Per chiarezza, per capire meglio qual è la situazione politica presente e anche per non farsi infinocchiare da chi manipola l’opinione pubblica, sarebbe l’ora di cominciare a parlare di forze politiche delle larghe intese, più che di governi delle larghe intese.
Sì, perché il fatto che il maggiore partito si centrosinistra e il maggiore di centrodestra siano uniti nel sostegno a un governo non è un’anomalia, come qualcuno vuole far credere, bensì un dettaglio, rispetto a una convergenza più ampia e più profonda. Le forze politiche delle larghe intese condividono un medesimo orizzonte politico, un’identica concezione economica (il neoliberismo tuttora dominante per quanto fallimentare) e non si discostano, se non marginalmente, dalla linea politica oggi prevalente in Europa, ispirata ad alcune linee guida: riduzione della spesa pubblica, privatizzazione di proprietà e servizi pubblici, liberalizzazione dei mercati e della finanza.
Queste forze politiche a volte governano insieme (vedi Grecia, Germania, Italia e altri paesi), altre no, ma insieme tendono ad occupare l’intero spazio politico e parlamentare, o almeno questa è la loro ambizione. Vedi la nuova-vecchia legge elettorale italiana, frutto non a caso di un accordo di vertice fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. E’ una legge pensata per rendere stabile il dominio delle forze politiche di larghe intese, le loro.
Gli obiettivi sono quelli perseguiti da Silvio Berlusconi lungo tutta la sua carriera politica: eliminazione dei piccoli partiti (neanche tanto piccoli, guardando le nuove soglie minime); attribuzione di una larga maggioranza di seggi a chi arriva primo nella contesa elettorale, anche se forte di percentuali inferiori al 50%; concentrazione di tutti i poteri nel leader di maggioranza.
La nuova legge in gestazione vuole imporre il bipartitismo di larghe intese a dispetto dell’esistenza in Italia di tre poli pressoché equivalenti (il Movimento 5 Stelle è al momento il principale, forse l’unico disturbatore del piano Renzi-Berlusconi), nonché un centro consistente (oltre il 10% un anno fa), senza considerare la possibilità che nasca anche in Italia una sinistra. E’ quindi un’opera di ingegneria elettorale maliziosa, pensata a prescindere dalla reale condizione del paese e di assai dubbia legittimità democratica e costituzionale.
Si pensi alle soglie minime di accesso al parlamento. Quelle del 12% per le coalizioni, dell’8% per i singoli partiti e del 5% per i coalizzati terrebbero fuori Udc, Scelta civica e Unione di Centro, circa 3,5 milioni di voti nel 2013; Sel, un milione di voti; per non dire di Rivoluzione civile, 750 mila voti. Milioni di cittadini non sarebbero rappresentati, le forze dette “piccole” sarebbero messe ai margini. Una distorsione della rappresentanza superiore a quella causata dalla legge Calderoli e condannata dalla Corte costituzionali. Ma è democratica questa barriera ai “piccoli” partiti? Non potrebbero essere loro i grandi partiti di domani?
La verità è che le maggiori forze politiche, Pd e Forza Italia, stanno giocando la carta dell’esasperazione leaderistica e puntano a prendere tutto anche a partire da quote di consenso limitate, stimate poco sopra o poco sotto il 30%. Il premio di maggioranza serve a questo. Il progetto è battere il 5 Stelle, unico soggetto temuto da entrambi, e aspettarne il cadavere dopo anni di logoramento parlamentare.
La sinistra, nel frattempo, sarebbe esclusa e zittita e il parlamento – monocamerale e legato mani e piedi al leader – sarebbe finalmente ridotto a mero accessorio rispetto al governo reale del paese, affidato al leader e al suo staff (vedi quel che sta avvenendo nel Pd sottoposto alla cura Renzi, per non parlare ovviamente di Forza Italia).
Questo è il quadro. Rispetto al quale ci sono due risposte possibili, entrambe necessarie quanto difficili. La prima: lanciare un’immediata campagna di denuncia della natura autoritaria e incostituzionale della nuova legge elettorale. La seconda: progettare la nascita – una volta per tutte – di una nuova forza politica di una sinistra nuova, antiliberista e popolare, capace di lottare contro l’austerity e lo strapotere delle tecnocrazie finanziarie internazionali.
La stessa Lista di sostegno alla candidatura di Alexis Tsipras dovrebbe andare in questa direzione e concepire la scadenza elettorale di maggio come una tappa verso la costruzione di un soggetto politico nuovo, che consideri certo i limiti dei partiti novecenteschi ma non rinunci a mettere in campo una forza organizzata e stabile in grado di contrastare a tutto campo le forze politiche delle larghe intese. Le quali, altrimenti, chiuderanno per anni e anni le porte a ogni autentico cambiamento della condizione sociale e politica in Italia e in Europa.
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