Ho letto
dall’a alla zeta i materiali presentati nel sito del progetto Human Factor
aperto da Sel. Da persona coinvolta nella promozione e nel sostegno
dell’aggregazione di tutto l’antagonismo sociale e democratico nei confronti
del governo Renzi e dell’establishment europeo di cui Renzi è interprete,
considero positivo il fatto che uno dei partiti che a volte sembrano trovare la
ragione delle loro scelte politiche nella propria sopravvivenza – spesso con
giravolte acrobatiche nell’arco di 24 ore – si affianchi o si aggiunga al
processo unitario che L’Altra Europa con Tsipras ha promosso con la
presentazione di una lista unitaria alle elezioni europee. È un segno dei
tempi, ma anche, sicuramente, un effetto delle recenti mobilitazioni nelle
fabbriche e nelle piazze, delle spinte che hanno costretto anche la dirigenza
della CGIL a voltar pagina e a imboccare la strada di una forte opposizione al
governo. In spirito unitario sento però il bisogno di esplicitare alcune
perplessità suscitate da quei materiali.
Innanzitutto
Human Factor è un nome ridicolo (tanto valeva chiamarlo Humor Factor) e, come
ha notato Massimo Gramellini su La Stampa, segnala, con l’adozione di un
linguaggio e uno stile da marketing, la subalternità a una cultura imperante da
cui dovremmo tutti cercare di liberarci (perché nomina sunt consequentia rerum:
i nomi riflettono le cose).
Se i compagni di Sel avessero messo per tempo a
disposizione dei loro compagni di cammino quei materiali, come L’altra Europa
ha fatto con loro sottoponendo fin dall’inizio a una loro valutazione un
analogo documento programmatico scritto da Marco Revelli, li avremmo
sicuramente consigliati di cambiare almeno quel nome. Ma qui sta il secondo
punto di perplessità. Sel partecipa da tempo al processo unitario promosso
dall’Altra Europa (ci sono addirittura due membri della segreteria di quel
partito nel comitato operativo della lista), ma quei materiali, che pure recano
traccia di una lunga preparazione, si è venuti a conoscerli solo dopo il lancio
di Human Factor. Un lancio fatto anch’esso un po’ in stile marketing; per di
più, nel giorno in cui L’Altra Europa teneva una conferenza stampa per
presentare una la manifestazione unitaria contro Renzi e la Trojka che si è
svolta il 29 novembre, e che era stata promossa da tempo. Una coincidenza che
lascia il retrogusto di uno sgambetto. Si può capire, anche se non condividere,
che Sel, in quanto partito, aspiri a farsi perno del processo a cui partecipa;
ma un po’ più di lealtà e di collaborazione con i compagni di un comune cammino
avrebbe forse giovato a tutti.
Venendo ora
ai materiali presentati, si tratta di due lunghi documenti: uno di carattere
generale, l’altro di carattere organizzativo. Il primo, scritto in uno stile un
po’ aulico, che reca le tracce della vena poetica del presidente del partito
(niente da ridire; anche Marco Revelli, nel documento messo in discussione da
L’Altra Europa, ha una scrittura accurata e ricorre a metafore sorprendenti),
mira a radicare l’impegno politico nella condizione esistenziale dell’uomo
contemporaneo. Una condizione definita dalla prevalenza della cultura
liberista, dall’ideologia della crescita (le risorse del pianeta, ci ricorda
Human Factor, sono limitate), dalla competizione universale di tutti contro
tutti, dal consumismo, dalla sclerotizzazione della politica e delle
istituzioni democratiche, dalla svalutazione della dignità dei lavoratori, dei
poveri, degli emarginati. Non c’è molto di nuovo in tutto ciò, ma niente che
non possa venir sottoscritto, tranne, forse, la prospettiva di “un’economia
sociale di mercato”, che, espressa in questi termini, è un’idea vuota e
consunta.
Il
secondo documento propone la riorganizzazione del partito in modo da
renderlo più aperto e permeabile alle istanze che provengono dalla società e
dai movimenti. Anche qui niente da ridire. Chi potrebbe mai proporre oggi
un’organizzazione ideologicamente o burocraticamente chiusa? Ma quella
riorganizzazione riguarda il partito Sel e le sue strutture; non il processo
unitario in cui Sel si dichiara impegnata.
