Probabilmente non lo avrete saputo dalla televisione e forse vi sarà stato difficile rintracciare l’informazione sui giornaloni del renzusconismo in festa per la possibile seconda edizione del porcellum, ma stamattina è stata resa la nota la soluzione trovata in Francia per risolvere la crisi della Peugeot – Citroen, l’unico costruttore automobilistico generalista ancora in mano a una famiglia privata, se si eccettua la Fiat.
La cosa è degna di nota vista la totale differenza di approccio tra questa soluzione e le avventure dell’azienda torinese che ha fatto gli interessi finanziari degli Agnelli e non certo quelli dell’Italia o della produzione italiana, finendo per stabilirsi a Detroit. Bene, in Francia la Psa (nome societario del gruppo automobilistico) ha varato un aumento di capitale di 3 miliardi sottoscritto per la metà dalla Donfeng motor Corporation, azienda (fondata da Mao per la cronaca e ancora in mani pubbliche) che produce attualmente 3,8 milioni di autoveicoli l’anno (tra cui modelli della casa transalpina tramite una joint venture) e per l’altra metà pensate un po’ dallo stato francese. Si potrebbe dire che si sono colti tre piccioni con una fava: il gruppo si è aperto definitivamente al mercato asiatico, l’unico ormai, assieme a quello sudamericano, che non sia di sostituzione e permette di fare grandi numeri, anche perché la Donfeng è legata anche ad Honda, Nissan -Renault oltre che con alla Volvo nel settore camion; la famiglia Peugeot ha perso la maggioranza azionaria quella stessa che aveva consigliato di tutelare gli interessi di famiglia lasciando perdere fusioni e incorporazioni importanti, come appunto è accaduto anche alla Fiat, finendo per trovarsi in difficoltà; e si è dimostrato che non esiste alcuno scandalo se uno stato entra in una grande azienda strategica per sostenerla e al contempo sostenere l’economia del Paese. Anzi dopo il profluvio di multinazionali, questo è il primo grande gruppo multistatale controllato dal pubblico sia francese che cinese.
Di tutto questo è testimone il famoso mercato, perché se le azioni sono scese, le obbligazioni dell’azienda sono invece schizzate alle stelle il che in sostanza vuol dire che mentre l’economia speculativa teme la presenza pubblica, l’economia reale ne è rassicurata. Così Hollande pure impegnato nel suo tour de force tra mogli e amanti ha trovato il tempo per affrontare una situazione che invece da noi ha visto solo il più assoluto deserto politico e l’applauso di miserabili sicofanti che hanno fatto finta di non capire cosa significava l’operazione Chrysler. E’ facile comprendere come la presenza dello stato che adesso arriva al 14% in Psa, essendone, assieme alla Donfeng, il maggiore azionista sia un baluardo contro le tentazioni di andare a costruire il grosso della produzione in Cina o altrove e contro gli eventuali scippi . Espansione sì, ma conservando gli stabilimenti in Francia. E con essa anche ciò che resta della dignità del lavoro.
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