PERUGIA - Il consiglio comunale di Perugia sforna un altro documento dove si chiede la solita trasformazione in autostrada della E45, il finanziamento del nodo di Perugia, cioè un altro raccordo che attraversi il territorio dal Tevere al Trasimeno, mentre l'opposizione, che approva anch'essa, si lamenta dei tempi troppo lunghi per la sistemazione di Ikea a San Martino in campo.Tutto cambia attorno a noi, dal nuovo parlamento alla Chiesa cattolica, l'Italia che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni sembra voler cercare risposte nuove, ma qui siamo sempre alle prese con le superstrade e i supermercati. Tutto super, tutto super vecchio.
Il capogruppo del Pd in consiglio comunale definisce questa idea dell'autostrada "una incomparabile occasione di sviluppo per l'Umbria" mentre l'assessore all'urbanistica, una signora eletta fresca fresca al Senato, si giustifica per i ritardi dell'Ikea. E' tutta colpa della burocrazia e dei soliti comitati che dicono sempre no.
Se questa è la classe dirigente che ci deve portare fuori dalla crisi e, soprattutto, verso speranze nuove di sviluppo, allora possiamo rassegnarci. Resteremo dove siamo, dentro il nostro piccolo mondo antico, incapaci di proporre alcunché di diverso in un paese che pure cerca linguaggi e protagonismi sociali nuovi. A Bologna, per dire, stanno progettando con i cittadini "un piano per una nuova pedonalità in centro" con una serie di progetti per una mobilità alternativa, mentre a Pordenone il nuovo piano regolatore si prepara attraverso la partecipazione diretta degli abitanti. Si chiama "Pordenone più facile". Da noi le regole per la riforma della Ztl e, quindi per la pedonalità in centro l'hanno decise le associazioni dei commercianti mentre per il piano regolatore, beh, quello lo fa il primo che arriva, l'importante che sia il rappresentante di una catena di supermercati. Cambiare, con una variante, le previsioni di un piano regolatore non è così complicato. come s'è visto per l'affare Ikea. Basta chiedere, poi una soluzione si trova sempre.
C'è, infine, questa questione della green economy, l'economia verde,
che dovrebbe cambiare il nostro modello di sviluppo, l'idea di una
crescita diversa e sostenibile. Cosa c'è di meglio per un governo di
sinistra o, almeno, moderatamente riformista, che impegnarsi su questa
prospettiva di futuro? Infatti lo stanno facendo, solo che lo stanno
facendo un po' a modo loro. Siccome con gli incentivi e i bonus
energetici anche questo settore può presentarsi agli occhi di molti
investitori come un buon affare, ciò che si insegue è l'affare, molto
meno gli interessi generali. Così succede che un terreno agricolo
straordinario come quello di Maestrello, sotto le pendici del monte
Tezio, venga interamente coperto per lo spazio di due campi di calcio da
pannelli solari. Ora, in questo caso, non si tratta soltanto di uno
sfregio al paesaggio. I pannelli resteranno lì per venti anni e quando
verranno tolti la terra sotto di loro non sarà più fertile e resterà
abbandonata. Venti anni sono niente per la natura, il tempo che ci vuole
per far crescere un albero.
Poi c'è questa storia del biogas, cioè degli impianti per produrre
energia elettrica che dovrebbero utilizzare, come una piccola centrale,
il gas emesso dalla fermentazione degli scarti vegetali delle aziende
agricole. Bene, bellissima idea, solo che un impianto per lavorare a
pieno regime deve essere alimentato da un sacco di scarti e questo è
possibile solo nelle grandi fattorie di tipo americano. Allora, siccome
ciò che interessa è la produzione di energia e non quella di cereali,
tutto quello che produce la terra finisce nell'impianto. In pratica, si
coltivano vegetali di scarso interesse alimentare ma ben gonfiati dai
fertilizzanti chimici per produrre ciò che rende di più, grazie anche
agli incentivi, e cioè l'energia elettrica. Questa non è economia verde
perché la prima economia verde che c'è è l'agricoltura e senza
l'agricoltura e una politica che rispetti la sostenibilità ambientale
c'è solo il disastro.
La nostra è la terra di San Francesco, ma anche una delle poche
regioni dove l'ambientalismo non entra nei palazzi del potere perché
viene considerato come un nemico delle sviluppo e della modernità.
Siamo in Umbria, dove i politici si dicono tutti riformisti. Solo che si
tratta di riformisti immaginari e i risultati del loro operato li
possiamo vedere tutti i giorni.
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