Ma il
problema centrale è un altro, e non riguarda solo Sel. Tra il discorso generale
del primo documento e le indicazioni organizzative del secondo non c’è per ora
altro; manca la politica come mediazione tra una ispirazione o un orientamento
ideale e la pratica quotidiana dell’organizzazione. È un vuoto che caratterizza
in parte anche il documento di Revelli, nonostante che in esso si trovi una
maggiore concretezza nella descrizione della fase politica che attraversiamo,
ma altrettanta indeterminazione nell’analisi dei movimenti e delle istanze
sociali che ne evidenziano le contraddizioni. È un vuoto che tutti dovremo
cercare, ciascuno a suo modo, di colmare. Possibilmente insieme, anche se qui,
probabilmente, le strade imboccate potrebbero divergere.
È nozione
comune, sia a chi lo sostiene che a chi lo combatte, che il governo Renzi sta
facendo piazza pulita dei “corpi intermedi”: tra ciò che del mondo politico
sopravvive come soggetto attivo – il governo e poco più – e l’oceano
“indifferenziato” della società, o quello, solo un po’ più articolato, dei
movimenti che hanno invaso le piazze negli ultimi mesi si è fatta terra
bruciata. Anche l’opposizione al governo, un’opposizione che miri a farsi a sua
volta governo, risente di quello stesso vuoto: della mancanza, cioè, di corpi
intermedi tra il progetto di un cambiamento radicale dell’assetto politico,
economico e sociale e le forme assunte dalle mobilitazioni in corso.
Quell’opposizione è troppo gracile sia per pesare oggi sulle scelte del
governo, sia, a maggior ragione, per puntare domani a un cambiamento radicale
delle politiche in atto. Ma come colmare quel vuoto? Si ha l’impressione che
Sel guardi soprattutto ai processi irreversibili di frantumazione e di
dissoluzione del PD e del movimento cinque stelle, per raccogliere – intorno a
sé? – le frange che possono staccarsi da quei due organismi, riservando al
processo di aggregazione promosso da L’Altra Europa – anche e soprattutto per
lo stallo in cui è incorso, o è stato fatto incorrere – un ruolo di mero
comprimario. Anche qui, niente di strano: sarebbe sbagliato non prestar
la dovuta attenzione a quei processi; o non attrezzarsi per offrire anche ad
essi una casa comune. Ma è un progetto che riguarda soprattutto la sfera
politica costituita; un progetto molto rinchiuso nella dialettica degli
schieramenti politici nazionali, che non sfiora che parzialmente le esigenze
impellenti di larga parte di quella società che “si è messa in moto”. Sono
invece gli embrioni di organizzazione di quei movimenti, in un rapporto sempre
più stretto con le formazioni analoghe presenti in altri paesi europei che
hanno però già percorso, come in Grecia o in Spagna, un pezzo importante di
quel cammino, lo scheletro di quelle strutture che possono costituire i “corpi
intermedi” di una alternativa radicale all’attuale assetto politico, economico
e istituzionale dell’Europa. Un’alternativa senza cui nessun progetto puramente
locale o nazionale ha qualche possibilità di spuntarla. È su questa cammino che
L’altra Europa si è messa fin dal momento della sua costituzione. Un cammino
che richiede di liberarsi, strada facendo, di molte delle bardature identitarie
e di molta di quella zavorra costituita dai piccoli benefici che si possono
ricavare da una subalternità politica al PD che hanno finora fatto sprecare le
tante occasioni di una vera unità di intenti nel campo dell’antagonismo sociale
e democratico. Ed è questo il terreno su cui va promosso con impegno il
confronto con Human Factor.
Ho
letto dall’a alla zeta i materiali presentati nel sito del progetto
Human Factor aperto da Sel. Da persona coinvolta nella promozione e nel
sostegno dell’aggregazione di tutto l’antagonismo sociale e democratico
nei confronti del governo Renzi e dell’establishment europeo di cui
Renzi è interprete, considero positivo il fatto che uno dei partiti che a
volte sembrano trovare la ragione delle loro scelte politiche nella
propria sopravvivenza – spesso con giravolte acrobatiche nell’arco di 24
ore – si affianchi o si aggiunga al processo unitario che L’Altra
Europa con Tsipras ha promosso con la presentazione di una lista
unitaria alle elezioni europee. È un segno dei tempi, ma anche,
sicuramente, un effetto delle recenti mobilitazioni nelle fabbriche e
nelle piazze, delle spinte che hanno costretto anche la dirigenza della
CGIL a voltar pagina e a imboccare la strada di una forte opposizione al
governo. In spirito unitario sento però il bisogno di esplicitare
alcune perplessità suscitate da quei materiali.
