giovedì 4 aprile 2013

Il Giappone apre la guerra. Delle monete di Claudio Conti, Contropiano.org

La guerra – tra le monete – è dichiarata, ora non resta che da vedere le contromosse di Europa, stati Uniti e Cina.


La prima mossa ufficiale è arrivata dal Giappone. La banca centrale, ora presieduta dal nuovo governatore Kuroda, ha annunciato nuove e violente “misure espansive” per anzare l'inflazione. Apparetemente si tratta di una decisione paradossale, specie per noi europei torturati – letteralmente – da una trentennale fobia assoluta su questo terreno. Ma il Giappone ha provato per venti anni la malattia opposta – prezzi fermi, economia stagnante, insomma deflazione perenne – nonostante abbia tenuto i tassi di interesse a zero per tutto questo tempo. È la prova che la politica monetaria ha trovato limiti di applicazione invalicabili, alla faccia di Milton Friedman e anche di Mario Monti.

Quindi il nuovo governo conservatore di Shinzo Abe ha deciswo di cambiare totalmente rotta. L'obiettivo è raggiungere un tasso di inflazione del 2% entro due anni. Non sembra difficilissimo, ma per arrivarci Haruhito Kuroda ha programmato una valanga di spese: «La banca centrale condurrà operazioni di money-market al fine di aumentare la sua base monetaria tra i 60 mila e i 70 mila miliardi di yen l'anno (645-755 miliardi di dollari)». La Boj intende anche allungare la scadenza dei bond governativi in suo possesso. Tra gli obiettivi d'acquisto ci saranno anche asset rischiosi legati al mercato immobiliare ed Etf.

In pratica, punta a raddoppiare letteralmente la base monetaria. È l'esatto contrario della politica monetaria della Bce, ma molto simile a quella – peraltro non dichiarata in questi termini – delle Federal Reserve americana.

È una scelta “espansiva” che punta direttamente a una svalutazione competitiva dello yen, in modo da guadagnare spazio globale per la produzione nipponica.
Ma è anche un scelta “bellicista”, perché nessuna area monetaria rilevante – Usa-dollaro, Ue-euro, Cina-yuan – potrà assistere senza reagire a una clamorosa rottura del patto fondativo della “globalizzazione”: commercio libero, bassi dazi doganali, nessuna politica di svalutazione competitiva. Solo gli Stati Uniti, fin qui, avevano agito in modo simile “stampando dollari” a volontà, ma in misura tale da non abbassarne troppo il valore; possono infatti contare sul “vantaggio imperiale” di avere la moneta che fa contemporaneamente da mezzo di pagamento interno, mezzo di pagamento internazionale (per le merci strategiche e le materie prime) e anche da moneta di riserva.

Ora il precario equilibrio è stato rotto. La guerra delle mente comincia adesso. Vedremo già oggi se la Bce prenderà in esame il cambiamento della sua politica monetaria oppure no.

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