lunedì 6 febbraio 2012

L'invasione dei "cattivi" di Dante Barontini, www.contropiano.org

Le parole dal sen fuggite rivelano sempre qualcosa di più di quel che si vorrebbe – o converrebbe - dire. Capita anche all'ideologo capo, Mario Monti.
L'alto livello di debito dell'Italia è dovuto al fatto che per decenni "i governi hanno avuto troppo cuore ed hanno profuso buonismo sociale". Non avete capito male. Per Monti “più si ha il cuore buono, più si creano condizioni che graveranno su quelli che vengono dopo. Un termine tecnico, termine che non mi piace, ma un governo come il nostro ha il compito di riequilibrare le cose, far ripartire la macchina della produzione italiana e di farlo con attenzione al sociale”.
Anche un cretino sa tradurre. Con la prima fase si ammette: “siamo qui per farvi tornare poveri. Con la seconda si cerca di metter riparo al guaio, tornando allo stucchevole tormentone “lo facciamo per i giovani e i più deboli”. Inutile far notare che c'è una contraddizione totale tra le due espressioni: in una situazione di crisi l'ossimoro diventa così frequente da sfiorare il parossismo. Inutile sottolineare che il contrario di “buono” è “cattivo”. Le immagini e le interviste provienienti dalla Grecia, in questi giorni, ci indicano la sorte che ci attende. E che non è un frutto amaro del destino, ma un programma economico e politico accuratamente pianificato a livello europeo.
Siamo quindi obbligati a ricordare che viviamo sotto invasione (come abbiamo scritto al momento dell'insediamento di Monti). E naturalmente il tempo non passa invano. Ora lo si può cominciare a dire anche sui giornali padronali, incaricati non solo di gestire un'opinione pubblica sconcertata e priva di riferimenti solidi, ma anche di avvertire i partiti – o ciò che ne resta – su quel che dovrà essere il sistema politico dopo il 2013, quando Monti avrà lasciato... il posto a Passera.
Il quadro che emerge tra le righe dell'articolo di Lina Palmerini su Il Sole 24 Ore di oggi è particolarmente netto: ci saranno soltanto altri governi “unitari”, di “grande coalizione”. Se servirà ancora saranno “tecnici”, ma appoggiati in modo bipartisan.
Non sfuggirà la differenza tra la situazione italiana e quelle greca, spagnola, portoghese. Lì, nonostante la durezza di politiche assolutamenti identiche a quelle messe in atto qui da noi, sono stati mantenuti dei governi formalmente “politici”, magari imbottiti di uomini di fiducia (Venizelos è stato paracadutato direttamente dalla vicepresidenza della Bce). Qui si sperimenta qualcosa di più: la produzione di un format blindato teoricamente “centrista”, con l'esplicito obiettivo di “tagliare le estreme”. È chiaro anche che l'unica estrema da tagliare davvero è la sinistra, e la critica montiana al “buonismo” è in questo senso palese: non c'è più alcuna mediazione sociale da esercitare, “il popolo” (i lavoratori, i sindacati) rimane come una finzione utile per la retorica televisiva, non un soggetto con cui trattare.
Le decisioni vengono prese altrove. E anche la legittimazione non deriva più da consenso popolare. Semmai deriva dallo spread, ormai assunto come la ghigliottina imparziale pronta a tagliare la testa di chiunque si candidi alla direzione di un singolo paese. Se corrispondi alle attese della “borghesia multinazionale”, bene, altrimenti puoi anche vincere una tornata elettorale, ma non avrai futuro: ti scateneremo i “mercati finanziari” contro, e dovrai mollare di nuovo tutto. Vale per Berlusconi, che lo ha accettato senza problemi (si può divertire a giocare con la “responsabilità penale della magistratura”, ma solo nel primo tempo) pur di non esser spazzato via insieme alle sue aziende. Vale per gli sproloqui senza costrutto e prospettiva di un Vendola, o di un Di Pietro.
Non c'è dunque nulla da fare, solo arrendersi? Al contrario. Ma occorre prendere le misure alla nuova figura che l'avversario di classe ha messo in campo. L'orizzonte dell' “andata al governo” è totalmente escluso per qualsiasi coalizione “progressista” che pensi di poter fare qualcosa di differente. Una scorciatoia illusoria in meno, di cui però sarebbe stupido gioire.
Il campo dell'opposizione sociale appare una prateria gelata. Pensare di percorrerlo senza più “concorrenti” è un'altra scorciatoia illusoria. L'opposizione va costruita. Su nuove basi, senza le illusioni su un cambiamento parziale, rapido, possibile. Senza riformismo, insomma.

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