Il linguaggio utilizzato dal mainstream accademico e dalle elite politiche.
E’ imprescindibile metterlo in dubbio dalla radice stessa, la sua
accezione e l’utilizzazione hanno reso possibile una grande vittoria
culturale delle politiche neoliberiste. Con un appoggio
mediatico senza precedenti, si ripetono più e più volte le stesse
espressioni: “tutti siamo colpevoli e, di conseguenza, tutti dobbiamo
rimboccarci le maniche”. “Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità e adesso ci tocca stringere la cinghia”. “Lo Stato è come
una famiglia, non può spendere più di quello che guadagna”; l’austerità è
una virtù che, se viene praticata con convinzione e fermezza, ci
permetterà di uscire dalla crisi”.
Questi sono soltanto alcuni
esempi dell’uso abbastanza frequente di un discorso semplice
(semplicistico), diretto e, perché non dirlo, molto efficace; ci
fornisce parole e concetti facilmente maneggiabili, che ci restituiscono una diagnosi di chi siano, o meglio siamo, i colpevoli e quali siano le soluzioni.
Visto
che tutti, senza distinzioni di status né classe sociale, siamo stati
responsabili e che l’unica via d’uscita è lo sforzo collettivo, questo
discorso cerca di trasformare i cittadini in spettatori passivi di un gruppo tecnocratico il cui compito è gestire con efficacia, e con la sua saggezza, la necessaria austerità.
Secondo questo stesso linguaggio, ampiamente accettato, tutti siamo colpevoli e il più colpevole di tutti è lo Stato, scialacquatore per natura. Per questa ragione ci tocca alleggerirlo, e in questo modo liberare (letteralmente) risorse incagliate e mal utilizzate dal settore pubblico, perché l’iniziativa privata, paradigma dell’efficienza, le possa utilizzare.
La
cosa certa è che questi ragionamenti e la loro logica, implacabile e
inesorabile in apparenza, ci allontanano da una riflessione sulla complessità, sulle cause di fondo della crisi;
cause che si trovano nella contraddizioni della dinamica economica
capitalista, la problematica associata all’integrazione europea, quella
operativa dei mercati e gli interessi che la compongono.
Questi
temi sono rimasti fuori dalla messa a fuoco e, ovviamente, fuori
dall’agenda di un possibile superamento della crisi. Agenda che, oltre a
contenere una visione della stessa di tipo strutturale, ha bisogno di
far valere un altro linguaggio – in realtà – un altro
marchio concettuale e interpretativo – basato sulle idee di
sostenibilità dei processi economici, la dignità del lavoro e la coesione sociale.
di
Fernando Luengo: Professore ordinario di Economia Applicata e
ricercatore dell’Istituto Complutense di Studi Internazionali. Membro di
econoNuestra
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