20mila finiva allo smaltimento, quindi 2/3 del totale. Nel 2010 siamo passati ad una produzione di 24mila tonnellate di scarti (-20% della produzione complessiva). I rifiuti a smaltimento sono passati da 19mila a 6.800 tonnellate, e la raccolta differenziata è passata dal 35% all’82% a livello comunale. La produzione pro capite è passata da 1,9 ad 1,4 kg/giorno e lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati da 1,2 a 0,4 kg/giorno, Nel 2012 adotteremo la tariffa puntuale, facendo pagare in base a quanti rifiuti produce, ed è dimostrato che è un ulteriore spinta a migliorare il servizio e quindi sappiamo che i dati odierni miglioreranno ulteriormente. Ciò dimostra che, pur assumendo obiettivi che sembrano irraggiungibili utopie, ma fondamentali per traguardare la sostenibilità, costruendo una strategia che guarda all’oggi per il domani, passo passo, con un’apertura alla partecipazione vera e democratica, diventano realizzabili portando vantaggi democratici, ambientali, sociali ed economici14.
D. Cosa sta cambiando dopo che Capannori ha intrapreso la strategia Rifiuti Zero?
R. Tanti comuni sono passati alla raccolta domiciliare porta-a-porta, altri comuni hanno aderito alla strategia Rifiuti Zero e oggi Lucca è la provincia toscana con la più alta raccolta differenziata, oltre il 50%: occorre quindi rivedere l’impiantistica: non abbiamo discariche ma, in Versilia, un impianto per combustibile derivato da rifiuti15 ed un inceneritore, peraltro chiuso dalla magistratura per la presunta manomissione del software di monitoraggio delle emissioni da parte del costruttore16. Oggi i comuni fruitori stanno mettendo in discussione l’utilità dell’impianto di CDR, poiché la convenzione prevede di pagare per conferire di 110.000 tonnellate di indifferenziato: producendo meno rifiuti occorre progettare la conversione dell’impianto in selezione del residuo, recuperando quell’ulteriore frazione. Ci sono comuni in Toscana, come Montespertoli, che ci hanno superato: da un giorno all’altro hanno convertito l’azienda alla raccolta porta-a-porta in tutto il territorio comunale, contabilizzando la produzione rifiuti con tariffa puntuale per 13mila abitanti17: con quattro ritiri l’anno si ha tariffa minima e con un ritiro a settimana la massima e, premiando i comportamenti virtuosi, la differenziata è passata in un anno dal 35% al 92%. A volte si presentano problemi di migrazione dei rifiuti: se il comune limitrofo ha il cassonetto alcuni cittadini fanno i furbi portandoci i loro rifiuti. Il comune di Lucca si lamenta con Capannori perché al confine portano i rifiuti nei loro cassonetti. Ciò accadeva anche con un altro comune limitrofo, Porcari, il quale è passato al porta-a-porta ed i cittadini confinanti con Porcari sono “costretti” a raccogliere correttamente i rifiuti. Se anche Lucca facesse il porta-a-porta si risolverebbe la questione.
D. Rifiuti Zero è sostenibile anche economicamente? Quali sono gli aspetti economici?
R. Quando siamo partiti eravamo coscienti del fatto che nonostante avessimo un’azienda come ASCIT, totalmente pubblica18 e che gestiva i rifiuti con il cassonetto, non aveva tutte quelle competenze che servono per fare un progetto che realmente tenga conto di tutte le variabili che convertisse quel sistema al porta-a-porta. Abbiamo chiamato tra i migliori tecnici nazionali che, lavorano con passione per costruire la sostenibilità, ci hanno aiutato a tener conto di tutte le variabili facendo il miglior progetto per la nostra realtà, cambiando i metodi di azione che progressivamente, e in poco tempo, ci avrebbe portato da un sistema all’altro. Si è realizzata una ristrutturazione di spesa che fino al 2004 era per l’80% sullo smaltimento dei rifiuti ed un risparmio che ci permetteva di spostare i costi dallo smaltimento ai costi occupazionali: i soldi che si spendono per discariche sono buttati via, quelli investiti nell’occupazione sono risorse che creano posti di lavoro e prospettive economiche per decine di famiglie. A Capannori 50 nuovi operatori hanno trovato lavoro in ASCIT senza aumenti di spese e grazie alla diminuzione del conferimento in discarica che ci costa per ogni tonnellata intorno ai 140 €. Ci sono realtà, anche in Toscana, dove i comuni sono proprietari della discarica e spendono solo 40 €/tonnellata, ed è chiaro che in quei contesti c’è un minor vantaggio immediato a fare il porta-a-porta, perché avendo così bassi il costo di smaltimento non è grande il margine di risparmio sul conferimento, ma la legge ci impone il 65% di raccolta differenziata entro il 201219, ed i comuni inadempienti sono soggetti ad un eco-tassa che graverà sui cittadini, quindi anche a bassi costi di conferimenti il costo complessivo aumenterà.