Innanzitutto Human Factor è un nome ridicolo (tanto valeva chiamarlo Humor Factor) e, come ha notato Massimo Gramellini su La Stampa, segnala, con l’adozione di un linguaggio e uno stile da marketing, la subalternità a una cultura imperante da cui dovremmo tutti cercare di liberarci (perché nomina sunt consequentia rerum: i nomi riflettono le cose). Se i compagni di Sel avessero messo per tempo a disposizione dei loro compagni di cammino quei materiali, come L’altra Europa ha fatto con loro sottoponendo fin dall’inizio a una loro valutazione un analogo documento programmatico scritto da Marco Revelli, li avremmo sicuramente consigliati di cambiare almeno quel nome. Ma qui sta il secondo punto di perplessità. Sel partecipa da tempo al processo unitario promosso dall’Altra Europa (ci sono addirittura due membri della segreteria di quel partito nel comitato operativo della lista), ma quei materiali, che pure recano traccia di una lunga preparazione, si è venuti a conoscerli solo dopo il lancio di Human Factor. Un lancio fatto anch’esso un po’ in stile marketing; per di più, nel giorno in cui L’Altra Europa teneva una conferenza stampa per presentare una la manifestazione unitaria contro Renzi e la Trojka che si è svolta il 29 novembre, e che era stata promossa da tempo. Una coincidenza che lascia il retrogusto di uno sgambetto. Si può capire, anche se non condividere, che Sel, in quanto partito, aspiri a farsi perno del processo a cui partecipa; ma un po’ più di lealtà e di collaborazione con i compagni di un comune cammino avrebbe forse giovato a tutti.
Venendo ora ai materiali presentati, si tratta di due lunghi documenti: uno di carattere generale, l’altro di carattere organizzativo. Il primo, scritto in uno stile un po’ aulico, che reca le tracce della vena poetica del presidente del partito (niente da ridire; anche Marco Revelli, nel documento messo in discussione da L’Altra Europa, ha una scrittura accurata e ricorre a metafore sorprendenti), mira a radicare l’impegno politico nella condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo. Una condizione definita dalla prevalenza della cultura liberista, dall’ideologia della crescita (le risorse del pianeta, ci ricorda Human Factor, sono limitate), dalla competizione universale di tutti contro tutti, dal consumismo, dalla sclerotizzazione della politica e delle istituzioni democratiche, dalla svalutazione della dignità dei lavoratori, dei poveri, degli emarginati. Non c’è molto di nuovo in tutto ciò, ma niente che non possa venir sottoscritto, tranne, forse, la prospettiva di “un’economia sociale di mercato”, che, espressa in questi termini, è un’idea vuota e consunta.
Il secondo documento propone la riorganizzazione del partito in modo da renderlo più aperto e permeabile alle istanze che provengono dalla società e dai movimenti. Anche qui niente da ridire. Chi potrebbe mai proporre oggi un’organizzazione ideologicamente o burocraticamente chiusa? Ma quella riorganizzazione riguarda il partito Sel e le sue strutture; non il processo unitario in cui Sel si dichiara impegnata.
Ma il problema centrale è un altro, e non riguarda solo Sel. Tra il discorso generale del primo documento e le indicazioni organizzative del secondo non c’è per ora altro; manca la politica come mediazione tra una ispirazione o un orientamento ideale e la pratica quotidiana dell’organizzazione. È un vuoto che caratterizza in parte anche il documento di Revelli, nonostante che in esso si trovi una maggiore concretezza nella descrizione della fase politica che attraversiamo, ma altrettanta indeterminazione nell’analisi dei movimenti e delle istanze sociali che ne evidenziano le contraddizioni. È un vuoto che tutti dovremo cercare, ciascuno a suo modo, di colmare. Possibilmente insieme, anche se qui, probabilmente, le strade imboccate potrebbero divergere.