Sui costi incidono le filiere del riciclo, in base a fattori locali e qualità del materiale. Mediamente i materiali riciclabili come la carta rende 20 €/tonnellata, il cartone 80÷90 €/tonnellata, e l’organico dipende dagli impianti di compostaggio: noi conferiamo in un impianto a 20 chilometri e paghiamo circa 80÷90 €/tonnellata ma vogliamo costruirne uno che ci permetta di trasformare quello che oggi è un costo in risorsa: terriccio e biogas. Il costo del multimateriale (vetro, plastica e lattine) dipende se la raccolta è unita separata a monte tra i tre materiali. La nostra esperienza ha comportato la rivoluzione dell’azienda: dall’assunzione di 50 addetti (da 70 a 120 operatori) all’informazione ed al materiale per la raccolta (bidoncini e sacchetti) c’è stato un aumento dei costi ma ha creato enormi risparmi. Nonostante gli aumenti registrati in molte città toscane che non hanno fatto le nostre scelte, siamo riusciti a mantenere lo stesso livello di costi della gestione precedente: una famiglia di 3 persone che vive in una casa di 100 m2, a Viareggio paga 270 €/anno, a Lucca 230, a Capannori meno di 160. Se fossimo ancora schiavi degli impianti di smaltimento saremmo in media regionale.
Sui costi incidono le filiere del riciclo, in base a fattori locali e qualità del materiale. Mediamente i materiali riciclabili come la carta rende 20 €/tonnellata, il cartone 80÷90 €/tonnellata, e l’organico dipende dagli impianti di compostaggio: noi conferiamo in un impianto a 20 chilometri e paghiamo circa 80÷90 €/tonnellata ma vogliamo costruirne uno che ci permetta di trasformare quello che oggi è un costo in risorsa: terriccio e biogas. Il costo del multimateriale (vetro, plastica e lattine) dipende se la raccolta è unita separata a monte tra i tre materiali. La nostra esperienza ha comportato la rivoluzione dell’azienda: dall’assunzione di 50 addetti (da 70 a 120 operatori) all’informazione ed al materiale per la raccolta (bidoncini e sacchetti) c’è stato un aumento dei costi ma ha creato enormi risparmi. Nonostante gli aumenti registrati in molte città toscane che non hanno fatto le nostre scelte, siamo riusciti a mantenere lo stesso livello di costi della gestione precedente: una famiglia di 3 persone che vive in una casa di 100 m2, a Viareggio paga 270 €/anno, a Lucca 230, a Capannori meno di 160. Se fossimo ancora schiavi degli impianti di smaltimento saremmo in media regionale.
D. Capannori oltre a Rifiuti Zero guarda alla sostenibilità anche sotto il profilo dell’energia con progetti di grande prospettiva, che puntano decisamente su risparmio energetico e rinnovabili?
R. Il maggior pozzo energia in Italia è il risparmio ed i dati di questa cognizioni si percepiscono direttamente toccandoli con mano dai dati di consumo di queste case popolari che abbiamo realizzato completamente in legno, in classe A, quindi il massimo risparmio energetico, che sono costate poco di più di una casa normale ma nelle quali chi vive al loro interno risparmia 10 volte in costi di energia, perché oltre ad essere in legno hanno isolanti in prodotti naturali, hanno un impianto geotermico per il riscaldamento, i pannelli solari per l’acqua calda sanitaria e consumano 23 kW/h una casa “normale” 200 kW/h per metro quadro. Questo ci da la misura di quanto ci sia bisogno di adeguamento edilizio e meno di grandi impianti di produzione. Sperimenteremo una nuova produzione di energia, che potrebbe essere una nuova frontiera: un brevetto italiano che sfrutta l’energia delle correnti di alta quota. Siamo abituati all’eolico inteso come pale, ma la forza del vento aumenta salendo con il cubo della quota. L’unico problema è che a quote alte s’intercettano spazi aerei ed abbiamo acquistato l’azienda aeroportuale per sperimentarle questa tecnologia. Il progetto del prof. Ippolito del Politecnico di Torino20, è passato alla fase industriale: un aquilone trainato dal vento con turbine che generano una potenza di 3 MW l’una, il fabbisogno di circa 1000 famiglie. Ciò dimostra che se s’investe in ricerca si ottengono risultati eccellenti.
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