È nozione comune, sia a chi lo sostiene che a chi lo combatte, che il governo Renzi sta facendo piazza pulita dei “corpi intermedi”: tra ciò che del mondo politico sopravvive come soggetto attivo – il governo e poco più – e l’oceano “indifferenziato” della società, o quello, solo un po’ più articolato, dei movimenti che hanno invaso le piazze negli ultimi mesi si è fatta terra bruciata. Anche l’opposizione al governo, un’opposizione che miri a farsi a sua volta governo, risente di quello stesso vuoto: della mancanza, cioè, di corpi intermedi tra il progetto di un cambiamento radicale dell’assetto politico, economico e sociale e le forme assunte dalle mobilitazioni in corso. Quell’opposizione è troppo gracile sia per pesare oggi sulle scelte del governo, sia, a maggior ragione, per puntare domani a un cambiamento radicale delle politiche in atto. Ma come colmare quel vuoto? Si ha l’impressione che Sel guardi soprattutto ai processi irreversibili di frantumazione e di dissoluzione del PD e del movimento cinque stelle, per raccogliere – intorno a sé? – le frange che possono staccarsi da quei due organismi, riservando al processo di aggregazione promosso da L’Altra Europa – anche e soprattutto per lo stallo in cui è incorso, o è stato fatto incorrere – un ruolo di mero comprimario. Anche qui, niente di strano: sarebbe sbagliato non prestar la dovuta attenzione a quei processi; o non attrezzarsi per offrire anche ad essi una casa comune. Ma è un progetto che riguarda soprattutto la sfera politica costituita; un progetto molto rinchiuso nella dialettica degli schieramenti politici nazionali, che non sfiora che parzialmente le esigenze impellenti di larga parte di quella società che “si è messa in moto”. Sono invece gli embrioni di organizzazione di quei movimenti, in un rapporto sempre più stretto con le formazioni analoghe presenti in altri paesi europei che hanno però già percorso, come in Grecia o in Spagna, un pezzo importante di quel cammino, lo scheletro di quelle strutture che possono costituire i “corpi intermedi” di una alternativa radicale all’attuale assetto politico, economico e istituzionale dell’Europa. Un’alternativa senza cui nessun progetto puramente locale o nazionale ha qualche possibilità di spuntarla. È su questa cammino che L’altra Europa si è messa fin dal momento della sua costituzione. Un cammino che richiede di liberarsi, strada facendo, di molte delle bardature identitarie e di molta di quella zavorra costituita dai piccoli benefici che si possono ricavare da una subalternità politica al PD che hanno finora fatto sprecare le tante occasioni di una vera unità di intenti nel campo dell’antagonismo sociale e democratico. Ed è questo il terreno su cui va promosso con impegno il confronto con Human Factor.
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Innanzitutto Human Factor è un nome ridicolo (tanto valeva chiamarlo Humor Factor) e, come ha notato Massimo Gramellini su La Stampa, segnala, con l’adozione di un linguaggio e uno stile da marketing, la subalternità a una cultura imperante da cui dovremmo tutti cercare di liberarci (perché nomina sunt consequentia rerum: i nomi riflettono le cose). Se i compagni di Sel avessero messo per tempo a disposizione dei loro compagni di cammino quei materiali, come L’altra Europa ha fatto con loro sottoponendo fin dall’inizio a una loro valutazione un analogo documento programmatico scritto da Marco Revelli, li avremmo sicuramente consigliati di cambiare almeno quel nome. Ma qui sta il secondo punto di perplessità. Sel partecipa da tempo al processo unitario promosso dall’Altra Europa (ci sono addirittura due membri della segreteria di quel partito nel comitato operativo della lista), ma quei materiali, che pure recano traccia di una lunga preparazione, si è venuti a conoscerli solo dopo il lancio di Human Factor. Un lancio fatto anch’esso un po’ in stile marketing; per di più, nel giorno in cui L’Altra Europa teneva una conferenza stampa per presentare una la manifestazione unitaria contro Renzi e la Trojka che si è svolta il 29 novembre, e che era stata promossa da tempo. Una coincidenza che lascia il retrogusto di uno sgambetto. Si può capire, anche se non condividere, che Sel, in quanto partito, aspiri a farsi perno del processo a cui partecipa; ma un po’ più di lealtà e di collaborazione con i compagni di un comune cammino avrebbe forse giovato a tutti.
Venendo ora ai materiali presentati, si tratta di due lunghi documenti: uno di carattere generale, l’altro di carattere organizzativo. Il primo, scritto in uno stile un po’ aulico, che reca le tracce della vena poetica del presidente del partito (niente da ridire; anche Marco Revelli, nel documento messo in discussione da L’Altra Europa, ha una scrittura accurata e ricorre a metafore sorprendenti), mira a radicare l’impegno politico nella condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo. Una condizione definita dalla prevalenza della cultura liberista, dall’ideologia della crescita (le risorse del pianeta, ci ricorda Human Factor, sono limitate), dalla competizione universale di tutti contro tutti, dal consumismo, dalla sclerotizzazione della politica e delle istituzioni democratiche, dalla svalutazione della dignità dei lavoratori, dei poveri, degli emarginati. Non c’è molto di nuovo in tutto ciò, ma niente che non possa venir sottoscritto, tranne, forse, la prospettiva di “un’economia sociale di mercato”, che, espressa in questi termini, è un’idea vuota e consunta.
Il secondo documento propone la riorganizzazione del partito in modo da renderlo più aperto e permeabile alle istanze che provengono dalla società e dai movimenti. Anche qui niente da ridire. Chi potrebbe mai proporre oggi un’organizzazione ideologicamente o burocraticamente chiusa? Ma quella riorganizzazione riguarda il partito Sel e le sue strutture; non il processo unitario in cui Sel si dichiara impegnata.
Ma il problema centrale è un altro, e non riguarda solo Sel. Tra il discorso generale del primo documento e le indicazioni organizzative del secondo non c’è per ora altro; manca la politica come mediazione tra una ispirazione o un orientamento ideale e la pratica quotidiana dell’organizzazione. È un vuoto che caratterizza in parte anche il documento di Revelli, nonostante che in esso si trovi una maggiore concretezza nella descrizione della fase politica che attraversiamo, ma altrettanta indeterminazione nell’analisi dei movimenti e delle istanze sociali che ne evidenziano le contraddizioni. È un vuoto che tutti dovremo cercare, ciascuno a suo modo, di colmare. Possibilmente insieme, anche se qui, probabilmente, le strade imboccate potrebbero divergere.
È nozione comune, sia a chi lo sostiene che a chi lo combatte, che il governo Renzi sta facendo piazza pulita dei “corpi intermedi”: tra ciò che del mondo politico sopravvive come soggetto attivo – il governo e poco più – e l’oceano “indifferenziato” della società, o quello, solo un po’ più articolato, dei movimenti che hanno invaso le piazze negli ultimi mesi si è fatta terra bruciata. Anche l’opposizione al governo, un’opposizione che miri a farsi a sua volta governo, risente di quello stesso vuoto: della mancanza, cioè, di corpi intermedi tra il progetto di un cambiamento radicale dell’assetto politico, economico e sociale e le forme assunte dalle mobilitazioni in corso. Quell’opposizione è troppo gracile sia per pesare oggi sulle scelte del governo, sia, a maggior ragione, per puntare domani a un cambiamento radicale delle politiche in atto. Ma come colmare quel vuoto? Si ha l’impressione che Sel guardi soprattutto ai processi irreversibili di frantumazione e di dissoluzione del PD e del movimento cinque stelle, per raccogliere – intorno a sé? – le frange che possono staccarsi da quei due organismi, riservando al processo di aggregazione promosso da L’Altra Europa – anche e soprattutto per lo stallo in cui è incorso, o è stato fatto incorrere – un ruolo di mero comprimario. Anche qui, niente di strano: sarebbe sbagliato non prestar la dovuta attenzione a quei processi; o non attrezzarsi per offrire anche ad essi una casa comune. Ma è un progetto che riguarda soprattutto la sfera politica costituita; un progetto molto rinchiuso nella dialettica degli schieramenti politici nazionali, che non sfiora che parzialmente le esigenze impellenti di larga parte di quella società che “si è messa in moto”. Sono invece gli embrioni di organizzazione di quei movimenti, in un rapporto sempre più stretto con le formazioni analoghe presenti in altri paesi europei che hanno però già percorso, come in Grecia o in Spagna, un pezzo importante di quel cammino, lo scheletro di quelle strutture che possono costituire i “corpi intermedi” di una alternativa radicale all’attuale assetto politico, economico e istituzionale dell’Europa. Un’alternativa senza cui nessun progetto puramente locale o nazionale ha qualche possibilità di spuntarla. È su questa cammino che L’altra Europa si è messa fin dal momento della sua costituzione. Un cammino che richiede di liberarsi, strada facendo, di molte delle bardature identitarie e di molta di quella zavorra costituita dai piccoli benefici che si possono ricavare da una subalternità politica al PD che hanno finora fatto sprecare le tante occasioni di una vera unità di intenti nel campo dell’antagonismo sociale e democratico. Ed è questo il terreno su cui va promosso con impegno il confronto con Human Factor.
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